Considerazioni sulla “guerra asimmetrica”

Una guerra senza fine – “infinita” appunto –, una superpotenza imperialista che si auto-rappresenta come la più grande democrazia liberale, che agisce oggi come “la più grande delle tribù del mondo”, la sostanziale continuità di due presidenti (Bush ed Obama) nel condurre le guerre in corso e nel prepararne (Yemen) altre. E’ questa la fotografia degli Usa che scaturisce dalle riflessioni  di Marwan Bishara, di cui pubblichiamo di seguito la prima parte.
(Nella foto Gaza dopo i bombardamenti israeliani)

 

Gli Usa: una grande tribù guerriera

di Marwan Bishara*

Secondo la tradizione tribale yemenita, ove una disputa venga risolta pacificamente, nessun pugnale sguainato può ritornare nel suo fodero se non assaggiando del sangue. Un animale viene dunque macellato per soddisfare questa sete e ripristinare l’onore del suo possessore.
Da quando la Guerra Fredda finì col crollo dell’Unione sovietica ed il Patto di Varsavia senza che fosse sparato un solo colpo, la regione del “Grande Medio Oriente” è stata trasformata in un vero e proprio teatro di guerra.
Dalla guerra di Golfo nel 1991 passando per l’invasione dell’Iraq nel 2003, dalla  Somalia nel 1993 allo Yemen del 2010, senza dimenticare Afghanistan e Pakistan, le forze armate degli Stati Uniti ci sono andate pesanti nel mostrare la loro  capacità strategica di agire nei luoghi più remoti per dimostrare la loro capacità di proteggere e di far avanzare gli interessi degli Stati Uniti e dell’Occidente.
In poco tempo, i mezzi militari, la guerra aperta e l’occupazione sostituirono la diplomazia e la legge internazionale.
In ritorno, il bilancio del Pentagono è quasi raddoppiato rispetto al suo livello del settembre 2001, sorpassando così le spese militari combinate di tutti i paesi del mondo, tutto questo col pretesto della “guerra globale contro il terrore”.
Invece, i fallimenti pesanti in Iraq ed Afghanistan e negli altri paesi, hanno dimostrato che il mondo musulmano é troppo caparbio e ben lontano dall’accettare di essere offerto come un capro espiatorio sull’altare del comando globale.

Identità tribali versus identità statali

Da allora poi, le guerre devastatrici di terrore che hanno avuto luogo all’ombra della globalizzazione, hanno accelerato e indebolito strutture statali mentre hanno rafforzato istituzioni arcaiche, le identità tribali e settarie. Anche i regimi non direttamente toccati dallo schiacciasassi della “guerra al terrore”, hanno preso misure preventive fortificando il loro potere, sia attraverso l’inasprimento delle misure di sicurezza sia appoggiandosi sulle alleanze tribali.
Gli Stati Uniti ed i loro alleati regionali hanno così finanziato e trasferito ampi poteri verso i leader tribali, come in Iraq ed Afghanistan, ciò allo scopo di sconfiggere le forze d’opposizione insorgenti, sia islamiste che nazionaliste, mentre queste ultime hanno a loro volta tentato di guadagnare l’appoggio delle tribù per la loro causa contro gli “stranieri”.
Washington ha così seguito le orme del Regno Unito, che aveva acquisito sin dall’inizio della sua avventura coloniale una grande esperienza in fatto di politica tribale, armando e finanziando leader tribali per portare avanti la guerra in Iraq, questo sotto le sembianze di “The Awakening” (“Il Risveglio”) o ”The Sons of Iraq”  (“I Figli dell’Iraq”).
Così in Afghanistan, dove gli Stati Uniti maturarono negli anni ‘80 una lunga esperienza con le tribù settentrionali, allo scopo di riguadagnare l’iniziativa contro il regime a Kabul sostenuto dai sovietici.
E’ dunque un peculiare processo quello per cui in tutte le aree di conflitto del “Grande Medio Oriente”, il potere tribale è stato rafforzato ed è stato conferito a leader antidemocratici. Yemen, Libia, Giordania, Palestina e anche in “Stati falliti”  come l’Afghanistan e la Somalia, testimoniano la comparsa di un’alleanza simbiotica tra tribù e potere costituito.
Ma il fallimento degli Stati Uniti e dei suoi alleati nel raggiungere la stabilità – lasciamo che siano i soli a dichiarare “vittoria” – ha lentamente ma certamente trasformato il panorama politico, il quale è ora basato sulla coalizione di tribù, oppure sulla “tribù guerriera dominante” sulle altre.

