Una recensione acuta e divertente del libro “IL FUTURO della LIBERTÀ” di Gianfranco Fini

1) In virtù del masochismo, che da sempre ci affligge, ci siamo inflitti la lettura dell’ormai imprescindibile libro di Gianfranco Fini: “IL FUTURO della LIBERTÀ” [1].
Tuttavia, il maggior dolore non ci è stato procurato dalla lettura del testo, che, anzi, in alcuni punti, è stato pure fonte di sano divertimento, bensì dal terribile pensiero che, per commentarlo, saremmo dovuti venir meno alla nostra regola di non sparare sulla Croce Rossa.

Confidiamo, comunque, di essere perdonati anche in virtù di quel “Buonismo”, che intride il libro al punto che l’Autore corre il rischio di (s)cadere nel caramelloso. Va, però, dato atto all’attuale Presidente della Camera che, così interloquendo, ha conseguito un risultato di rilievo: ha dimostrato che il “Buonismo” non è più patrimonio solo della Sinistra, ma anche della Destra; ora, entrambe riescono a parlare ed a scrivere senza dire più nulla.

2) Come spiega il sottotitolo: “Consigli non richiesti ai nati nel 1989”, Gianfranco Fini si rivolge a coloro che, oggi, hanno vent’anni; forse, si rifà al film, tanto evocativo e significativo quanto poco conosciuto: “A Jonas che avrà vent’anni nel 2000” [2]; sicuramente, coloro che nacquero, quando cadde il Muro di Berlino, costituiscono i suoi interlocutori, tanto che li definisce la “Generazione F”.
Ammettiamo che, essendo ignobilmente prevenuti, abbiamo pensato che “F” stesse per Fini e che, a causa della, peraltro forzata, frequentazione del Presidente del Consiglio, il pur notoriamente misurato e freddo, fors’anche algido, Presidente della Camera, avesse contratto la mania della megalomania.
Siamo stati, però, subito e sonoramente smentiti, perché, in realtà, “F” sta per: Futuro, cosicché: “Generazione F” va correttamente intesa come: “Generazione Futuro”.
Ristabilita la verità, possiamo finalmente misurarci con il leitmotiv/motivo ricorrente/argomento dominante del libro: l’Ideologia, la vera e propria peste del Ventesimo Secolo, che, in questo incontro-scontro con Gianfranco Fini, definitivamente e comprensibilmente defunge.

3) Al Mostro non viene lasciata via di scampo, poiché viene affrontato, in un epico corpo a corpo, per ben 48 volte in 166 pagine; a nulla gli servono le astuzie, consistenti nel camuffarsi da aggettivo o da avverbio, o nel farsi scudo dei prefissi: similideologiche, paraideologiche (p.103), perché sempre viene scovato e battuto.
Questo accanimento, giustamente non terapeutico, ha le sue brave ragioni: “I totalitarismi (Comunismo e Nazismo; NdA) hanno dunque trasformato i loro sostenitori in carnefici. Viene da chiedersi che cosa abbia mai potuto sradicare in tanti uomini i più elementari sentimenti di umanità. Che cosa abbia loro ottenebrato la mente e oscurato il cuore.
La risposta sta in una parola che avete già più volte incontrato nei capitoli precedenti: ideologia. È questo il primo strumento di potere del totalitarismo. È con l’ideologia che le idee politiche degenerano e si fanno “assassine”, per dirla con un robusto scrittore politico come Robert Conquest. È con l’ideologia che i dittatori vengono “divinizzati” e gli avversari annientati.
… Vale la pena citare l’efficace definizione di un fine letterato come Terry Eagleton: “Ciò che spinge di volta in volta uomini e donne a scambiare gli esseri umani per dei o insetti è l’ideologia” [3]”.
Di fronte a tanta perversione, chi non vorrebbe squarciare il cuore ad un simile Mostro, avendo, per di più, l’avallo di intellettuali robusti e fini? Inoltre, il Presidente della Camera (d’ora in avanti: PdC) da uomo equo e democratico, pur partendo dal crollo del Muro di Berlino, non sferza solo il Comunismo, ma anche il Nazismo, che, anzi, se la nostra visione ideologica non ci ottenebra la mente, viene ancor più duramente stigmatizzato: “… fu la pseudoscienza del marxismo a moltiplicare la potenza dell’utopia comunista, trasformandola in un mito che sedusse milioni di uomini: prima gli intellettuali … e poi le masse … Se il comunismo fu la menzogna dell’ideologia, il nazismo ne fu la barbarie.
