Esattamente un anno fa, a mezzogiorno del 27 dicembre 2008, Israele iniziò l’attacco aereo contro la Striscia di Gaza. Ieri, quasi a voler ricordare l’anniversario, l’esercito israeliano ha ucciso 6 palestinesi: 3 a Nablus ed altri 3 vicino al valico di Eretz, al confine nord della Striscia.
Anche questi ultimi avvenimenti ci parlano della drammatica situazione del popolo palestinese e di quella di Gaza in particolare.

L’attacco voluto lo scorso anno dal governo Olmert aveva uno scopo ben preciso: colpire la Resistenza, decapitare Hamas. Questi obiettivi furono mancati, e l’attuale governo Netanyahu, scaturito dalle elezioni dello scorso febbraio, continua a perseguirli oggi attraverso un assedio sempre più disumano.

Se gli scopi politici di fondo furono sostanzialmente mancati, l’attacco del dicembre-gennaio ha reso ancora più dura la condizione degli assediati, un milione e mezzo di palestinesi rinchiusi in quella prigione a cielo aperto chiamata Gaza.

 

Le conseguenze dei 23 giorni di bombardamento, prima dal cielo e poi anche da terra e dal mare, sono state pesantissime. E siccome il mondo (specie l’occidente) guarda altrove, è utile e necessario ricordarle.
I morti furono più di 1.400, i feriti oltre 5.000, mentre ad oggi si contano decine di casi di malformazioni fetali attribuibili alle bombe usate da Tsahal. Secondo gli stessi dati dell’Onu le case distrutte furono più di 11.000, mentre quelle danneggiate in maniera più leggera ben 52.000. Sta di fatto che secondo l’UNRWA (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati) ci sono, ad oggi, oltre 107.000 senzatetto a causa dei bombardamenti. La disastrosa situazione sanitaria è nota, meno conosciuto invece il colpo inferto alle attività produttive, con la distruzione di oltre 200 fabbriche ed il danneggiamento di un migliaio di attività commerciali.

Ma c’è di più: l’operazione “Piombo fuso”, questo il significativo nome voluto dalla dirigenza sionista, ha avvelenato l’acqua, l’aria ed il suolo di Gaza. In molte aeree non è più possibile usare l’acqua dei pozzi, ed il governo della Striscia ha dovuto vietare le coltivazioni nelle zone colpite da alcuni tipi di bombe, non soltanto quelle al fosforo bianco.
I bombardamenti israeliani, come risulta da uno studio condotto da New Weapons Research Group (Nwrc) hanno lasciato sul terreno forti concentrazioni di metalli tossici, in particolare tungsteno, mercurio, molibdeno, cadmio e cobalto. Questi metalli possono provocare nella popolazione leucemie, problemi di fertilità, malformazioni per i nuovi nati e patologie di origine genetica.

Insomma, il progetto di genocidio ai danni del popolo palestinese va avanti. E può andare avanti soprattutto grazie ad un assedio che continua nel silenzio generale. E non solo continua, ma verrà probabilmente inasprito con il nuovo muro d’acciaio sul lato sud della Striscia (vedi Il muro d’Egitto).
Se un anno fa Israele ha bombardato una prigione a cielo aperto, dalla quale ancora oggi nessuno può uscire; nell’anno trascorso la criminale prosecuzione dell’assedio ha impedito ogni attività di ricostruzione. Quella ricostruzione con la quale si riempirono la bocca i governi occidentali ed i regimi filo-americani del mondo arabo. Di quella ricostruzione non c’è alcuna traccia; mentre c’è, al contrario, la partecipazione attiva degli Stati Uniti al progetto del muro d’acciaio, alla faccia delle promesse di dialogo pronunciate da Obama nel giugno scorso proprio al Cairo.

Il totale collaborazionismo con Israele da parte egiziana è confermato anche da altre due notizie. Nei giorni scorsi il governo del Cairo ha comunicato al comitato organizzatore della Gaza Freedom March – che dovrebbe muoversi verso il valico di Rafah proprio oggi – che non consentirà l’entrata nella Striscia. Ed è di ieri la notizia della decisione egiziana di revocare l’ingresso – che in un primo momento era stato concesso –  anche a “Viva Palestina”, il convoglio umanitario guidato da George Galloway, e composto da 400 persone oltre cha da 150 veicoli carichi di aiuti.
Questo comportamento non è certo una novità, ma acquista un significato ancora più grave proprio per la ricorrenza che ha portato all’organizzazione di queste due iniziative.

E’ questo un momento particolarmente duro per il popolo palestinese, un momento di grande oppressione da parte degli occupanti, ma anche un momento in cui pesano tremendamente le difficoltà politiche determinate dal tradimento della dirigenza dell’Anp.
E tuttavia la Resistenza continua, a Gaza e non solo.
Nel ricordare il criminale attacco di un anno fa è quindi necessario rinnovare la solidarietà al popolo palestinese in lotta, sostenendo la Resistenza ed il legittimo governo di Hamas.
L’occidente sembra essersi assuefatto alla “normalità” della politica genocida di Israele. Rompere questo torpore deve essere dunque il primo compito di tutte le forze che sostengono la causa palestinese.

Sostenere Gaza non è soltanto un dovere etico, ma anche una priorità politica per chiunque voglia opporsi alla Guerra Infinita che Obama, sulle orme del suo predecessore, sta continuando non solo con le azioni militari in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Yemen, Somalia, ma anche con lo spudorato sostegno che continua ad essere dato alla politica razzista e genocida di Israele.
Schiacciare Gaza è fondamentale sia per Israele che per gli Usa, dato che Gaza non è solo simbolo di sofferenza, ma anche di Resistenza. Anche per questo il sostegno all’eroica resistenza di Gaza è oggi più importante che mai.