Alcune considerazioni sul “Piano Carceri”
Con molta enfasi il Governo ha presentato, a grandi linee, il suo Piano Carceri, e sul sito della Presidenza del Consiglio sono presentati i “quattro pilastri per affrontare l’emergenza”:
– il primo, definito “punto di partenza” dell’intero piano, è la dichiarazione dello “stato di emergenza nazionale”, disposto con decreto del Presidente del Consiglio in data 13.01.2010 sulla base della legge 225/1992.
– Il secondo prevede la costruzione, a partire dal 2011, e quindi in aggiunta ai 47 nuovi padiglioni da affiancarsi a strutture carcerarie già esistenti, la cui realizzazione è prevista nell’ambito dello “stato di emergenza” (per ora dichiarato fino al 31 dicembre 2010), di ben 18 nuove carceri. Questi interventi dovrebbero portare “alla creazione di 21.709 nuovi posti negli istituti penitenziari elevando la capienza totale a 80.000 unità”.
– Il terzo pilastro è finalizzato a “consentire una progressiva diminuzione della popolazione carceraria” mediante la “possibilità di scontare con i «domiciliari» l’ultimo anno di pena residua ad eccezione di coloro che sono stati condannati per reati gravi” e, altresì, mediante “la «messa alla prova» delle persone imputabili per reati fino a tre anni che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità per riabilitarsi con conseguente sospensione del processo”.
– Il quarto pilastro, infine, prevede l’assunzione di 2000 nuovi agenti della Polizia Penitenziaria.
********
E’ possibile svolgere qualche prima riflessione. Innanzitutto, a proposito dello “stato di emergenza nazionale”, si tratta di una emergenza costruita e costantemente ri-costruita dall’allarme permanente, indotto dai media (e dall’“intelligenza” che li muove), a proposito di ogni forma di cosiddetta devianza; dalla previsione della risposta carceraria come, sostanzialmente, principale risposta alle varie forme di disagio sociale; dal costante processo di “carcerizzazione” dell’immigrazione; dall’introduzione di leggi processuali sempre più centrate sul carcere come predominante misura cautelare; dalle prassi liberticide dell’autorità giudiziaria che, lungi dall’essere “faro di democrazia”, così come ama presentarsi, è artefice, in prima persona, del sovraffollamento delle carceri.
Ma, poi, va sottolineato come il ricorso allo “stato di emergenza nazionale”, oltre ad avere una incidenza significativa nell’immaginario collettivo, costituisce un ulteriore abuso della legge 225/1992 (della legge, cioè, istitutiva del Servizio Nazionale per la Protezione Civile).
Lo stato di emergenza, infatti, è previsto esclusivamente al verificarsi di “calamità naturali, catastrofi o altri eventi (e qui sta l’insidia normativa, ndr) che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con poteri straordinari”, e per l’attuazione degli interventi di emergenza è previsto anche l’utilizzo di “ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente”. Ebbene, non può sfuggire a nessuno la pericolosità, in linea di principio, del potere di ricorrere ad ordinanze “extra ordinem”, e della diffusione di questo potere.
Si pensi che lo “stato di emergenza” è stato dichiarato anche in relazione alle “attività di contrasto all’eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari”, per la prima volta il 20 marzo 2002, con successive proroghe (salvo brevissime interruzioni) fino – al momento – al 31. 12. 2010.
Ancora, lo “stato di emergenza” era stato dichiarato anche per la questione dei rifiuti nella regione Campania (e pensiamo cosa succederà se diverrà operativa la scelta di costruire centrali nucleari…).
Ma torniamo a quanto riguarda specificamente il Piano Carceri: la dichiarazione dello “stato di emergenza nazionale” (Commissario Delegato è stato nominato il capo del DAP, Franco Ionta, già esponente del c.d. pool antiterrorismo della Procura di Roma) può, ad esempio, far sì che i “47 nuovi padiglioni” da affiancare a “strutture carcerarie già esistenti” vengano realizzati in deroga alle norme vigenti, ad esempio, in tema di condizioni strutturali delle celle, spazi comuni ecc…
E’, inoltre, evidente la mistificazione che si realizza riducendo la questione carceraria al solo problema del sovraffollamento, e ciò proprio quando nell’ultimo periodo si sono verificati casi clamorosi di suicidi, uccisioni, morti sospette e pestaggi di detenuti. E, certamente, è molto più realistico ipotizzare che uccisioni e/o morti sospette siano legate a situazioni di isolamento piuttosto che di sovraffollamento. In ogni caso, inoltre, è chiaro che i soggetti più deboli, a rischio suicidio, avrebbero innanzitutto bisogno di non stare in carcere, o, quantomeno, avrebbero bisogno di adeguati supporti psicologico/sanitari, invece ora del tutto assenti, e assolutamente non previsti dal Piano Carceri.