… Il nazismo era culturalmente assai più rozzo del marxismo-leninismo. …Non sedusse gli intellettuali …” [4].
Avendo Gianfranco Fini preso l’abbrivio, nessuno può sperare di farla franca: “Ci furono il fascismo in Italia, il franchismo in Spagna, il salazarismo in Portogallo e altri regimi autoritari in Europa Centrale …” [5].
La consapevolezza della vitalità del Mostro spinge, poi, il PdC a non dargli requie, cosicché perfino i succedanei/surrogati vengono legittimamente perseguiti: “Può la società trarre dalle tante parole neoideologiche, similideologiche o paraideologiche … un motivo di speranza e di fiducia?
… Certo è difficile lasciare spazio a nuove idee … finché la politica continuerà a obbedire a riflessi pavloviani e a residui ideologici.
… Il nuovo mondo “possibile” sognato dai rimasugli ideologici che, in forme inedite, continuano a odiare capitalismo e società di mercato …” [6].
Essendo uomo non ingenuo, d’altra parte non si diventa PdC grazie al caso, tenendo conto dello tsunami finanziario, che sta devastando il fu Paradiso terrestre del Liberismo, Gianfranco Fini non ha esitazioni: “Questo processo è stato accompagnato dalla diffusione di una neoideologia, da molti definita «pensiero unico», la quale ha privilegiato la libertà economica trascurando quella politica, o per meglio dire considerando quest’ultima un dato scontato e inerte, non meritevole di una particolare cura.
… Ed è probabilmente anche per questa «ribellione» che una global class in fuga dalla concretezza e dalla realtà ha adottato la neoideolgia del «pensiero unico», o «mercatismo», ben descritta da Giulio Tremonti in La paura e la speranza …” [7]. Questo sacro fuoco, che non intende risparmiare neppure l’ombra dell’ideologia, affinché non turbi i sonni di tutti coloro che dalla sua tirannia si sono affrancati, ha suggerito ad un nostro amico delle scherzose considerazioni, che, per dovere di cronaca, non omettiamo.
A) Avendo la sensazione di assistere ad una vera e propria Crociata contro l’Ideologia, sorge spontanea la domanda: “Non vi è del vieto furore ideologico nel considerare l’Ideologia come l’autentico peccato originale di cui si è macchiata l’Umanità, per lo meno quella che ha avuto la sfortuna di vivere nel XX Secolo?”
B) Parafrasando il celebre incipit/inizio del “Manifesto” [8], si potrebbe dire: “Uno spettro si è aggirato nell’Europa del XX Secolo: quello dell’Ideologia, che ancor s’aggira, in questo inizio del XXI, nella testa del PdC, costituendone la segreta ossessione, che ne turba le notti ed i giorni …”.
C) Potrebbe questa (presunta) ossessione derivare dalla militanza, (peraltro ormai lontana nel tempo), del fratello gemello di Gianfranco Fini in un Partito sicuramente impregnato di ideologia, quale il fu Movimento Sociale Italiano?
D) La glorificazione della caduta del Muro e del conseguente crollo dell’”ultima ideologia” potrebbe esser considerata come un cosmico ringraziamento a questo succedersi di eventi, che hanno trasportato Gianfranco Fini dalla poltrona di Segretario di un Partito, destinato a rimanere all’opposizione per l’eternità, a quella di Pdc (per ora)?
E) Essendo che l’esistenza dell’uomo, nonché della donna, è scandita da molte nascite, sia pur simboliche, peraltro non meno importanti di quella fisica, non potrebbe darsi che l’attuale PdC, magari a livello inconscio, si senta ri-nato nel e con il 1989?
F) Se, si sottolinea se, le cose stessero così, questo libro non andrebbe considerato anche come una lunga lettera scritta in primo luogo a se stesso, per un evidente e nobile scopo catartico/purificatorio?
G) Tenuto conto dell’invidiabile aspetto giovanile del PdC, che cosa può impedire di vederlo come un ragazzo della “Generazione Futuro”?

4) Noi, comunque, avendo un carattere meno burlone del nostro amico, vorremmo fare considerazioni di altro tipo sulla problematica dell’ideologia, chiarendo subito, se non si fosse capito, che continuiamo ad aderire a quella comunista.
