Le frazioni del regime vanno alla resa dei conti in nome della fedeltà al khomeinismo
L’autrice di questo pezzo non ci va molto a genio, come del resto le diverse componenti filo-occidentali che si agitano in seno all’opposizione che dal giugno scorso tiene testa al governo di Ahmadinejad. Tuttavia riteniamo doveroso pubblicare l’articolo qui sotto perché spiega come lo scontro in atto a Tehran sia anzitutto tra le diverse frazioni dominanti che compongono la Repubblica islamica, e come questa lotta sia giunta ad un punto di non ritorno. Noi avevamo segnalato nell’agosto scorso, nell’articolo “Ahmadinejad e i tre schieramenti“, la profonda spaccatura interna al regime e il ruolo cruciale, che, da dietro le quinte, svolge Rafsanjani.Sottolineavamo anche come fosse un grave errore liquidare il movimento di protesta come una “rivoluzione colorata”, più o meno fomentata dall’Occidente. E’ un movimento ben più complesso ed eterogeneo, nonché con solide radici e influenza di massa, se è vero, come è vero, che a sei mesi dal suo inizio non pare indietreggiare neanche di fronte al pugno di ferro del governo. Lo si è visto in occasione della scomparsa di Montazeri, che ha dato vita ad un’ondata che potrebbe rivelarsi decisiva. Ahmadinejad saprà uscire dall’impasse?
Il conflitto interno iraniano va verso un’accelerazione
di Farideh Farhi*
Sebbene la rivolta che ha paralizzato l’Iran dopo le controverse elezioni del 12 giugno non sia mai diminuita di intensità, due eventi recenti hanno evidenziato l’ulteriore inasprimento del conflitto interno, e l’incapacità del governo di ripristinare la stabilità di fronte ai modi creativi con cui l’opposizione ha imparato a usare i simboli della Repubblica Islamica al fine di sostenere se stessa.
Il putiferio scatenato dalla pubblica insistenza dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani sulla necessità che il regime rispetti le richieste popolari, e l’indignazione inscenata dal governo per l’episodio in cui è stato bruciato il ritratto del fondatore della Rivoluzione Islamica, l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, in occasione delle manifestazioni per la giornata dello studente il 7 dicembre, hanno evidenziato che la crisi politica nel cuore dell’establishment si sta intensificando.
Il contesto politico in cui questi due eventi si inseriscono segnala una pericolosa situazione di stallo, e l’urgente necessità di rinegoziare il potere politico tra i vari contendenti, mentre il governo sembra incapace di riportare un po’ di calma e di efficienza nel sistema politico iraniano. Tuttavia, questa urgenza deve ancora tradursi in una volontà sistematica di superare l’ormai radicata paralisi politica.
Come tali, i recenti avvenimenti lasciano presagire con tutta probabilità l’inizio di una nuova fase in cui uno scontro pubblico diretto tra i principali attori che operano all’interno del sistema diverrà la norma, nonostante l’esplicito – anche se freddo – appello della Guida suprema iraniana, Ayatollah Ali Khamenei, alla calma e a spezzare il ciclo delle recriminazioni.
Gli ultimi eventi sono importanti perché rivelano alcuni aspetti critici delle perduranti turbolenze in Iran. Dar fuoco al ritratto di Khomeini, in sé e per sé, non avrebbe avuto un grande significato, visto che la radicalizzazione di alcuni elementi all’interno di qualsiasi movimento di protesta, di fronte a un tentativo di repressione, non è inusuale.
Ciò che ha reso significativo quell’evento è stata la decisione della televisione governativa iraniana IRIB di trasmettere le scene dell’episodio, con l’intento di creare un clima in cui tutti i “veri credenti” della Rivoluzione avrebbero potuto mobilitarsi ed esprimere pubblicamente la loro indignazione.
L’intento insito nella decisione di esprimere questa indignazione è duplice. Da un lato, concentrandosi sull’oltraggio al fondatore della Repubblica Islamica, i sostenitori del governo vogliono dimostrare che, anche se il movimento di protesta iniziò come un movimento rispettoso della legge che si opponeva al modo in cui erano state condotte le elezioni, esso si è ora trasformato in un movimento radicale che ha l’obiettivo di indebolire la Repubblica Islamica.