Nella mistificazione ci sta, a mio avviso, anche il disegno, nel proclamare la necessità di giungere celermente a una capienza di “80.000 unità” di convincere che ci sarà sempre più bisogno di carcere, anche a fronte di misure di alleggerimento, come quella che prevede i domiciliari per l’ultimo anno di pena (peraltro già oggi concedibili dalla Magistratura di Sorveglianza per gli ultimi due anni di pena, e, in casi particolari, per gli ultimi quattro anni: e la previsione di un simile automatismo è conferma del ruolo eminentemente “custodiale” svolto dalla stessa Magistratura di Sorveglianza), ovvero la “messa in prova” con sospensione del processo per gli imputati di reati con pena fino a tre anni.
Previsione, dunque, da parte del Governo, di un deciso aumento della repressione penale.
Doveroso, a questo punto, è anche ricordare il circuito della detenzione amministrativa (cioè applicata senza che sia stato commesso alcun reato, e per un tempo fino a sei mesi) per gli immigrati.
Ma, se ritorniamo al Piano governativo, possiamo svolgere qualche ulteriore considerazione. Il Piano Carceri, infatti, non si occupa specificamente (neppure la nomina) della “detenzione speciale” – in senso proprio (art.41 bis) e improprio, ma sostanziale (circuito AS), la cui gestione si muove secondo una sua precisa logica, che potrà, però, usufruire degli spazi edilizi che l’Amministrazione, in seguito al Piano Carceri complessivo, ad essa vorrà destinare.
Ricordiamo, sul tema, che in seguito all’entrata in vigore del c.d. pacchetto sicurezza dell’estate scorsa, e alle modifiche, così introdotte, dell’art.41 bis dell’Ord. Penit: “I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria”. E, scrivendo di “sezioni speciali e logisticamente separate…” è spontanea (è come una sorta di intuizione che mi sorge mentre scrivo) l’associazione con i “padiglioni affiancati a strutture carcerarie già esistenti”.
Se poi, d’altra parte, vado a controllare (scrivo “in progres”) quanto è scritto nel “programma degli interventi necessari per conseguire la realizzazione di nuove infrastrutture penitenziarie e l’aumento della capienza di quelle esistenti” datato 27 aprile 2009 e redatto dal Capo del DAP Ionta, nonché la relazione illustrativa, verifico che molti degli “interventi per la realizzazione di nuovi padiglioni detentivi all’interno di istituti esistenti” riguardano proprio carceri ove è applicato il 41bis, ad esempio Sulmona, ovvero carceri ove sono collocate sezioni di c.d. Alta Sicurezza (AS), come, ad esempio, Asti, Alessandria, Voghera, Opera, Carinola, Catanzaro. Peraltro, nella relazione, sono anche espressamente previsti “due padiglioni detentivi presso i nuovi istituti di Cagliari e Sassari (per complessivi 180 posti) destinati ad ospitare i detenuti sottoposti al particolare regime dell’art.41 bis dell’Ord. Penit.” E così è anche applicata la “insularizzazione”…
La realizzazione del Piano Carceri potrà, quindi, essere l’occasione, per l’Amministrazione Penitenziaria, di proseguire nel programma di differenziazione dei vari “circuiti” anche sul concreto piano edilizio e strutturale.
Ricordiamo come la Circolare DAP 3619/6069 del 21 aprile 2009 (che ha formalmente eliminato il circuito EIV-Elevato Indice di Vigilanza, poiché condannato dalla Corte di Strasburgo, per ridefinirlo come AS2) ribadisce che “il criterio di assegnazione in AS risponde alla necessità di separare i detenuti appartenenti alla realtà della criminalità mafiosa e del terrorismo da tutti gli altri detenuti” e prevede che “con riferimento alla futura destinazione degli attuali appartenenti all’EIV, ai fini della loro riassegnazione a nuovo circuito, valgono le seguenti disposizioni…b) Anche per gli esponenti della criminalità terroristica, sia nazionale che internazionale, possono evidenziarsi motivazioni peculiari alla base dei delitti commessi, che evidenziano una tendenziale, irriducibile, adesione a valori contrapposti a quelli tipici di uno Stato di diritto, con una marcata propensione al proselitismo. Essi vanno ascritti al nuovo circuito AS in sezioni diverse da quelle dedicate ai detenuti mafiosi, e tenendo distinte le diverse appartenenze a organizzazioni terroristiche”. Isolati dal resto, dunque, perchè vi è il timore della diffusione (proselitismo) dei loro valori (significativo è l’uso di questo termine proprio da parte del carceriere…).
Collegato, dunque, il Piano Carceri con il contesto delle disposizioni in materia, si può fondatamente ipotizzare la volontà statale di aumentare complessivamente la repressione penale e “custodiale”, accentuando altresì le politiche di differenziazione, mediante l’estensione edilizia dei circuiti nei quali le regole ordinarie sono in gran parte vanificate o del tutto escluse.
E questa, della “differenziazione” e della “specialità”, è peraltro la linea custodiale seguita, a partire dagli anni 70, dagli Stati Occidentali: ricordiamo il carcere tedesco della deprivazione sensoriale, il carcere speciale italiano dell’art. 90 e dei braccetti della morte, i progetti turchi incentrati sull’isolamento, il Fies nello Stato spagnolo.
Ma, contro le forme speciali della carcerazione e contro la disumanità del carcere nel suo complesso, sempre vi è stata lotta.
Milano, 4 febbraio 2010