Il mesto rientro nei ranghi del commissario Di Pietro

Due febbraio 2010, il Corriere della Sera pubblica una foto del 1992 in cui Antonio Di Pietro (allora Pm di «Mani Pulite») cena in compagnia di Bruno Contrada (allora n° 3 del Sisde, che verrà arrestato 9 giorni dopo) e – fatto un po’ più interessante – dell’«americano» Rocco Mario Modiati, un agente della Kroll, la cosiddetta «Cia di Wall Street» che della vera Cia è parente assai stretta.

Sei febbraio 2010, il congresso dell’Idv – alla fine l’hanno fatto! – sancisce la nuova linea: alleanza stretta con il Pd, sostituzione della linea protestataria con un nuovo profilo governista.
Non sempre 2 + 2 fa 4, ma molto spesso sì.

Ci siamo più volte occupati del commissario Di Pietro, della sua storia politica ricca di lati oscuri (vedi Il forcaiolo), e non abbiamo mai nutrito dubbi sulla vera natura di «Mani Pulite», a partire dal suo ruolo di apripista verso quella Seconda Repubblica che ormai potremmo rinominare RSI due, dove l’acronimo questa volta significa «Repubblica del Saccheggio Integrale». Saccheggio simboleggiato dal record mondiale delle privatizzazioni (di cui nessuno fa mai un bilancio) e dalla formazione di una casta politica integralmente asservita alle oligarchie finanziarie nazionali ed internazionali.

Una stranezza, una menzogna, una tesi insostenibile

Cosa sarà mai una foto? In fondo si tratta di una cena in una caserma, con personaggi «istituzionali». E’ vero, la presenza dell’americano è assai sospetta, ma uno mica ce l’ha scritta in fronte la sua identità… E Di Pietro così si difende: «Chi accidenti è st’americano? Chi lo conosce? E poi guardi che è difficile parlare con me in americano».
Quel che è certo è che quelle foto, si dice fatte sparire subito dopo l’arresto di Contrada, sembrano riapparse proprio nel momento giusto.
Ma il Corriere dà voce anche ad un vecchio amico del leader dell’Idv, l’avvocato Mario Di Domenico, che sta pubblicando un libro dal titolo assai significativo: Il “colpo” allo Stato.
Di Domenico, che a suo tempo partecipò alla stesura dello statuto dell’Idv, tira in ballo un viaggio negli Usa a caccia di finanziamenti che lo smemorato Di Pietro proprio non ricorda…

Questa vicenda, ovviamente ripresa e rilanciata dai giornali berlusconiani, ci consegna almeno tre questioni: una stranezza, una menzogna, una tesi insostenibile.
La stranezza è nell’accusa a Di Pietro di essere un uomo degli americani, sostenuta da giornali che hanno fatto del filo-americanismo a prescindere la prima regola deontologica del loro scrivere.
La menzogna è quella pronunciata dal commissario in questione quando ha affermato (Corriere della Sera, 3 febbraio): «In America con Di Domenico? Lo escluderei. Credo proprio di no». Peccato che Di Domenico abbia dato tutti gli estremi di quel viaggio datato 28 ottobre 1999. Cosa vuol nascondere allora Di Pietro?
La tesi ridicola ed insostenibile, anche per un paese ridicolo ed insostenibile come l’Italia, è che Di Pietro avrebbe agito da solo. Per anni l’ipotesi del carattere eterodiretto di «Mani Pulite» è stata quasi impronunciabile, ma il tempo qualche volta è galantuomo ed oggi se non altro qualche squarcio di verità affiora.
Affiora per motivi ben poco nobili – una torbida lotta di potere all’interno del blocco dominante – ma finalmente affiora. Solo, si vorrebbe far credere ad una specie di «Tonino tuttofare», quasi come se la partita fosse stata semplicemente condotta sull’asse strategico Montenero di Bisaccia – Via Veneto, tra un Pm scamiciato ed un agente di secondo piano di una consorella della Cia.
Eh no! Troppo facile. Si risponda alla domanda: c’è stato il golpe, od almeno il «Colpo allo Stato»? Se sì, si cominci a dire quali forze lo hanno promosso e ne hanno beneficiato, perché nel caso Di Pietro ne è stato uno degli strumenti non certo l’ideatore.