Premesso che il Presidente della Camera supporta le sue tesi con riferimenti ad intellettuali di prim’ordine, tre per tutti: Alexsandr Solzenicyn [9], Hannah Arendt, Karl Raimund Popper, riteniamo che la sua equiparazione tra Nazismo e Comunismo, pur se va di moda da oltre mezzo secolo, acquisendo sempre nuovi seguaci, segnatamente tra gli ex Comunisti, sia infondata per lo meno per quattro motivi.
A) Questa equiparazione è stata resa possibile dall’introduzione, nel dibattito storico-politico, del cavallo di Troia del Totalitarismo. Il fatto che le/gli intellettuali liberali fossero impegnate/i in una lotta culturale, che, in asprezza, non aveva nulla da invidiare a quella politica, che abbiano fatto benissimo, per la loro causa, a forgiare quest’arma, che quest’ultima si sia rivelata vincente, non toglie nulla ad un altro fatto: per il Totalitarismo, vale il giudizio dato da Hegel riguardo all’Assoluto di Schelling: “… la notte in cui tutte le vacche sono nere” [10].
Il Totalitarismo diviene addirittura risibile, se si pone mente a come uno dei tratti distintivi della cultura occidentale sia l’attitudine all’analizzare, al distinguere, allo sceverare, a volte fors’anche in maniera maniacale.
Per rimanere in argomento, basti dire che, dopo i meritori studi di Renzo De Felice, non solo il Fascismo non è più equiparato al Nazismo, ma neppure al Franchismo ed alle altre dittature di Destra degli Anni Trenta; che, poi, si usi il termine Fascista quasi ad ogni piè sospinto è cosa che rientra nella subcultura imperante, ma non interessa la storiografia.
Per esser concreti: una delle differenze fondamentali tra Nazismo e Comunismo è che il primo uccideva in base a presunti criteri biologici, cosicché nessun Ebreo o Rom poteva salvarsi, poiché non è possibile cessare di appartenere ad un’etnia e neppure rinnegarla; il secondo uccideva in base a criteri economici e/o politici: ricchezza, Anticomunismo; fino a prova contraria si può cessare di essere ricchi e/o Anticomunisti, magari fingendo per, comprensibilmente, salvare la vita.
B) L’ ideologia comunista si proponeva, semplificando al massimo, la fine dello sfruttamento dell’uomo ad opera dell’uomo, la conseguente liberazione dei secolarmente oppressi, il progresso intellettuale e materiale dell’Umanità intera. L’ideologia nazista si prefiggeva, senza farne mistero, la sottomissione di tutte le altre “razze” a quella “superiore”: l’ariana.
Pensiamo che questa fondamentale distinzione non abbia nulla di ideologico, tanto è vero che, se abbiamo ben compreso, è presente, sia pur in maniera parziale, anche nel testo del PdC: “Ebbene, fu la pseudoscienza del marxismo a moltiplicare la potenza dell’utopia comunista, trasformandola in un mito che sedusse milioni di uomini: prima gli intellettuali, che si sentirono depositari delle leggi segrete della storia, e poi le masse, che ebbero l’illusione di un nuovo regno di giustizia sulla Terra.
… Il nazismo non prometteva invece di liberare gli uomini dalla schiavitù, anzi la condizione di servitù di interi popoli presunti inferiori era teorizzata e perseguita” [11].
C) Si può pure accettare che l’unico criterio, per valutare le concezioni ideali, sia quello di gettare sulla bilancia i milioni di morti prodotti da ognuna, alla condizione però che valga per tutte. In questa maniera, la prima da gettare nella pattumiera della Storia sarebbe il Liberalismo, visto che è stato capace di legittimare perfino la schiavitù e tutto il suo corredo di orrori, visto che il Colonialismo ha raggiunto l’apice, proprio quando alto ed incontrastato splendeva il Sole, appunto, del Liberalismo, che, così, ha potuto illuminare lo sterminio di decine di milioni di indigeni dell’Africa e dell’Asia, nonché il genocidio degli aborigeni dell’Oceania e dei Pellerossa; oppure, questi non contano, perché non appartenenti alla “superiore razza dei Bianchi”?
Inoltre, l’apocalittico macello a cielo aperto, costituito dalla Prima Guerra Mondiale, non è stato realizzato dai molto civili Stati europei tutti, ad eccezione della Russia zarista, con governi ispirantisi al Liberalismo?
