A proposito di un’intervista di Paolo Ferrero a la Repubblica
Un’intervista di Paolo Ferrero a la Repubblica ci costringe a fare il punto sulla deriva degli ex Arcobaleno. Ex Arcobaleno?, dirà qualcuno più pietoso di noi: ma è proprio necessario ricordarglielo ancora? Sì è necessario, per il semplice fatto che questi, non contenti dei disastri compiuti, stanno allegramente perseverando su quella strada. Una coazione a ripetere che la dice lunga sulla tempra e il coraggio del ceto politico dell’ex corte bertinottiana.
E’ questa una novità? No, è solo una conferma di quel che sapevamo. Ma in questi giorni c’è stata un’accelerazione che merita un commento.
Per oggi ci limiteremo alla parte dei sinistro-federati (Prc, Pdci, più frattaglie varie). Nei prossimi giorni, non fosse altro che per una doverosa par condicio, ci occuperemo delle comiche disavventure del Santo pugliese e della sua barchetta sinistro-libertaria impegnata in un’improba regata con lo skipper di Gallipoli, al secolo Massimo D’Alema.
«Anche con il diavolo»
«Sono pronto ad allearmi anche con il diavolo, a questo punto». E’ questo l’incipit dell’intervista rilasciata da Ferrero il 21 dicembre, sembrerebbe nella doppia veste di segretario del Prc e della neonata “Federazione della sinistra”. A questo punto? Perché «a questo punto»? L’ex braccio destro del Pavone spennato, il ministrucolo che non seppe dire di no neppure alle misure securitarie d’emergenza (autunno 2007) si arrampica ora sugli specchi per giustificare la sua ennesima giravolta.
Nel giugno scorso Ferrero proclamò: «O con noi o con l’Udc». Commentammo (vedi Alla frutta) che quel discrimine ci pareva improbabile ed artatamente esagerato. Ci chiedevamo infatti: «E che sarà mai l’Udc dopo aver digerito il democristiano Franceschini, il privatizzatore Bersani, il tecnocrate Letta, la teodem Binetti, il bombardatore D’Alema, l’americano Veltroni, l’odioso Rutelli?»
Eravamo insomma convinti che quel discrimine fosse fasullo, un modo per far passare intanto il nuovo accordo con il Pd, con la ragionevole certezza che quello con l’Udc sarebbe venuto di conseguenza. Evidentemente non si trattava di una previsione difficile.
Oggi non solo l’Udc va bene, ma (ce lo dice nell’intervista citata) andrebbe bene anche un Casini Primo ministro. Paolo Ferrero è appassionato di montagna, ma qui più che uno scalatore sembra un discesista, più ancora un’escursionista della domenica che sta precipitando a valle, magari inebriato dalla convinzione di aver elaborato chissà quale strategia politica.
Ma perché tanta spregiudicatezza? Per due motivi: il primo è che bisogna cacciare Berlusconi a tutti i costi (ben venga dunque l’alleanza con il “diavolo”); il secondo è che comunque il Prc (o, se preferite, la Federazione della sinistra) al governo non andrebbe, perché l’attuale legge elettorale garantirebbe in ogni caso al centrosinistra una solida maggioranza anche senza Ferrero e Diliberto.
Ma Ferrero non era quello dei “contenuti” che devono sempre prevalere sugli schieramenti? Ci sarebbe da ridere. Ma prima di andare a vedere la puerile costruzione iper-politicista avanzata nell’intervista a Repubblica, corre l’obbligo di rispondere alla domanda da cui siamo partiti: perché «a questo punto»? Ma perché le regionali si avvicinano, occorre fare gli accordi ovunque, e raccogliere qualche briciola (cioè qualche seggio) è sempre meglio di niente.
Questa è la ragione. Tutti gli altri discorsi servono solo ad abbellire la dura realtà di una deriva senza fine, dove oggi la ciambella di salvataggio si chiama Bersani. Lì bisognerà aggrapparsi e lì si aggrapperanno.
