In memoria di un rivoluzionario (prima parte)

Secondo la versione ufficiale allora fornita dal Partito Comunista Cinese, Lin Biao perse la vita il 13 settembre del 1971 in un incidente aereo mentre scappava in Unione Sovietica dopo aver tentato di uccidere Mao e di  impadronirsi di tutto il potere. A 102 anni dalla sua nascita, avvenuta il 5 dicembre 1907, vogliamo rendere onore alla memoria di questa figura leggendaria, segnalando le peculiarità del suo pensiero e le ragioni che lo portarono alla sconfitta.

La notizia della morte di Lin Biao, considerato l’indiscusso successore di Mao, tanto era enorme, venne tenuta nascosta per alcuni mesi. Venne resa nota solo il 5 novembre del 1971, accanto alla versione dell’incidente aereo. In verità pare che Lin Biao sia stato fucilato assieme ai suoi familiari, e che dunque la versione ufficiale fosse falsa, come quella  che stesse ordendo un complotto per uccidere Mao Zedong.

Quale che sia l’insondabile verità sugli ultimi giorni di vita di Lin Biao, è certo che la sua scomparsa fu un evento spartiacque nella storia della Cina moderna, più precisamente, chiusa la breve parentesi della supremazia della “banda dei quattro”, essa segnò la fine della Rivoluzione culturale e l’annuncio del secondo ritorno di Deng Xiaoping alla testa del partito comunista cinese.
Non è per caso se dal 1973, data della ricomparsa di Deng alla guida del partito, sino al suo decesso del febbraio del  1997, Deng stesso abbia, in ogni discorso ufficiale di una certa importanza, denunciato aspramente il “linbiaoismo”, ovviamente in nome della “fedeltà creativa” al Mao Zedong pensiero. Lin Biao è stato ed è tutt’oggi per i dirigenti di fede denghista il mostro, il male assoluto, il capro espiatorio per esorcizzare quel gigantesco evento storico che è stato la Rivoluzione culturale.

Fu proprio sull’onda della Rivoluzione culturale che Lin Biao, principale condottiero dell’Esercito Popolare di Liberazione, divenne un leader politico secondo solo a Mao, da questi designato a succedergli. Nel vorticoso turbinio della battaglia contro l’ala destra del partito guidata da Liu Shaoqi, sembrava in effetti che l’unità di intenti tra Mao e Lin fosse a prova di bomba. Non era così.
Una volta liquidata la destra le divergenze tra i due dovevano emergere e dimostrarsi incomponibili.
Una tesi vuole che lo scontro tra i due fosse stato determinato dalla decisione di Mao di ricondurre l’Esercito alla sua specifica sfera di competenza. In effetti, nel periodo più turbolento della Rivoluzione culturale, quando la radicalizzazione giovanile era sfuggita completamente fuori dal controllo del partito, l’Esercito era assurto ad una posizione di primazia rispetto al partito, ne aveva surrogato le funzioni dirigenti, ne aveva anzi preso le redini.
Ovviamente c’è del vero in questa tesi, ma essa è solo una parte del discorso. La lotta tra l’ala linbiaoista e quella maoista, di cui la “banda dei quattro” fu solo una momentanea espressione, non era solo, come una certa storiografia americana vorrebbe far credere, soltanto una sordida lotta di potere. Era al contrario una lotta tra due linee strategiche, tra due visioni della rivoluzione mondiale, della costruzione del socialismo e dunque del ruolo storico della Cina.

Se questa lettura non era facile da estrapolare in quegli anni, oggi, a quattro decadi di distanza, vista la piega presa dagli avvenimenti, tutto appare sotto la sua autentica luce. La difficoltà a comprendere la natura squisitamente politico-strategica del dissidio tra coloro che uscirono vincenti dalla Rivoluzione culturale dipendeva dal fatto che, mentre erano evidenti i capisaldi della teoria politica linbiaoista, opache apparivano invece le tesi opposte dai suoi avversari, opacità che derivava dalla natura eterogenea del blocco politico che sconfisse Lin Biao, e che vedeva precariamente coalizzati, all’ombra del senescente Mao, Zhou Enlai, la “banda dei quattro” e Deng.

