Come c’era da attendersi la morte del Grande ayatollah Hossein Ali Montazeri ha dato la stura ad un nuovo braccio di ferro tra il regime di Ahmadinejad e l’eterogenea opposizione iraniana. “I manifestanti dell’Onda Verde hanno di fatto trasformato il funerale di Montazeri in una nuova occasione di protesta contro il regime della Repubblica Islamica. Scontri sono iniziati nelle strade della città di Qom e nelle adiacenze del mausoleo di Masumeh Zahra, sorella dell’ottavo imam sciita, dove il grande ayatollah Montazeri è stato sepolto. Nel frattempo attraverso la rete è iniziato poi un passa parola con cui l’Onda Verde sta cercando di organizzare una manifestazione contro il governo a Teheran. Tanti gli appelli a riunirsi in piazza Enqelab per dare vita a una nuova contestazione contro il regime iraniano nella capitale”. A pochi giorni dall’Ashura, la massima festività sciita (27 dicembre) l’atmosfera iraniana torna a surriscaldarsi. Ma chi era davvero Montazeri?
Viene sottolineato in queste ore come Montezeri fosse stato, sin dal 1963, il braccio destro di Khomeini, da questi designato come proprio successore e “Guida suprema della rivoluzione islamica”, per poi essere defenestrato nel 1989 (il suo ruolo verrà assunto da Khamenei).
Figura importante quella di Montazeri, non fosse perché egli fu forse il solo componente del ristretto vertice della ierocrazia sciita (ovvero coloro che potevano fregiarsi del titolo di Ayatollah ol-ozma, Grande ayatollah) ad avere appoggiato la teoria khomeinita del velayat-e faqih, il governo del giureconsulto, in altre parole il principio che la sovranità e l’autorità politiche spettassero non tanto agli organismi di elezione popolare quanto ai “giusti faqih”, alle gerarchie religiose.
Un sostegno prezioso, quello che Montazeri offrì a Khomeini, visto che le grandi personalità religiose sciite di pari rango, sia di Qom che di Najaf, rifiutarono allora, e in gran parte rifiutano ancora oggi, la versione khomeinista della Repubblica islamica.
Il dissenso di Montazeri da alcune cruciali scelte politiche di Khomeini causarono la sua defenestrazione ed infine il suo esilio a Qom. Il primo grande scontro avvenne a metà degli anni ’80, quando la cruenta guerra con l’Iraq era in pieno corso. Mentre Khomeini respinse le ripetute proposte di tregua e di pace offerte dall’Iraq e dalle Nazioni Unite, Montazeri ritenne che quelle proposte dovevano essere accettate e che doveva essere posto fine, proprio per il bene della Repubblica islamica, a quella guerra fratricida. L’opposizione di Montazeri alla continuazione della guerra ad ogni costo era determinata anche da un altro dirimente motivo. Nel vortice del conflitto non solo il nazionalismo persiano e il fanatismo religioso avevano raggiunto livelli parossistici, il regime islamico ne approfittò per liquidare con ogni mezzo ogni opposizione interna. Per Montazeri occorreva evitare ogni deriva dispotica della Repubblica islamica. Era il primo passo con cui Montazeri, di fatto, si dissociava dalla teoria del velayat-e faqih.
Il dissidio con Khomeini si inasprì in altre due occasioni, la fatwa contro Salman Rushdie (che per Montazeri fu un grave errore perché faceva apparire agli occhi della pubblica opinione quello iraniano “come un regime assetato di sangue”) e la ben più grave decisione di emendare la Costituzione istituendo un organismo religioso (Consiglio per la determinazione delle scelte) allo scopo di dirimere i conflitti di competenza tra i diversi organi dello stato. Un conflitto nativo nella Repubblica islamica, dato che essa si impernia su organismi paralleli e opposti, a legittimità religiosa alcuni e a legittimità politica altri.
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso e che portò all’esautoramento di Montazeri e al suo esilio a Qom (non senza aver evitato addirittura una condanna a morte).
Da allora, sostanzialmente emarginato e senza più prendere direttamente parte alle dure dispute politiche di Tehran, Montazeri ha sempre sostenuto l’idea di una profonda riforma democratica della Repubblica islamica, tenendo una posizione indipendente, apprezzato per questo anzitutto dalla sinistra islamica radicale il cui riferimento è stato Ali Shariati. Per questo suo posizionamento indipendente Montazeri è risultato indigesto ai vari protagonisti della disputa politica di Tehran: alle due frazioni clericali principali, quella pragmatica e opportunista di Rafsanjani e quella conservatrice di Khamenei, come pure all’ala politica militare rappresentata da Ahmadinejad e alle correnti “riformiste” di tipo liberale e occidentalizzante.
Che l’eterogenea opposizione iraniana inneggi oggi, in punto di morte, alla figura di Montazeri, ha dunque un grande significato politico. Se non è un’operazione di facciata, questo sta ad indicare che le tendenze apertamente filo-imperialiste che allignano in seno all’opposizione, quelle che vorrebbero rovesciare Ahmadinejad per riportare l’Iran nella sfera d’influenza occidentale, sono in minoranza. E noi speriamo ci restino.