Infine, che cosa rimarrebbe del Cristianesimo e dell’Islamismo, se applicassimo pure a loro il criterio delle tonnellate di morti?
D) Solo un’ipocrisia cosmica, prodotta su scala industriale a ciclo continuo da una parte dell’intellighenzia occidentale e da quasi tutti gli operatori dei mass media, per tacere degli economisti e dei politici, consente di piangere lacrime di coccodrillo sui milioni di morti per fame, sui denutriti, sui malati e sui poveri, che il Neoliberismo, orgoglio e vanto dell’Occidente liberal-democratico, che lo ha incensato fino all’altro ieri, ha prodotto negli ultimi trent’anni e continua indefessamente a produrre, sia nel Terzo e Quarto Mondo, sia nei ghetti dell’opulento Occidente.
Naturalmente, su questo sistematico ed infernale terrorismo economico, con consenso unanime, è quotidianamente steso un velo di religioso silenzio.

5) Comunque, la parola “magica”, che più ricorre nel libro del PdC, non è Ideologia, bensì Libertà, presente, nelle 166 pagine, per ben 118 volte. È pur vero che il titolo è: “IL FUTURO della LIBERTA’”; tuttavia, sarebbe stato preferibile non esagerare, anche perché si dà l’impressione di operare un sequestro della Libertà, per monopolizzarla, in modo che chi, per sua disavventura, non fosse d’accordo con la Weltanschauung/visione del mondo dell’Autore, si collocherebbe automaticamente sul versante dell’odiosa illiberalità.
A prescindere da questa semiseria considerazione, sicuramente una caratteristica del testo è il buonsenso, che ispira e, talvolta, trasuda le/dalle numerose proposte[12], che appaiono così ragionevoli che ci si chiede sia come mai non siano già state trasformate in leggi con un consenso unanime , sia chi possa essere così irragionevole da pensarla diversamente.
Su questo versante, ammettiamo che il PdC è talmente disarmante, nel senso letterale del termine, che rischia di non avere oppositori, nonché di far, addirittura, naufragare l’intrepida portaerei della Democrazia, la quale abbisogna di un’opposizione, foss’anche alla Veltroni.
Invece, ci permettiamo di ipotizzare che proprio Veltroni, per tacer di Casini e di Rutelli, correrà a pierdifiato, per salire a bordo della portaerei, prima che essa salpi per l’immane compito di rinnovellare/rimodellare l’Italia, che è quanto propone il PdC ai suoi lettori, sia della “Generazione F”, sia della “Generazione PP = Passato Prossimo”.
Comunque vadano le cose, il “truce ideologo”, che è in noi, ricorda che il Buonismo è tanto suadente, fors’anche ammaliante, quanto inefficace.

6) Avendo affermato all’inizio che questo libro ci ha procurato anche del sano divertimento, ci incorre l’obbligo, anche per evitar di essere tacciati di egoismo, di segnalare al lettore alcune delle pagine più riuscite.
A) “Ritengo …che le istituzioni e i governi europei non siano riusciti …a suscitare fiducia presso i popoli continentali nell’idea stessa di Europa”[13]. A nostro avviso, sarebbe stato sorprendente il contrario, visto che, “molto democraticamente”, per elaborare la Costituzione europea, firmata nell’Autunno del 2004, a Roma, NON è stata eletta nessuna Assemblea Costituente, bensì è stata formata una Commissione di 400 (cosiddetti) Saggi, che, nelle loro chiuse e dorate stanze, hanno stilato, non il regolamento di una bocciofila, ma il documento fondamentale e fondante dell’Unione.
Inoltre, gli Esportatori di Democrazia erano così convinti di aver fatto, come direbbe il buon Calderoli, una porcata, che si sono ben guardati dal sottoporre la suddetta Costituzione all’approvazione dei “popoli continentali”, tramite un referendum.
B) “Diciamo che anche la crisi del 2008 dimostra che la fiducia è tutto” [14]. Certo, se Keynes, uno dei più grandi economisti del XX Secolo, nonché Roosevelt, eletto Presidente degli Stati Uniti per “sole” 4 volte, avessero saputo che, per uscire dalla Crisi del 1929, era sufficiente la fiducia, avrebbero cambiato mestiere, andando a fare i dottori, per iniettare forti dosi di fiducia in quei mollaccioni dei loro connazionali.