La «Svolta di Salerno»

Se lo scoop delle foto in caserma resta un po’ misterioso, il successivo congresso dell’Idv – per quanto segnato dall’impronta leaderistica del fondatore-capo-padrone – si è perlomeno svolto alla luce del sole.
E chiara è la linea che lì è stata tracciata: alleanza strategica con il Pd, fino ad ipotizzare addirittura la fusione con la ditta bersaniana, nuova prospettiva di governo, accettazione come candidati alle regionali anche dei personaggi più discussi, come il sindaco di Salerno De Luca in Campania. Il tutto, come si conviene in simili “partiti”, per acclamazione…

Da un certo punto di vista potremmo dire: niente di nuovo sotto il sole! L’Italia dei Valori, al di là dei suoi proclami, è sempre stata alleata del Pd, basti pensare che il suo simbolo fu l’unico ammesso a fianco di quello del Pd veltroniano alle politiche del 2008. E così è stato in tutti gli appuntamenti elettorali più significativi che sono seguiti.
Né l’accettazione di personaggi alla “De Luca” è una novità, ed ancor meno lo è la logica governista, basti pensare alle posizioni tenute durante il periodo dell’ultimo governo Prodi (2006 – 2008).
C’è però un fatto difficilmente comprensibile: perché questa accelerazione a meno di due mesi dal voto in tredici regioni? Qualcuno ha scritto che in questo modo – «uscendo dall’isolamento» – Di Pietro conterebbe di trarne un vantaggio elettorale. Si tratta di una tesi che non sta in piedi. In questi due anni Di Pietro ha acquisito consensi con la battaglia solitaria, non certo con gli equilibrismi delle alleanze. Alleanze che in ogni caso, visto lo stato del Pd, nessuno gli avrebbe comunque negato. Perché allora una svolta così plateale, che rischia di fargli perdere almeno una parte dei consensi recentemente conquistati?

Il segnale e il suo scopo

Lo ripetiamo: non sempre 2 + 2 fa 4, ma molto spesso sì. E la sequenza temporale foto-congresso è fin troppo evidente.
Quelle foto non potevano avere lo scopo di distruggere Tonino lo sputacchiatore. Dal suo punto di vista non contenevano nulla di davvero compromettente. Allora perché tanto rumore e tanta (da parte sua) preoccupazione? C’è una sola spiegazione: quelle foto erano un avvertimento, un modo di far intravedere un pericolo. In maniera soft, ma precisa, come si conviene a dei veri professionisti.
A giudicare dall’esito del congresso i “segnalatori” hanno avuto successo. Non nel senso di un ammorbidimento dell’antiberlusconismo, bensì in quello di un rientro nei ranghi in vista della fase conclusiva delle ampie manovre politiche da tempo in atto.
Il quadro, non dimentichiamolo, è infatti quello di una virulenta lotta di potere dentro il blocco dominante, tra una componente più apertamente reazionaria ed una più marcatamente oligarchica. Una lotta di potere che ha evidenti diramazioni internazionali e che presto, lo richiedono i tempi della crisi, dovrà arrivare se non al redde rationem, quantomeno alla definizione di nuovi equilibri.

Molti fatti della politica italiana risulterebbero del tutto incomprensibili qualora si volesse prescindere da questo contesto. Pensiamo alla fuoriuscita di Rutelli dal Pd, agli smarcamenti continui di Fini, ai «due forni» casiniani, alla cocciutaggine con la quale D’Alema ha gestito la situazione pugliese. Tutte mosse che a giudizio di chi scrive non potranno risultare paganti nel brevissimo periodo, tantomeno dal mero punto di vista elettorale.
Ma c’è un’altra ragione per tutti questi movimenti. Rutelli, Fini, Casini D’Alema non sono impazziti, stanno solo lavorando, ognuno per proprio conto, per una prospettiva che si colloca leggermente più avanti nel tempo. In questo quadro, fortemente evolutivo, al commissario è richiesto di riportare le truppe in caserma. I suoi voti contribuiranno a disegnare i nuovi equilibri, ed è dunque necessario un suo rientro nei ranghi del sistema politico. Il rientro sarebbe comunque avvenuto, ma qualcuno ha «consigliato» a Di Pietro un’accelerazione dei tempi.
Naturalmente, questa è soltanto un’ipotesi. Ma ce ne sono di più convincenti?

Concludiamo spendendo qualche riga sugli azionisti di minoranza di quel «popolo viola» oggi ormai orfano di Di Pietro. Ci riferiamo in particolare all’incredibile ondeggiare della coppia Prc-Pdci, che ad un certo punto aveva creduto di poter costruire un asse con l’Italia dei Valori, onde rientrare nell’evidentemente irresistibile alleanza Pd-centrica con un peso specifico maggiore.
Il rientro è avvenuto – ma c’era mai stata una vera uscita? –, in quanto al «peso» è meglio lasciar perdere. Lo vedremo alle regionali, ma non è un azzardo prevedere una ulteriore debacle rispetto al già modesto risultato delle europee.
Ferrero ha parlato di: «ricollocazione dell’Idv in quel filone liberale di cui fa già parte a livello europeo». Pensa te che strano!, si ricollocano là dove già stavano!
Ma sarebbe ingiusto prendersela soltanto con il malconcio Ferrero. Anche altri avevano abboccato all’amo dipietrista. Pochi, come noi, avevano mantenuto un giudizio fermo sul manettaro molisano e sulle sue scelte. Nessuno ce lo riconoscerà, ma siamo tra quelli che pensano che aver avuto ragione sia sempre meglio che aver avuto torto.