Le riflessioni di Carlos Aznares, direttore di “Resumen Latinoamericano”, su una Resistenza che continua

È iniziato come tanti altri golpe militari, con le truppe nelle strade, con la violenza nei volti degli insubordinati, con proiettili all’ingrosso di fronte all’obiettivo concordato, con i calci nelle porte, con l’intemperanza delle urla per generare terrore, vetri e mobili rotti, e alla fine con un sequestro, come i tanti che fecero i militari latinoamericani negli ani ’60 e ’70.

Sì, è iniziato tutto in maniera molto simile ai ricordi che portiamo nella nostra memoria. Quello che succede è che differentemente dalle altre volte, non ce lo aspettavamo, non eravamo all’erta, abbiamo evidentemente abbassato la guardia.

 

Alla fine, come accade in questi casi, pochi hanno successivamente reagito ed il resto, la grande maggioranza, lo hanno fatto quando tutto era già concluso. Da qui il vantaggio dei golpisti dell’Honduras e i loro sponsor ufficiali – questi sì che non hanno sorpreso nessuno – i gringos del Nord.

Indubbiamente, poiché in questi casi c’è sempre un fattore che aiuta affinché la storia non si ripeta, con punti e segnali, la grande novità di questa particolare e dolorosa incursione dei militari fascisti, è stata la straordinaria reazione del popolo tutto dell’ Honduras. Diciamolo senza titubanza: nessuno, assolutamente nessuno, fuori del territorio per il quale il generale Francisco Morazán si accampò, si immaginava cosa sarebbe successo con questi contadini, operai, studenti, casalinghe, e perfino con i più anziani e con i più giovani. Fuenteovejuna ne esce ridimensionata al cospetto di ciò che hanno significato questi lunghi sei mesi di Resistenza, di centinaia di migliaia di persone che marciano, interponendo i propri corpi, cadendo e successivamente rialzandosi, gridando le proprie parole d’ordine di pace, ma facendo sentire anche i propri avvertimenti di guerra se non avessero ridato il maltolto, difendendo la democrazia umiliata con le armi della immaginazione ed il coraggio nelle strade.

Sono stati giorni da epopea nei quali le donne hanno giocato – come sempre succede, al di là della lettura patriarcale che alcuni fanno – un ruolo più che meritorio: organizzando, creando, combattendo, ed impiegando anche la sollevazione popolare per mettere in chiaro che non vogliono nessun golpe di nessun tipo, né dei militari né del machismo infame che in genere si cela nelle nostre fila.

L’onda di protesta è stata di tale grandezza che giorno dopo giorno è riuscita a conquistare le prime pagine dei giornali complici del golpismo, a livello internazionale, e non c’è stato un angolo del pianeta dove non si sia espresso che “Honduras siamo tutti e tutte”, quello che lì si stava, e si sta giocando, ci riguarda, riguarda la maggioranza, come se fosse la Palestina, l’Iraq o l’Afghanistan. L’Honduras è diventato, colpo dopo colpo, un simbolo della ribellione come non accadeva da quando i gringos assaltarono, con la stessa violenza e terrore, Santo Domingo, Panama, Grenada. Perché questa volta, così come fecero i dominicani comandati dall’eroico colonnello Francisco Caamaño Deñó, il popolo ha deciso che se non combatteva decisamente con gli usurpatori del potere, con coloro che hanno rapito il loro leader e generato le condizioni per le quali si avesse la tanto agognata Assemblea Costituente, l’arretramento sarebbe stato letale.

Questa resistenza che ancora oggi ha un potere incalcolabile – nonostante si stia tentando di renderla invisibile per sconfiggerla – non è certo nata dal nulla, oltre al fatto che abbia sorpreso per la sua forza. Ed in questo ricorda molto quella di Evo in Bolivia. Adesso è facile dire, che è importante il processo che un umile indigeno arrivi a governare un paese, ma si dimentica che affinché si realizzasse ciò ci sono stati centinaia di combattimenti precedenti, massicce sollevazioni e morti dovunque, prigionieri e desaparecidos. C’è stata una ribellione strategica per arrivare a mostrare completamente il potere della Resistenza.