C) “L’anno nevralgico è il 1968. La voglia di cambiamento dei ragazzi europei esplode in forma di contestazione politica. La protesta parte dalle università e l’anno successivo dilaga nelle scuole e nelle fabbriche.… Però la vera rivolta, il grande strappo, il gigantesco mutamento sarebbero avvenuti nell’arco di un decennio, gli anni Sessanta, allo interno di milioni e milioni di famiglie europee. Sarebbero avvenuti con i capelli dei ragazzi che si allungavano e con le gonne delle ragazze che si accorciavano; con la musica rock, la musica pop e la moda beat … E cominciò la fase dell’iperpolitica e dell’ideologia dilagante” [15].
Così, il ’68, già ridotto ad un fatto di costume, (mancava solo di aggiungere ai capelli ed alle gonne un’altra fonte di forti dissidi tra genitori e figli: i primi volevano che lo sciacquone si tirasse con la destra, i secondi propendevano per la sinistra), diviene un fatto di malcostume: entra in scena l’orrida ideologia!
“Stranamente”, manca perfino un accenno alle posizioni, che assunsero, di fronte a questo sconvolgimento comunque epocale, le varie forze politiche, nonché la Magistratura, le forze dell’ordine, i mass media. Non nascondiamo che, procedendo nella lettura di questa originale e magistrale ricostruzione del ’68 e “dintorni”, speravamo ardentemente di essere illuminati sia sulle posizioni assunte all’epoca dal Movimento Sociale Italiano, sia sulle stragi, che, per oltre un decennio, insanguinarono l’Italia; invece, siamo rimasti …all’oscuro.
D’ altra parte, più volte, il PdC chiarisce che, su determinate problematiche, sono stati scritti innumeri libri, che, comprensibilmente, non possono essere sintetizzati da questo testo. Comunque, essendo lo spazio anche per noi tiranno, invitiamo soprattutto le/gli studentesse/ studenti, che devono affrontare la Maturità, oppure un esame di Storia Contemporanea, a prepararsi, per quanto riguarda il ’68, sulle imperdibili, imprescindibili, ma anche godibili, nonché edibili/mangiabili pagine 31-35 dell’aureo ed agile libretto del PdC; sicuramente, otterranno il massimo dei voti.
D) Ugualmente molto utile questo testo potrebbe rivelarsi per prepararsi sulla guerra del Vietnam; scrive, infatti, il PdC: “Guardavano alla Cina, tanti miei coetanei. E guardavano al Vietnam. Stavano dalla parte dei vietcong contro gli americani. I cantautori dell’epoca ci fecero pure canzoni di grande successo.
Non dico che i ventenni dei primi anni Settanta non dovessero guardare a quell’area della Terra devastata da una guerra lunga e crudele. E aggiungo anche che vedere la più grande democrazia del mondo, gli Usa, finire impantanata nella giungla del Sudest asiatico fu uno spettacolo doloroso.
Però penso ancor oggi che tanti ragazzi di allora avrebbero dovuto giudicare quella guerra in modo un po’ più equilibrato e con la consapevolezza che la ragione della democrazia e della libertà non stava comunque dalla parte dei vietcong e dei nordvietnamiti. Sono soprattutto convinto che non dovessero guardare a Saigon dimenticando Berlino. Poteva durare un simile abbaglio? Certo che no. E non durò” [16].
Questa lapidaria, nel doppio senso del termine [17], conclusione, sempre ”a base di democrazia e libertà”, ci ha così piacevolmente stordito che eravamo quasi sul punto di dimenticare che: “Il fronte politico rappresentava, secondo me, circa l’80% della battaglia, ma il Vietminh [18] aveva vinto su questo terreno sin dalla fine degli anni ’40; come ha osservato il presidente Dwight Eisenhower, Ho Chi Minh avrebbe vinto libere elezioni anche nel Vietnam del Sud“ [19].
L’autore di questa affermazione non è un sopravvissuto ideologo, bensì William R. Polk, ex membro del Policy Planning Council, professore di Storia all’Università di Chicago, presidente dell’Adlai Stevenson Institute of International Affairs, che non dovrebbero essere propriamente dei covi di sovversivi.
E) Comunque, uno dei pezzi veramente di bravura, nonché di paura per il triplo salto logico mortale in cui si avvita il PdC, è costituito dalla lezione di alta strategia, che potrebbe essere intitolata: “Come si (ab)batte il nemico”: “È in quegli anni, gli anni Ottanta, che fa la sua comparsa una nuova leva di giovani, diversa dalla precedente.
