Dal corteo di Livorno un segnale di lotta ed unità contro le “morti di stato”

Si è svolta ieri a Livorno la manifestazione (vedi l’appello) contro le uccisioni in carcere. Un corteo compatto, di un migliaio di persone, ha sfilato per le vie della città dietro allo striscione con la scritta «VERITA’ E GIUSTIZIA» in mezzo alle fotografie delle vittime più recenti della violenza di stato (vedi foto).
Il corteo si è mosso a mezzogiorno da piazza della Repubblica, per concludersi un’ora e mezzo dopo in piazza del Municipio dove si sono tenuti gli interventi conclusivi, tra i quali quelli dei familiari delle vittime.

Nonostante l’ingente presidio poliziesco del centro della città, il corteo è riuscito a trasmettere il suo messaggio di protesta e di lotta, riunendo famiglie colpite dallo stesso lutto che in alcuni casi si incontravano per la prima volta.
Negli ultimi tempi – dopo le morti di Stefano Cucchi e di Uzoma Emeka, il detenuto nigeriano che denunciò i pestaggi nel carcere di Teramo – si avverte una maggiore consapevolezza sulle violenze perpetrate dalle forze di polizia in carcere e durante l’esecuzione di arresti e perquisizioni.
Ma nonostante questa nuova attenzione, i responsabili restano sempre impuniti, a dimostrazione di una pesante copertura da parte dello Stato e della stessa magistratura.

Ma perché la manifestazione si è tenuta proprio a Livorno?
Perché è in questa città, nel carcere delle Sughere, che il 12 luglio del 2003 moriva il ventinovenne Marcello Lonzi. La versione ufficiale parlò di “arresto cardiocircolatorio”, ma i segni presenti sul suo corpo lasciavano ben pochi dubbi sul fatto che avesse subito un violento pestaggio. La madre, Maria Ciuffi, ha condotto in questi anni una lunga battaglia per la riapertura dell’inchiesta, sulla quale si attende a breve il pronunciamento della procura di Livorno.
La sua richiesta di «verità e giustizia» è la stessa degli altri familiari – ricordiamo, fra gli altri, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani, Aldo Bianzino, Niki Aprile Gatti, Stefano Frapporti –, ma vale evidentemente per tutti, a partire dalle vittime più indifese dei soprusi e delle violenze poliziesche: pensiamo ai tanti immigrati in fuga dalla fame che finiscono per trovare nel nostro paese solo il carcere od i CIE (Centri di identificazione ed espulsione).

Di tutto questo ha parlato il corteo di ieri, ricordando la realtà di un paese sempre più avvolto in una logica autoritaria e repressiva. Gli oltre sessantamila detenuti, i 150 morti annui (la metà suicidi) nelle prigioni italiane di questo ci parlano. Ma ci parlano anche della crisi profonda di un sistema e di una società – basti pensare al silenzio delle istituzioni e dei media – che ormai non ha più neppure il coraggio di guardarsi allo specchio.
Che Livorno sia solo l’inizio!