In Honduras è accaduto qualcosa di simile. Oltre al silenzio informativo generale, durante gli anni si è delineato questo vigore contestatario del presente. Importantissime mobilitazioni contro il TLC, in difesa della terra, o per fermare le privatizzazioni. Scontri nelle strade, corpo a corpo, con i militari e la polizia che adesso stanno nel governo, ma già da molto tempo, e questo ce lo raccontavano i dirigenti della Resistenza, da quando gli USA hanno trasformato l’Honduras in una portaerei per poter da lì attaccare la Rivoluzione Sandinista. In quegli anni nei quali genocidi come Billy Joya (attuale consigliori di Gorilletti) dirigevano gli Squadroni della Morte per terrorizzare il popolo di Morazán. In quei momenti sono stati centinaia, migliaia, gli uomini e le donne dell’Honduras che si organizzarono in mille modi per fermare l’avanzata imperiale e di conseguenza in attiva solidarietà con i loro fratelli del Nicaragua. Tutto ciò è conservato nella memoria, come dice una canzone.

Lo si è già detto fino alla nausea, questo golpe è sperimentale, non attacco solo l’Honduras, ma è parte della strategia contro l’ ALBA e la politica di ribellione latinoamericana comandata da Cuba, Venezuela, Bolivia, Ecuador, Nicaragua… questo golpe, insieme alla IV Flotta e alle basi piazzate in Colombia e adesso a Panama, ha il chiaro obiettivo di permettere che gli USA si assicurino una buona vita nel futuro con l’usufrutto delle nostre ricchezze naturali. Ma questo non è tutto: anche questo golpe cerca, con un chiaro spirito di classe, razzista e prepotente, di dare uno schiaffo alla “insolenza plebea” che dal Chiapas a El Alto, dai confini della Patagonia mapuche alle esperienze di occupazione della terra dei Sem terra, ci dà conto del fatto che quelli che stanno in basso vogliono e devono lottare per i propri diritti. È un golpe contro i popoli che insorgono, una maniera di marcare il territorio da parte delle oligarchie locali.

Il golpe, inoltre, e questo sì che non ha possibilità di tornare indietro, è servito per smascherare quell’imbroglione afroamericano (per la vergogna dei suoi antenati) con la faccia simpatica e che è arrivato al governo appoggiato dal basso per quelli che hanno sofferto il razzismo ed il terrore negli USA, ma anche delle lobbies sioniste e la famiglia Clinton, roba non da poco. Honduras ed Afghanistan sono la tomba del falso Obama, di quella nuova avventura imperiale lanciata sul mercato dall’apparato pubblicitario delle transnazionali che fanno e disfano.

È per tutto questo che in questo bilancio obbligato che si è soliti scrivere ogni volta che termina un anno ed inizia un altro, consideriamo i fatti dell’Honduras come i più importanti di ciò che è accaduto nel 2009. Ma lo nominiamo anche perché siamo sicuri che il popolo dell’Honduras non è sconfitto, che la resistenza continua sul piede di lotta, adeguando il suo procedere agli avvenimenti, generando dalla base l’ingovernabilità degli invasori della sovranità popolare, dimostrando in tutta evidenza che anche se il golpismo è riuscito a mettere ai suoi piedi alcuni governi mercenari, questa guerra è a morte e come dice l’inno realizzato da Liliana Felipe e ripreso da migliaia di voci nelle strade di Tegucigalpa e San Pedro Sula, “ci temono perché non li temiamo”. Per tutti e tutte loro, che continuano a dare l’esempio della dignità nelle strade, non ci saranno righe, né immagini né voci, che possano ringraziarli per tutti i granelli di sabbia che hanno apportato alla Rivoluzione Latinoamericana che lentamente ed inesorabilmente continua la sua marcia trionfante.

da www.aporrea.org
traduzione di Ciro Brescia