“Figli dell’America”

Questa trasformazione non si è limitata al Medio Oriente. Impigliati nella globalizzazione, prigionieri dei diktat del mercato, i paesi più moderni, Stati Uniti compresi, proprio come l’ultimo dei paesi moderni, lo Yemen, stanno sempre più agendo con modalità e metodi primordiali.
Siccome la loro sovranità è condizionata dalle decisioni delle corporation e delle  multinazionali e dai movimenti del capitale, così come dalla globalizzazione culturale, molti stati controbilanciano il loro peso decrescente nell’economia e nella cultura, ricorrendo a mezzi alternativi per strutturare delle identità collettive, ad esempio intruppando i loro popoli attorno alla bandiera.
Con l’avvento dell’11 settembre e della “guerra al terrore”, la rabbia, l’umiliazione e la paura spinsero gli Stati Uniti verso guerre di “shock and awe”, verso la vendetta, la tortura, i sequestri -spogliando così i loro nemici-combattenti della loro umanità deportandoli in prigioni lontane.
La politica della paura, imperniata sul più cinico razzismo e sul nazionalismo, ha condotto a guerre che hanno sfigurato i tradizionali valori repubblicani e le libertà civili, mentre le guerre hanno minato il “contratto sociale” e gettato i cittadini degli Stati Uniti in una psicosi sicuritaria collettiva.
In breve, gli Stati Uniti di America, la più potente democrazia liberale ed avanzata, ha iniziato a comportarsi come la più aggressiva di tutte il tribù di mondo. Sebbene gran parte di questo mutamento venne pianificato dall’amministrazione di Bush sotto la cortina fumogena della “guerra al terrore”, l’elezione di Barack Obama ha disinnescato la critica alla guerra, ha spento il movimento per la pace e, ancora una volta, ha intruppato il paese sotto le medesime bandiere di guerra.
In questo modo la lealtà tribale ha preso il posto del patriottismo, la vendetta ha sostituito la legalità, e “O stai con gli Stati Uniti o contro” ha distrutto la solidarietà internazionale e la simpatia verso gli Stati Uniti manifestatasi dopo gli attacchi dell’11 settembre.

Guerra senza fine

Come la guerra asimmetrica ha preso il posto delle guerre convenzionali, le battaglie sono state sostituite da bombardamenti e massacri, le basi militari da covi e stanze di telecontrollo remoto, il controllo della popolazione e il pattugliamento dalla propaganda e dal terrore, e i confini nazionali sono superati da nuove linee imperfette che attraversano e tagliano ogni più piccolo stato Medio Orientale così come ogni grande città Occidentale.
Abbiamo gli afgani, i pachistani, gli yemeniti e i somali che lottano volontariamente e sono anche disposti a morire per la loro causa e identità collettiva contro regimi autocratici e corrotti; abbiamo poi soldati demoralizzati e contractors privati lautamente pagati; chi pensate vincerà alla fine della partita?
Prima di rispondere si considerino due importanti lezioni della guerra asimmetrica emerse dalle trasformazioni di vasta portata post-11 settembre.
In primo luogo, sul lungo periodo, la lealtà, la parentela, il sacrificio e un senso della giustizia e della appartenenza, è più potente di ogni potenza di fuoco.
In secondo luogo, “colui che lotta contro dei terroristi per troppo tempo è probabile che diventi come loro”.
Tutto questo richiede un radicale cambio di paradigma nella condotta della “guerra globale al terrore”, che tiene intere popolazioni in ostaggio della paura e della guerra.

 (continua)

*Analista di Al Jazeera
(traduzione a cura della Redazione. Apparso su www.english.aljazeera.net l’11 gennaio 2010)