I sociologi la chiamano «Generazione X» … «X» stava per «senza identità», «invisibili», un po’ come se fossero gli «X- files» della storia. Sono stati definiti in questo modo … perché, come ragazzi, sarebbero stati apatici, un po’ cinici, poco inclini a seguire i sogni rivoluzionari e palingenetici dei «baby boomers».
In Italia vennero chiamati «paninari», perché avevano l’abitudine di riunirsi in branchi, con il vespone e il piumino della Moncler, davanti ai McDonald’s. Ritengo che quella generazione sia stata bistrattata e denigrata ingiustamente, perché, in realtà, la cosiddetta «Generazione X» è quella che ha aperto concretamente la strada alla libertà.
È stata la forza d’urto del nuovo mondo alle porte. Sono stati principalmente quei ragazzi a picconare, anche in senso letterale, il muro di Berlino. Sono stati loro a tradurre in costume di massa, istintivamente e «selvaticamente» il definitivo tramonto delle ideologie.
Lo hanno fatto magari senza una sofisticata cultura storica e politica. Ma, quello che conta, è che hanno sperimentato nella loro vita quotidiana, nelle loro abitudini e nella loro musica, l’insensatezza del dividere, discriminare e finanche uccidere gli esseri umani sulla base delle loro scelte politiche.
Il muro più alto di incomunicabilità tra le persone appariva proprio quello dell’ideologia” [20].
Pertanto, ora sappiamo che la strada che conduce alla vittoria è lastricata non dalla presenza, bensì dall’assenza di “… una sofisticata cultura storica e politica “, ampiamente compensata dal sentire “… istintivamente e “selvaticamente” il definitivo tramonto delle ideologie”, anche perché, se qualcuno lo avesse dimenticato, “Il muro più alto …” è “… quello dell’ideologia”.
Per quanto concerne la sperimentazione nel quotidiano dell’insensatezza: “… del dividere, discriminare e finanche uccidere gli esseri umani sulla base delle loro scelte politiche”, omaggiamo tutti gli “smemorati di Collegno” di questa sbiadita “foto”: “Si portarono dunque dietro mio fratellino che perdeva già sangue da ogni parte del corpo. … Andarono avanti così continuando a torturarlo ferocemente. Giorno e notte non gli risparmiarono le più atroci sofferenze. Gli legarono i testicoli da dietro con un filo, e gli ordinarono di correre. …Mio fratello rimase per più di due settimane sotto le torture. Gli strapparono le unghie, gli tagliarono le dita, gli tagliarono e bruciarono parte della pelle.
… gli tagliarono il cuoio capelluto e glielo tirarono giù da una parte. Gli tagliarono da ambo i lati anche le guance.  … Qualche minuto più tardi arrivarono tre camion dell’esercito: i torturati erano in quello di mezzo. … La mamma piangeva. Voleva andare a vedere e ad abbracciare suo figlio a rischio della vita.
I miei fratelli e mio padre dovettero trattenerla dal farlo. … Dopo averli messi in fila e cosparsi di benzina, i soldati appiccarono il fuoco a ciascun condannato. Molti chiedevano aiuto. Sembravano mezzo morti quando stavano buttati lì, ma quando i loro corpi cominciarono a bruciare si misero a chiedere aiuto.
… Mia madre quasi moriva da tanto che era il suo dolore. Abbracciò il figlio e ancora parlò con quel corpo straziato” [21]. Così morì, il 24 Settembre 1979, a 16 anni, Petrocinio Menchù Tum, contadino del Guatemala, che si era ribellato ai proprietari terrieri del suo Paese, che lo saccheggiavano su delega di quegli Stati Uniti, i cui istruttori avevano sapientemente addestrato i soldati torturatori indigeni, a cui venivano “appaltati i lavori sporchi”.
Quest’opera di “alta macelleria” non solo degli oppositori politici, ma anche della popolazione civile, al puro fine di terrorizzarla, scandì gli Anni Settanta ed Ottanta nell’America Meridionale e Centrale su impulso dei vari governi degli Stati Uniti, impegnati allo stremo “in difesa della Democrazia e della Libertà”.