Ma se fosse “soltanto” così non sarebbe ancora niente. Il fatto è che, passo dopo passo, questi bertinottiani senza Bertinotti, costretti ad un matrimonio di convenienza con i cossuttiani senza Cossutta, stanno ripercorrendo in peggio il tragitto che li ha portati dove sono. Con la probabilità, qualora si andasse alle elezioni anticipate, di ritrovarsi nella maggioranza parlamentare a sostegno di un governo assai peggiore del Prodi 2006-2008.
Per rendersene conto basta leggere i passi salienti dell’intervista a Repubblica.
Il politicismo dei movimentisti
Spesso succede che il peggior politicismo, parente stretto del politicantismo, venga proposto da dirigenti di matrice movimentista. Non deve perciò stupire l’improbabile costruzione politicista del movimentista Ferrero.
Tuttavia, stupore a parte, siamo qui di fronte ad un tentativo che fa acqua da tutte le parti. Leggiamo dall’intervista:
Repubblica: Rifondazione non aveva rotto per sempre con i governi di centrosinistra?
«Infatti noi non entreremmo a far parte di un eventuale esecutivo, se la coalizione dovesse vincere le elezioni. Si faccia un accordo di governo all’interno del fronte comune, fra le forze che lo condividono. La sinistra ne resterà fuori, non ripeteremo l’esperienza del governo Prodi».
Repubblica: Senza mettere becco nella scelta del leader, dovesse essere anche Casini o un uomo del centro?
«Senza mettere becco sul candidato premier, è una questione che riguarderebbe i partiti che hanno firmato l’accordo di governo».
Repubblica: Una specie di neo-desistenza politica fra Rifondazione e il centrosinistra.
«Io la chiamo una somma di voti per l’emergenza democratica».
Repubblica: E poi il Prc ricomincerebbe come al solito a far ballare in Parlamento la coalizione.
«Con l’attuale legge elettorale, il premio di maggioranza è tale da assicurare pieni margini di manovra all’accordo di governo».
Ricapitoliamo il piano dello stratega piemontese: a) nasce un fronte comune antiberlusconiano (in pratica il “Cln” evocato da Casini); b) dentro quel fronte le altre forze fanno un accordo di governo, dal quale i sinistro-federati resteranno fuori; c) il premio di maggioranza renderà ininfluente i voti di questi ultimi; d) tutti vivranno felici e contenti: Casini andrà a Palazzo Chigi, per Fini si schiuderanno le porte del Quirinale, il Pd tornerà al governo benché dimagrito, a Di Pietro un posto si troverà.
Già, ma per fare quale politica? E chi se ne importa! Sicuramente una politica antipopolare ed atlantica, ma chissenefrega: gli astuti sinistro-federati mica saranno al governo, né nella maggioranza parlamentare, si saranno invece ritagliati un angolino per la loro opposizione di facciata.
Una concezione disperata e disperante
Possiamo dire che una simile concezione della politica è disperata? Sicuramente, per chi prova a seguirne la logica interna, possiamo affermare che è disperante.
E’ disperata e disperante perché non è minimamente credibile, ma se per pura ipotesi lo fosse sarebbe anche peggio.
La costruzione ferreriana altro non è che la formula del 1996 in versione 2010. Giustamente l’intervistatore richiama infatti alla memoria la “desistenza”. Anche allora lo schema era quello di battere Berlusconi, portare a casa un buon numero di parlamentari, che avessero però il curioso “privilegio” di essere ininfluenti. Berlusconi venne battuto, i parlamentari vennero eletti, ma non ebbero quel “privilegio” e finì come finì. Perché dovrebbe andare diversamente questa volta?
Naturalmente, ogni previsione di questo tipo è sostanzialmente impossibile, ma comunque lo schema poteva senz’altro funzionare meglio con il sistema uninominale e maggioritario di allora che con quello attuale, proporzionale con premio di maggioranza. La sicurezza spacciata da Ferrero è dunque un patetico bluff di un disperato costretto a sparare “certezze” laddove l’incertezza la fa da padrona.
