Il muro d’Egitto

Mubarak ed Obama vogliono che l’assedio di Gaza diventi ancora più duro

In questi ultimi giorni diversi organi di informazione hanno iniziato a parlare della volontà egiziana di costruire un super-muro di acciaio lungo la frontiera con la Striscia di Gaza. Secondo diverse fonti arabe, riprese anche da alcuni giornali italiani, il muro sarebbe dunque lungo 10 Km e, quel che è più importante, profondo 30 metri.

Secondo la Bbc, che il 10 dicembre ha citato fonti non meglio precisate dell’intelligence del Cairo, la profondità sarebbe invece di 18 metri, mentre il completamento del muro sarebbe previsto entro un anno e mezzo.
Al di là dei dettagli, la notizia del muro d’Egitto sembra dunque confermata. Lo scopo è chiaramente quello di rendere ancora più duro l’assedio a Gaza, colpendo soprattutto i tunnel verso il territorio egiziano. Quei tunnel che hanno finora impedito lo sterminio del milione e mezzo di persone rinchiuse in quella prigione a cielo aperto che è la Striscia.

Che l’Egitto partecipi all’assedio di Gaza non è una novità.
Come ben sanno i componenti delle varie missioni di solidarietà con la popolazione della Striscia, il valico di Rafah è generalmente sigillato quanto quelli controllati direttamente da Tsahal.
La retorica della “solidarietà araba” è una cosa, i fatti un’altra. Ed i fatti ci parlano di una stretta collaborazione del governo egiziano con Israele, almeno dai tempi degli accordi di Camp David, cioè da un trentennio.
L’Egitto è uno dei due bastioni (l’altro è l’Arabia Saudita) su cui può contare la politica imperiale americana in Medio Oriente, ed il collaborazionismo del suo governo è reso ancora più forte dalla volontà politica di combattere Hamas e la Resistenza palestinese all’occupazione.

Ora però siamo ad un salto di qualità, ad una crudeltà senza limiti che gli egiziani hanno provato in qualche modo a smentire. Dai tunnel passano viveri, medicinali, generi di necessità di vario tipo, senza i quali il tremendo assedio di Gaza diventerebbe ancora più disumano.
Ma le smentite del Cairo non sono credibili. Nei giorni scorsi, alcuni parlamentari egiziani vicini ai Fratelli Musulmani hanno espresso pubblicamente le loro critiche al “Muro d’acciaio” a “prova di bomba”, definendolo “un regalo ad Israele”. Gli stessi parlamentari hanno presentato diverse interrogazioni al presidente del Parlamento affinché il governo renda nota la sua posizione. Ma mentre il governo tace i media del regime fanno sentire la loro voce. Muhammad Ibrahim, direttore del quotidiano ufficiale al-Jumhuriyya, ha di fatto giustificato il muro sostenendo che “la sovranità egiziana è più importante della resistenza”.
Come dire che la sovranità dell’Egitto sarebbe insidiata dai pericoli di fuga dalla Striscia… Una tesi ridicola che non riesce a nascondere un altro pezzo di verità – il più importante – di cui i media egiziani non possono certo dar notizia.

Secondo la Bbc alla realizzazione del muro d’acciaio, la cui costruzione sarebbe già in atto (come del resto riferiscono numerosi testimoni oculari), partecipano direttamente diversi ingegneri dell’esercito statunitense. Gli stessi pezzi d’acciaio, ovviamente assemblati sul posto, risultano di fabbricazione americana.
Secondo il quotidiano al Sharq al Awsat, l’Egitto non starebbe costruendo una barriera d’acciaio sotterranea, ma starebbe invece approntando una rete di sensori anti-tunnel.
La verità è che una cosa non esclude l’altra. Quel che è certa è la volontà di rafforzare l’assedio con ogni mezzo. Una volontà che unisce americani ed egiziani, Obama e Mubarak.
Sarà un caso, ma in questi giorni alcuni si sono ricordati delle proteste degli abitanti di al Arish, avvenute agli inizi di settembre quando, senza alcun preavviso, arrivò nella città egiziana del Sinai, una delegazione militare americana con lo scopo di verificare le capacità operative del locale ospedale in vista di un dislocamento di forze americane impegnate in attività anti-tunnel. L’Egitto smentì che quello fosse lo scopo della visita, sostenendo che non si trattava di militari, bensì di medici Usa interessati – udite, udite! – a sviluppare l’ospedale di al Arish…
Mai smentita fu più penosa, e le notizie di questi giorni spiegano fin troppo bene l’interesse sanitario americano.
 
Sulla vicenda del muro egiziano ci è capitato di leggere, nei giorni scorsi, un editoriale di  Pierluigi Battista sul Corriere della Sera. Battista cercava di cogliere questa occasione per sostenere la tesi dell’“indignazione selettiva”, secondo cui i sostenitori della causa palestinese, sempre pronti a condannare il muro d’Israele, sarebbero invece silenti di fronte a quello egiziano.
Battista, dopo aver affermato che il muro egiziano, al pari di quello israeliano, “ha dalla sua ottime ragioni autodifensive” (sic), piange sulla selettività di un’indignazione sempre pronta a prendere di mira Israele, ma non “il cinismo con cui i Paesi arabi hanno trattato e continuano a trattare i loro «fratelli» palestinesi”.
Non sappiamo a chi nel concreto si riferisca l’editorialista del Corriere, ma qui oltre all’indubbio cinismo del regime filo-americano e filo-occidentale di Mubarak, ci pare che spicchi proprio il cinismo di Pierluigi Battista.
Non soltanto perché parla delle tremende condizioni della popolazione di Gaza solo davanti al muro egiziano, mentre non lo abbiamo mai visto sprecare una goccia del suo prezioso inchiostro per parlare delle sofferenze imposte da Israele, ma anche e soprattutto per il suo cinico silenzio davanti all’evidente coinvolgimento dei militari americani, e dunque della Casa Bianca, in questo ulteriore inasprimento dell’assedio genocida contro Gaza.