“Naturalmente”, né Ronald Reagan, né Giovanni Paolo II, le: “… grandi, carismatiche personalità comparse sulla scena mondiale tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta” [22], né ancor meno i giovani della “Generazione X” potevano accorgersi di tutto questo, visto che, finalmente, non guardavano più Saigon, ma Berlino.
F) Vogliamo, comunque, concludere, non solo distogliendo lo sguardo dalle tragedie, che hanno martirizzato donne ed uomini in ogni Paese della Terra, ma anche in maniera gioconda.
Ancora una volta, l’opportunità ci viene offerta dalle “sudate carte” del PdC: “… negli anni hitleriani fu rispolverato e rilanciato il mito di Arminio, il capo barbaro che aveva sterminato le legioni dell’imperatore Augusto guidate da Varo nella foresta di Teutoburgo.
L’aggressione contro una delle più grandi civiltà del mondo antico, quella romana, era posta a fondamento dell’identità germanica, almeno così come la immaginavano i nazisti. Identità barbarica, quindi” [23].
Noi comprendiamo che il vero e proprio tour de force, a cui si è sottoposto il PdC, negli ultimi mesi, per il bene del Paese, esternando per lo meno una volta al giorno, intervenendo alle più diverse celebrazioni e rilasciando innumeri interviste, non gli abbia consentito di approfondire le problematiche affrontate. Tuttavia, essendoci apparsa in sogno l’ombra, peraltro minacciosa, di Arminio, siamo costretti a riportarne fedelmente le parole: “In primo luogo, il termine barbaro è, ormai, adoperato solo dai manuali scolastici di bassa lega (ogni riferimento a Bossi è puramente casuale; Nota di Arminio), poiché tutti gli altri, onde evitare di essere tacciati di razzismo, indicano i vari popoli con il loro nome: Germani, Angli, Sassoni, Visigoti … .
Per quanto mi riguarda, io nacqui tra i Cherusci; ebbi, poi, la cittadinanza romana!!!; infine, fui tra gli ufficiali di Varo, di cui divenni uno degli uomini di fiducia!!! Pertanto, «barbaro» sarà Lei! (Si notino le virgolette, pretese da Arminio, così come la maiuscola). In secondo luogo, non nego affatto che attirai Varo e le sue legioni in una trappola, nel 9 d. C., ma vorrei far notare che non ci fu nessuna aggressione dei Germani nei confronti dei Romani, poiché erano stati questi ultimi ad invadere il territorio germanico, come si evince dalla consultazione di qualsiasi carta geografica, visto che la celebre Selva di Teutoburgo si trova a non molti chilometri da Osnabruck, nome che non suona proprio latino; pertanto, si trattò di una lotta per rimanere liberi ed indipendenti, o no?
Infine, vorrei farLe notare un grossolano errore di valutazione, che, peraltro, in questo caso, Lei condivide con molti storici anche di chiara fama: le popolazioni germaniche non conoscevano il «prezioso» istituto della schiavitù, in virtù del quale degli esseri umani erano considerati e trattati come gli animali ad opera di altri esseri umani, mentre le legioni romane si facevano un dovere di introdurre
ovunque la schiavitù; da quale parte era la civiltà e da quale la barbarie?

7) Considerazioni finali.
Il disaccordo da noi manifestato, relativamente ad alcune tesi del PdC, non ci impedisce in alcun modo di riconoscere che si è impegnato molto nel dare il suo contributo a riscrivere la Storia; d’altra parte, Egli appartiene alla schiera di coloro che hanno vinto la Guerra fredda e del bottino di guerra è parte integrante anche il rifacimento della Storia. Pertanto, è con animo benevolo che Gli muoviamo un ultimo appunto.
Nella sopraccoperta del libro, vi è scritto: “GIANFRANCO FINI è stato presidente di Alleanza Nazionale per tredici anni, dalla fondazione nel 1995 fino al 2008.
… Dal 30 aprile 2008 è presidente della Camera dei deputati”.
Perché il PdC omette la precedente militanza nel Movimento Sociale Italiano, in cui ha pure ricoperto incarichi di tutto rilievo? Perché, soprattutto non dirlo proprio a quei giovani, che non possono averne conoscenza personale, per motivi anagrafici?
Quale futuro si può costruire tacendo il passato? Tuttavia, spezziamo volentieri una lancia a favore del PdC: molti commentatori delle italiche vicende hanno avanzato, riguardo ai motivi per cui è stato scritto il libro, le ipotesi più stravaganti; noi riteniamo, invece, che il Pdc sia stato mosso dal più umano degli impulsi: quello di sentirsi dire: GIANFRANCO È UN BRAVO RAGAZZO!