Ma ipotizziamo per un attimo che i calcoli di Ferrero siano giusti. Bene, il messaggio che invia al suo elettorato è il seguente: votateci ma non troppo che altrimenti rischiamo di diventare “influenti”, mentre noi – da “ininfluenti” – scateneremo una grande opposizione, che dovrà però stare bene attenta a non far cadere il governo per quanto antipopolare esso sia, altrimenti al posto del “diavolo” con il quale ci siamo alleati, tornerebbe il bau-bau di cui ci siamo liberati. E, soprattutto, correremmo il rischio di dover votare di nuovo con il pericolo di poter tornare “influenti”.
Difficilmente può esistere una concezione più subalterna di questa.
La (futura) legge elettorale
Ma Ferrero, nel tentativo alquanto goffo di salvare la faccia, rispolvera anche un altro argomento, quello della legge elettorale. Per il segretario del Prc, in caso di elezioni anticipate, il fronte comune dovrebbe avere «al centro due questioni-chiave. Primo: difesa della democrazia e legge sul conflitto di interessi. Secondo: una futura legge elettorale, sul modello tedesco, per chiudere con la sventurata stagione del bipolarismo».
Domanda: quando mai ci si può presentare alle elezioni politiche – a maggior ragione in uno scenario di crisi come l’attuale – prescindendo dalle questioni economiche, sociali, della politica internazionale?
Inoltre, lasciando qui perdere la mitica legge sul “conflitto di interessi”, sempre all’ordine del giorno quando Berlusconi è al governo e puntualmente accantonata ogni volta che ci va il centrosinistra, chi l’ha detto che il sistema tedesco sia di per sé anti-bipolare?
Sicuramente, nelle stesse classi dominanti che hanno voluto il bipolarismo è in atto una riflessione sulla necessità di passare ad un sistema più funzionale. L’obiettivo è sempre lo stesso, la “governabilità”, nel senso della miglior gestione dei loro interessi di classe, accompagnata dalla sterilizzazione preventiva di ogni opposizione. Nello specifico della situazione attuale il problema per lorsignori è quello di formare un blocco abbastanza potente da poter mettere all’ordine del giorno una linea di pesanti sacrifici per le masse popolari.
Probabilmente oggi il sistema tedesco, voluto anche da Casini, risponde meglio a quell’esigenza. E’ quindi apparentemente curioso che tale sistema venga richiesto con impeto degno di miglior causa dai sinistro-federati.
Ma è curioso anche perché non si capisce come possano essere così sicuri di risalire al 5%. Forse il 5% previsto dal sistema tedesco potrà essere tradotto in italiano nel 4%, ma non gli basterebbe ancora.
Le elezioni regionali
Nelle elezioni regionali si ha la riprova del fatto che il sistema tedesco non è di per sé anti-bipolare. Alle regionali si vota infatti con il sistema proporzionale con sbarramento ma, guarda caso, i sinistro-federati sono i primi a mettere al centro la necessità delle alleanze. Dunque non è affatto vero che quel sistema svincoli dalla logica delle “coalizioni forzose”, quando è invece del tutto evidente che lo sganciamento da quella logica non è una mera questione di meccanismi elettorali, quanto piuttosto un fatto di volontà politica.
Ed è proprio alla questione delle regionali che ci riporta, assai significativamente, la parte finale dell’intervista di Ferrero, che si conclude con questa affermazione: «Pronti a sostenere Vendola in Puglia ma a Sinistra e Libertà chiediamo di difenderci in Lombardia dai diktat Pd di Penati».
Insomma, altro che storie, l’accordo va fatto ovunque, anche in regioni come la Lombardia dove non è certo in ballo il governo della regione. E va fatto con chiunque, anche con il Pd di Penati, confindustriale e mezzo leghista.
Sinceramente dobbiamo ringraziare Ferrero per la sua chiarezza, nella certezza che lui non potrà ringraziarci per la nostra previsione elettorale: una sberla ancora più dura di quella delle europee.
Ma lo ringraziamo anche per un altro motivo: l’aver confermato il segreto di Pulcinella dell’operazione Casini-Fini-D’Alema per un governo d’emergenza.
Un’operazione talmente chiara, talmente antipopolare, così platealmente benedetta dalle oligarchie e dai padroni d’oltreoceano, da richiedere fin da ora l’approntamento di un fronte d’opposizione democratico e popolare.