Dall’altro, costringendo i leader dell’opposizione a manifestare pubblicamente la propria fedeltà a Khomeini, le forze conservatrici sperano di screditarli davanti a una popolazione di giovani sempre più arrabbiati, dimostrando così che la lealtà di questi leader al sistema non è diversa da quella di coloro che sono impegnati nell’attuale repressione.
Ma questa strategia si è ritorta contro coloro che l’hanno adottata, com’è accaduto in tanti altri casi, in conseguenza del fatto che il movimento di opposizione è stato capace di appropriarsi dei simboli e delle icone della Repubblica Islamica ritorcendole contro il governo. In realtà, tutti i leader dell’opposizione hanno denunciato l’oltraggio a Khomeini, ma hanno anche contestato gli scopi nascosti dietro la decisione dell’IRIB di trasmettere quelle immagini.
Cosa ancora più importante, entrambi i leader dell’opposizione, Mir Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi, così come l’Associazione dei Chierici Combattenti – un organismo guidato dall’ex presidente Mohammad Khatami – hanno immediatamente chiesto il permesso di organizzare una manifestazione indipendente a sostegno dell’eredità culturale e politica di Khomeini, in parallelo alla manifestazione controllata dallo stato e proclamata dal Consiglio di Coordinamento per la Propaganda Islamica.
Questa richiesta ha messo in difficoltà il Ministero degli Interni, che finora aveva rifiutato di concedere permessi per qualsiasi manifestazione guidata dall’opposizione. Dopotutto, la capacità dell’opposizione di protestare ed allo stesso tempo di essere presente nella sfera pubblica è stata proprio il fattore che il governo non è stato in grado di controllare negli ultimi sei mesi, a causa dell’abile modo con cui i manifestanti hanno partecipato alle manifestazioni che erano state indette dal governo con l’obiettivo di celebrare date importanti nella storia della Repubblica Islamica.
Per ironia della sorte, proponendosi come i veri eredi di Khomeini, i leader dell’opposizione sono stati involontariamente aiutati dai sostenitori della linea dura che, a dispetto della loro professata fedeltà a Khomeini, non hanno mostrato amore per la famiglia di quest’ultimo.
La casa editrice responsabile degli scritti e dei decreti di Khomeini, il cui vice responsabile aveva messo in dubbio l’opportunità di trasmettere le immagini del ritratto di Khomeini in fiamme, è stata diffamata dai giornali più intransigenti e minacciata da alcuni deputati conservatori che hanno invitato ad aprire un’inchiesta nei suoi confronti. Allo stesso tempo, il nipote di Khomeini, che gestisce il suo mausoleo, è stato ingiustamente accusato di voler lasciare il paese invece di difendere suo nonno.
Questo confronto pubblico su chi sia più devoto all’eredità di Khomeini è stato accompagnato da uno scambio molto duro in occasione di un discorso estremamente franco pronunciato da Rafsanjani il 5 dicembre a Mashad, durante il quale egli ha condannato il fatto che la Guardia Rivoluzionaria e la milizia Basij siano state schierate contro “studenti universitari e delle scuole superiori, professori, insegnanti, dirigenti, lavoratori, commercianti, e comuni uomini e donne”.
Inoltre, ricordando le parole rivolte dal Profeta Mohammad all’Imam Ali, nel giorno in cui quest’ultimo fu da lui scelto come suo successore (come narrato nella tradizione sciita), Rafsanjani ha dichiarato esplicitamente: “Tu hai ricevuto da Dio il diritto all’autorità; se le persone l’accettano, amministrala; e se non l’accettano, non importi e permetti loro di gestire la loro società nel modo che preferiscono”.
