Dalla cappa ovattata che maschera la grave crisi economica e occupazionale che attanaglia l’Italia emergono nonostante tutto due centri irrinunciabili di protesta: il NO TAV della Val di Susa e il NO DAL MOLIN.
Quest’ultimo, con un colpo di mano ben organizzato, durante il cambio della guardia del servizio di sicurezza che vigila sulla erigenda “Ederle 2”, ha occupato con alcune decine di attivisti il cantiere della nuova base americana. Qualcuno si è incatenato alle macchine operatrici, altri si sono arrampicati sulle gru e vi hanno fatto sventolare le bandiere della pace.

 

Le “forze dell’ordine” intervenute successivamente hanno fatto sgomberare i manifestanti che non hanno opposto resistenza. Lo strascico poliziesco consiste in 37 denunce per “intromissione clandestina in area militare e danneggiamenti (il taglio della rete di recinzione).

Non si tratta di fenomeni sociali da poco: i “popoli” di destra e di sinistra si sono abituati a tollerare o addirittura a condividere le peggiori nefandezze perpetrate da una classe dirigente sempre più impegnata a difendere unicamente i privilegi di cui gode, la fetta di potere più o meno grande che si è accaparrata, e la benevolenza dei grandi centri di potere, nazionali ma soprattutto esteri, Stati Uniti in primo luogo.

Limitandoci al NO DAL MOLIN non si può innanzitutto non far notare che la battaglia contro il raddoppiamento della base militare USA dura da ben quattro anni. Una parte di chi si opponeva all’installazione ha abbandonato le posizioni per stanchezza, ma più spesso per aver accettato un “risarcimento” assolutamente incongruo: una fetta di terreno da adibire a parco pubblico, fondi per la costruzione della circonvallazione Nord (utile soprattutto come collegamento fra le due basi) e qualcosa per i trasporti urbani. E’ difficile capire come queste “compensazioni” civili, pagate oltretutto dall’Italia, anziché, come promesso, dall’ “amico americano”, abbiano potuto far accettare una nuova e bellicosa base militare. Tra costoro spicca il sindaco “di sinistra” Variati, antibase in campagna elettorale e pragmatico quando si è stati certi che la “Ederle 2” si sarebbe comunque fatta. Nel frattempo a quella esistente, la “Ederle 1”, non si lesinano investimenti: una nuova piscina coperta, così come un ampliamento della palestra, un centro medico e dentistico di prima categoria, nonché scuole elementari e medie all’avanguardia nel Villaggio.

Questo mentre le caratteristiche “coloniali”, e le minacciose dimensioni della base si precisano sfacciatamente: I due responsabili della base, il generale William Garrett comandante di AFRICOM (già SETAF) e il colonnello Erik Daiga, comandante della guarnigione, hanno firmato recentemente un articolo, pubblicato in inglese e in italiano nell’ultimo numero della rivista “Outlook”, organo di informazione della comunità americana a Vicenza, dove di dichiara che «Entro la fine del 2012 il Dal Molin diventerà l’installazione più moderna ed ecocompatibile (sic!) utilizzata dal comando militare statunitense. Con il consolidamento dell’unità di combattimento 173esima brigata paracadutisti, l’evoluzione di Us Army Africa in una componente terrestre (Ascc) molto competente e indipendente, e la crescita degli elementi di supporto, la comunità militare di Vicenza diverrà presto la seconda comunità militare statunitense, per dimensioni, in tutta Europa» (seconda forse solo a Bondsteel, la nuova e famigerata base USA creata dagli americani in Kosovo dopo “avervi impedito un genocidio” n.d.r.).

Tutto ciò mentre i lavori per la nascita della “Ederle 2” procedono speditamente nonostante i non pochi inconvenienti che nascono in continuazione: dopo il ritrovamento di reperti archeologici che però non hanno fermato gli scavi, è stata la volta degli allagamenti sospetti che si sono formati all’interno dell’area militare. Il comitato NO DAL MOLIN afferma che gli allagamenti sono dovuti al riemergere della falda freatica. Siamo in piena fascia pedemontana e proprio qui il territorio è ricco delle falde idriche formatesi dai drenaggi montani. Ora, la falda che nel comune di Sandrigo, a poche centinaia di metri dal cantiere, si trova a 50 metri di profondità, nell’area dell’ex aeroporto “…esonda: basta scavare 50 cm per trovare l’acqua, tanto che le stesse trincee scavate dalla Sopraintendenza ai beni archeologici sono allagate. Laghi di alcune migliaia di metri quadri costellano l’area, mentre sono state installate idrovore particolari che la Vinca (la Valutazione d’Incidenza Ambientale approvata dalla Regione Veneto) aveva tassativamente vietato per i danni che possono provocare alla falda”. http://www.nodalmolin.it/spip.php?article771

Stando alle dichiarazioni fatte durante l’assemblea del NDM dall’ingegnere Guglielmo Vernau: “…la palificazione realizzata per le fondamenta degli edifici sta impedendo il regolare deflusso dell’acqua… i pali conficcati sono impermeabili, e sono molte migliaia; inoltre la loro presenza ha compresso il terreno, e l’acqua non riesce più a filtrare; in sostanza i tecnici della Cmc (la cooperativa “rossa” muratori e cementisti di Ravenna n.d.r.) hanno creato una diga lunga 1400 m sotto il piano campagna del Dal Molin. Naturalmente, ne erano consapevoli, sapevano i danni che avrebbero prodotto”.

Insomma gli allagamenti nell’ex aeroporto sono valsi da spunto per l’ennesima impresa dei resistenti del NO DAL MOLIN. E’ una riprova che ormai la battaglia contro la base si gioca esclusivamente sul piano  ambientale e pacifista, anche se a latere c’è un apprezzabile spirito “nazionalista”: “Questa è casa mia” recitava infatti uno dei cartelli utilizzati durante il blitz. Siamo lontani dallo spirito di quelli affissi tempo fa alla “Ederle1” dai RdB-CUB: “Via le truppe dall’Afghanistan e da Vicenza”, “Chiudere le basi, non le fabbriche”. “Le basi vicentine sono basi di guerra che seminano morte e distruzione – dice il sindacato – Non vogliamo compensazioni: vogliamo che le truppe Usa se ne vadano”.

Nulla di ciò muove le iniziative, o si trova attualmente nelle dichiarazioni del NO DAL MOLIN che magari spesso agisce per visibilità e con eccessivo protagonismo.  Ma questi sono i tempi che corriamo, e se questo è quello che si oppone coi fatti (anche ieri sera, lunedì 1 febbraio, con temperature artiche, c’è stata una fiaccolata con un migliaio di partecipanti) all’occupazione militare americana va comunque apprezzato e sostenuto.
La durata della protesta fa ben sperare che questa sia costretta ad assumere infine anche i caratteri di una lotta antimperialista. Lotta che diventerà sempre più necessaria se si interpretano correttamente anche le prime mosse internazionali  della presidenza Obama.