Ci vorranno un po’ d’anni, la morte di Mao Zedong e Zhou Enlai nel 1976 e l’eliminazione della “banda dei quatro”, affinché Deng Xiaoping, oramai ben saldo alla guida del partito, esponesse in due formule chiave o ideogrammi,  la sua visione strategica: “Teoria dei tre mondi” e “quattro modernizzazioni”. Annunciata nell’aprile del 1974 col discorso che Deng tenne alle Nazioni Unite, la “Teoria dei tre mondi” venne ufficialmente innalzata a principio guida della politica estera cinese solo nel 1977. Cosa diceva questa teoria? Essa divideva il mondo in tre principali categorie: il primo mondo ovvero le due superpotenze USA e URSS, il secondo mondo le medie potenze tra cui i paesi europei e il Giappone, infine il terzo mondo che raggruppava la grande maggioranza delle nazioni semicoloniali e oppresse. La conseguenza sul piano strategico era dirimente: il terzo e il secondo mondo si sarebbero dovuti coalizzare contro il primo. La Cina denghista si proponeva dunque come avanguardia dei paesi del terzo mondo e  dell’alleanza col secondo contro le due superpotenze. Sparivano quindi non solo la lotta di classe, ma il carattere rivoluzionario e antimperialistico delle lotte di liberazione nazionale.

Se è discutibile, come si vantano i suoi sostenitori, che questa teoria avesse avuto l’imprimatur di Mao Zedong, è certo che essa era agli antipodi della visione linbiaoista della “rivoluzione ininterrotta” o permanente. Una visione antimperialista coerente, che teorizzava la guerra popolare prolungata di accerchiamento del vero nemico principale, gli Stati Uniti, una guerra come modalità e fase della rivoluzione socialista mondiale, che dunque non faceva sconti ai regimi capitalisti del terzo mondo, i quali si proponeva di rovesciare e non di conservare come presunti alleati.

Parleremo più avanti e più concisamente della visione strategica di Lin Biao. Ora occorre tornare a quel decisivo frangente che portò alla frattura tra Mao e Lin. Pochi mesi dopo l’eliminazione di Lin Biao in piena guerra fredda, con il Vietnam in fiamme e il mondo attraversato dall’ondata rivoluzionaria e antimperialista, avvenne a Pechino un incontro che cambierà la storia del mondo: l’incontro tra il presidente americano Nixon e Mao Zedong. A posteriori possiamo affermare che questo evento gettò le basi del connubio USA-Cina, un connubio che farà molta strada, fino al paventato odierno G2. Lin Biao era certamente a conoscenza dei preparativi di questo connubio, che vennero definiti nei dettagli dal viaggio segretissimo che Kissinger fece a Pechino nel luglio del 1971, poche settimane prima che Lin fosse eliminato. Che Lin si opponesse a questa sterzata strategica di avvicinamento agli USA, questa sì certamente perorata da Mao e compiuta in nome della lotta al “nemico principale”, il “social-imperialismo sovietico”, non può esservi dubbio. Questo dissenso, noi riteniamo, fu alla base della lotta tra l’ala linbiaoista e quella guidata da Mao e che si concluse con la disfatta e la morte di Lin.

Quali furono le devastanti conseguenze della sterzata strategica cinese apparrà ben presto molto chiaramente. Alle spalle di una linea verbalmente antimperialista la Cina, non senza trascinare il movimento maoista mondiale verso il proprio suicidio, attuò un vero e proprio riallineamento geopolitico a fianco degli Stati Uniti, allora sotto attacco ad ogni latitudine. In nome del contrasto al “nemico fondamentale” rappresentato dall’URSS, e visto che la gran parte dei movimenti di liberazione all’URSS si appoggiavano, la Cina non solo voltò le spalle a questi ultimi, ma gli si scagliò contro, senza esitare a sostenere apertamente i diversi fantocci locali degli americani. Potremmo citare decine di casi eclatanti, ma quello simbolicamente più scandaloso fu senz’altro quello cileno, quando l’ambasciata cinese chiuse i suoi cancelli agli oppositori a cui i golpisti di Pinochet stavano dando la caccia. L’aperto tradimento dei movimenti rivoluzionari e di liberazione in nome della lotta al “social-imperialismo” sovietico (Pechino giunse persino a difendere la legittimità della NATO in funzione antisovietica) era il presagio di quella che di lì a poco sarà battezzata come “teoria dei tre mondi”, una teoria che accanto a quella  delle “quattro modernizzazioni”, doveva fare da apripista alle sconvolgenti “riforme” capitalistiche degli anni ’80.
Oggi possiamo dunque dire che l’eliminazione di Lin Biao nel settembre del 1971 è una data spartiacque: di sicuro gli eventi avrebbero preso una piega del tutto diversa se Lin Biao avesse vinto la sua ultima battaglia.

(fine prima parte)