Le parole di Rafsanjani hanno suscitato un pubblico rimprovero da parte del ministro dell’intelligence Heidar Moslehi, che ha ritenuto di scorgere dei significati reconditi nel discorso dell’ex presidente, suggerendo che quest’ultimo stesse effettivamente chiedendo la rimozione dello stesso Khamenei, nel caso in cui la gente non lo voglia più. Accusando Rafsanjani di incoraggiare la “fitna” – ovvero la sedizione, o la cospirazione – nei confronti della Repubblica Islamica, Moslehi ha anche involontariamente riconosciuto il potere dell’opposizione, paragonando la “fitna” a un iceberg, di cui si può vedere solo la cima sopra il livello dell’acqua.
Altri hanno seguito l’esempio di Moslehi, attaccando Rafsanjani che attualmente ricopre la carica di presidente sia del Consiglio del Discernimento che del Consiglio degli Esperti.
Mohammad Yazdi, ex capo del sistema giudiziario e attuale membro del Consiglio dei Guardiani, ha chiesto che Rafsanjani “riduca le distanze dalla Guida suprema”, mentre Ruhollah Hosseinian, un parlamentare appartenente al fronte della linea dura, ha ripetutamente affermato che Rafsanjani, insieme con Mussavi e Karrubi, era un personaggio troppo piccolo per farne un martire.
Ciò rappresenta un’implicita, se non involontaria, ammissione delle paure che circolano fra i sostenitori del governo, i quali temono che l’arresto dei leader dell’opposizione non farebbe che aggravare la crisi politica in Iran – un timore a cui ha fatto eco mercoledì scorso il nuovo capo della magistratura iraniana, Sadeq Amoli Larijani, che ha affermato che “la magistratura ha in mano un numero sufficiente di dossier contro di loro, e se il sistema li tratta con tolleranza e gentilezza, ciò non va interpretato come ignoranza”.
Khamenei stesso appare sempre più incapace di controllare la situazione. Parlando una settimana fa, ha invocato la calma e ha chiesto di evitare il linguaggio provocatorio, ma, allo stesso tempo, ha parlato di “eliminare … ex fratelli ” o “coloro che insistono a distanziarsi dal sistema”.
Nel frattempo, l’incapacità del sistema politico guidato da Khamenei anche soltanto di rendere noti i nomi delle persone che hanno compiuto atti di tortura e omicidi pubblicamente riconosciuti, in una prigione di cui egli stesso ordinò la chiusura la scorsa estate, ha ulteriormente rafforzato la sensazione che il governo sia ormai paralizzato.
La richiesta di rendere conto degli abusi commessi nella prigione di Kahrizak è stata forse la rivendicazione dei manifestanti che era più facile accogliere, ma l’incapacità del governo o la sua riluttanza a rispondere è considerata come un’ulteriore prova della sua inflessibilità e della sua paranoia.
E’ difficile prevedere come tutto questo finirà. Quello che è chiaro è che, almeno a livello del discorso pubblico, quasi tutti i tabù della Repubblica Islamica sono stati infranti. Rivoluzionari del calibro di Rafsanjani, Mussavi, Karrubi e Khatami si rifiutano di fare marcia indietro e di ritirare le loro critiche su come sono state affrontate le proteste post-elettorali.
A loro volta, essi e le loro famiglie sono accusati di complicità con coloro che cospirano contro la Repubblica Islamica, e la famiglia di Khomeini è accusata di offuscare l’eredità del fondatore. E non vi è nulla all’orizzonte che suggerisca che coloro che continuano ad accusare, e a praticare la violenza, abbiano una qualche strategia coerente per uscire dalla profonda crisi che hanno contribuito a provocare sei mesi fa, rifiutando di dare una risposta a una qualsiasi delle rivendicazioni dei manifestanti.
*Farideh Farhi è una ricercatrice iraniana che vive negli U.S.A. Il fatto che sia consulente del “National Iranian American Council” la dice lunga su chi siano i suoi committenti. L’articolo non a caso è stato pubblicato il 17/12/2009 sul sito TerraViva dell’IPS, un’agenzia apertamente filo-occidentale.
La versione italiana di questo articolo è tratta da: http://www.medarabnews.com/