La Terza Rivoluzione

Il Basiji pensiero del Presidente Ahmadinejad alla luce delle categorie filosofico-politiche occidentali

Il confronto tra l’oceanica manifestazione svoltasi a Tehran in occasione dell’annivesario della rivoluzione iraniana del 1979, e le sparute proteste dell’opposizione (svoltesi come al solito nei quartieri benestanti del nord e dell’ovest di Tehran), sono un indice dei reali rapporti di forza tra il governo e i suoi tutt’altro che uniti nemici interni. Ma non è questo il dato saliente, che è invece rappresentato dalla partecipazione del potente Rafsanjani alla manifestazione “di regime”.

La notizia, confermata dalle agenzie persiane, significa che le opposizioni hanno perso il loro più potente sponsor, che dunque la lotta interna ai vertici della Repubblica Islamica ha conosciuto un giro di boa, segnando un decisivo punto a favore del blocco dei radicali rappresentato da Ahmadinejad e da Kamenei. L’articolo che pubblichiamo spiega, di contro alla vulgata dei media occidentali, la natura reale del pensiero politico di Ahmadinejad e quella seguita dal suo governo dal 2005 ad oggi.

“I punti più alti della grande politica sono anche i momenti in cui il nemico viene visto, con concreta chiarezza, come nemico”.
Carl Schmitt

“Estremista”, “fondamentalista”, pericolo del Medio-Oriente e dell’umanità: sono questi, di continuo, i motivi che una stampa spesso poco attenta, nel migliore dei casi, riserva al Presidente iraniano. Andrebbe dunque fermato. Con ogni mezzo, ad ogni costo, anche infliggendo al popolo iraniano un devastante attacco militare. Questo ripetono costantemente, con differenti sfumature, i più importanti analisti strategici occidentali e sionisti. Vediamo se è vero.

Il basiji pensiero e lo Stato etico del Presidente Ahmadinejad

“Un nuovo corso è stato avviato. La vittoria è prossima. O raggiungeremo il nostro obiettivo o diventeremo martiri, feriti o dispersi in azione. Così accadrà. C’è un nuovo miracolo ad attenderci, sulla nostra strada…”.
Presidente Ahmadinejad (2005) durante la campagna elettorale presidenziale.
“La Nazione Iraniana è una nazione colta. E’ una Nazione civile. E’ una Nazione che ha fatto la storia. Voi occidentali lo sapete e noi lo sappiamo: avete bisogno di noi molto più di quanto noi abbiamo bisogno di voi”.
Presidente Ahmadinejad (2007)