E, per quel che vale il nostro parere, vogliamo dire che ha centrato il bersaglio. Questo è tanto vero che, come qualcuno avrà già intuito, PdC può anche essere l’abbreviazione di: (futuro) Presidente del Consiglio! (Ricatti permettendo).

P. S.
I giorni in cui stavamo scrivendo queste pagine, che, invero, avremmo pure potuto risparmiare al prossimo, sono stati quelli in cui è esplosa l’ennesima bomba/bubbola massmediatica: quella del fuorionda.
Cogliamo l’occasione, per fare i nostri complimenti al PdC per la recita magistrale: solo un mattatore poteva dare in maniera così “autentica” l’impressione di essere stato registrato a sua insaputa; mancava solo che dicesse al giudice (ottima spalla) che Berlusconi, a tavola, mette l’indice sinistro nell’orecchio e quello destro nel naso!
Naturalmente, i complimenti sono estesi anche a chi ha curato le riprese di questa ennesima e superba commedia all’italiana.

Valerio Bruschini
valerio.bruschini@gmail.com

NOTE
[1] Fini Gianfranco, IL FUTURO della LIBERTA’ Consigli non richiesti ai nati nel 1989,
Rizzoli, Milano, 2009.
[2] Alan Tanner, Jonas che avrà vent’anni nel 2000, 1976.
[3] Fini, cit., pp. 48, 49.
[4] Ibidem, pp. 54, 56, 57.
[5] Ibidem, p. 46.
[6] Ibidem, pp. 103, 123, 151.
[7] Ibidem, pp. 125, 126, 160, 161.
[8] Marx Karl- Engels Friedrich, Manifesto del Partito Comunista:
“Uno spettro si aggira per l’Europa- lo spettro del comunismo”.
[9] Non nascondiamo che avremmo gradito che il PdC avesse risolto uno degli enigmi della recente storia culturale europea: come mai gli stessi mass media occidentali, che, prima del crollo dell’Unione Sovietica, avevano, giustamente, osannato Solzenicjn, non ne hanno, invece, più parlato dopo che egli condannò senza mezzi termini l’aggressione euro-statunitense alla Jugoslavia nel 1999?
[10] Hegel Friedrich, Fenomenologia dello Spirito.
[11] Fini, cit., pp. 54, 56.
[12] Tra le molte e molto ragionevoli idee del PdC, ricordiamo quelle relative agli immigrati ed alla laicità dello Stato, nonché l’invito rivolto ai giovani a non rimanere prigionieri né della sindrome di Peter Pan, né del Narcisismo di cui parla Christopher Lasch; infine, i “terribili” rimproveri alla globalizzazione sregolata.
[13] Fini, cit., p. 11.
[14] Ibidem, p. 15.
[15] Ibidem, pp. 31, 32.
[16] Ibidem, p. 37.
[17] “Lapidario … 1 conciso e solenne, sentenzioso … 2 che riguarda le iscrizioni scolpite su lapide …”; Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, p. 1353, Garzanti, Milano, 2008.
[18] Il Vietminh o Viet Minh era il movimento nazionalista, fondato dal leggendario Ho Chi Minh nel 1941, durante il suo esilio in Cina; conduceva la lotta sia sul piano politico, sia su quello militare , ove si avvaleva delle straordinarie doti strategiche dell’altrettanto leggendario Generale Giap. Al suo interno, erano presenti diverse forze politiche; quella egemone era il Partito Comunista; sconfisse sia gli invasori giapponesi, sia i colonialisti francesi, acquistando, così, quell’enorme prestigio di cui parlava Eisenhower.
[19] Polk William R., Le lezioni dimenticate del Vietnam, Le Monde diplomatique, pp. 8, 9, Novembre, 2009.
[20] Fini, cit., pp. 38, 39.
[21] Menchù Tum Rigoberta, Mi chiamo Rigoberta Menchù, pp. 210, 211, 213, 215, 216, 217.
[22] Fini, cit., p. 39.
[23] Ibidem, pp. 56, 57. L’ombra di Arminio ha pure tenuto a precisare che lui aveva sterminato i Romani, ma non le virgole, come si potrebbe pensare, leggendo il primo capoverso di questa citazione.