Nello stesso momento in cui il Presidente Ahmadinejad ottenne la vittoria, nel 2005, spezzando quel nocivo legame tra mercanti e parte del mondo religioso su cui si reggeva il blocco elettorale di Rafsanjani, il quale aveva condotto la sua campagna per la presidenza all’insegna degli aiuti totali al mondo della grande economia privata, si metteva in moto una campagna propagandistica mondiale, orchestrata da Israele e dagli USA, la quale mirava alla delegittimazione politica dello stesso Ahmadinejad.
Da sindaco di Teheran, Egli aveva già catturato l’attenzione politica internazionale quando cercava di far seppellire i resti di alcuni martiri della guerra contro l’Iraq in 72 siti tra cui piazze, parchi, università per onorarne la memoria. O quando, sempre con Ahmadinejad sindaco della capitale, lungo una delle strade più trafficate di Teheran, si poteva osservare dal basso, l’immagine, enorme, in alto, di una donna palestinese immolatasi in un’azione patriottica. In mano un fucile automatico, con l’altra abbracciava un bambino. Vestito militare, sciarpa nera e bandana verde con scritta inneggiante al patriottismo, al martirio. “Amo mio figlio. Ma ancor di più amo il martirio e la Patria”. Era la ventunenne Al Aqsa, membro della brigata Reem Salih Al Rayasha, due figli in tenera età, caduta per la Palestina il 14 febbraio 2004.
Il futuro Presidente era considerato, nella dialettica politica interna, un rivoluzionario che fuoriusciva dal fronte conservatore iraniano. Spesso veniva definito un po’ semplicisticamente, un uomo dell’estrema destra. Ci corre però l’obbligo di precisare, che se già in Occidente la dicotomia destra-sinistra è oramai fallace, lo è tanto più in Iran. Egli aveva comunque condotto la sua campagna elettorale ricordando costantemente i martiri degli otto anni di guerra contro l’Iraq.
Non devono essere dimenticati. Il loro sangue non deve essere stato versato invano. Ciò che abbiamo oggi lo dobbiamo al loro sacrificio” (Presidente Ahmadinejad, 2005).
Nessuno prima di lui, aveva condotto una campagna elettorale soffermandosi sul sacrificio di un’intera generazione. Nemmeno gli esponenti del cosiddetto “fronte estremista” lo avevano fatto in altre competizioni elettorali municipali. Certamente, i 267.000 soldati iraniani deceduti nel corso del conflitto venivano spesso ricordati durante le manifestazioni propagandistiche interne, soprattutto da parte della cosiddetta “destra religiosa”, ma non al punto da identificare quasi interamente il messaggio politico di una corrente della Repubblica Islamica candidata alla presidenza della nazione con l’eredità morale stessa dell’estremo sacrificio e del martirio.
Altro punto fondamentale che caratterizzava la campagna elettorale di Ahmadinejad – del 2005 – fu la lotta alla corruzione, al materialismo interno, al trionfo interno di quella prassi che aveva finito per legittimare l’annacquamento post-rivoluzionario degli statici e ambigui chierici “imboscati”, che erano rimasti nelle retrovie mentre i giovani martiri difendevano con il sangue le conquiste della rivoluzione nei fronti e nelle trincee. Egli si presentava così come un abadgaran, un “bonificatore”. Un politico-militare (per la prima volta in ventiquattro anni il Presidente non vestiva gli abiti del religioso sciita) che aveva il fine di bonificare l’astratta nefasta stasi che aveva seppellito l’originario spirito rivoluzionario. In questo senso, fu anche presentato come un “populista” in quanto svolgeva praticamente l’intera campagna elettorale girando per le province, per paesi e campagne da sempre dimenticate. La Sua grande promessa era la modernizzazione dei villaggi persiani più remoti, abbandonati e dimenticati dai primi del Novecento, oltre all’appoggio totale ai poveri delle grandi città iraniane.

Egli fece da allora un patto strategico interno con la Persia più profonda, che dura ancora. Dubitiamo che tale patto si possa rompere, prescindendo dalle astruse speranze dei marginali teppisti interni in jeans firmati e soprattutto dai grandi disegni strategici americanisti anti-iraniani.
Disoccupazione, matrimonio e casa sono le principali priorità”, disse allora il futuro Presidente, ricordando con una frase quali fossero i principali problemi della gioventù iraniana.
O ancora, amava ripetere in questi giri elettorali:
Il mio maggior bene è davvero enorme: è il mio amore verso il popolo e la volontà di servirlo. Non si può paragonare a nulla. Sono orgoglioso d’impegnarmi a fare del mio paese una Nazione che non sia soggetta e serva di altre”.
Ahmadinejad si presentava così come un rivoluzionario la cui filosofia politica rimandava appunto alla corrente isargan, “i devoti della causa”, “coloro che si sacrificano in nome della rivoluzione”. Il futuro presidente spiccava non a caso per essere uno dei fondatori di Isargan ed uno dei principali esponenti di Abadgaran e Iran- e Islami, due organizzazioni composte da veterani, mutilati, ex prigionieri di guerra, familiari di martiri del conflitto Iran Iraq, ex comandanti dei pasdaran. Tali organizzazioni, nella logica politica iraniana, finivano per assumere un carattere sempre più attivistico, fino al punto da formulare prima radicali critiche a Khatami ed ai riformisti in genere, e poi infine, con la rottura definitiva con la vecchia guardia del regime e l’alleanza strategica con il fronte basiji, affermandosi come vera e propria corrente politica, dal febbraio del 2003.
Quale era il progetto politico covato da questo fronte militare e ultranazionalista? A nostro avviso, uno Stato etico quale sintesi – metafisica ed immanente, sacralizzante e politica – realizzata dall’unificazione totale dei vari momenti sociali della “totalità organica”. Proprio nel corso di uno dei viaggi nelle province partiva il messaggio della Terza Rivoluzione, lanciato da Ahmadinejad sei mesi dopo l’inizio del nuovo mandato del 2005.
Nel vocabolario rivoluzionario iraniano, la prima rivoluzione era quella del 1979; la seconda era quella che aveva come esempio concreto l’occupazione dell’ambasciata americana a Teheran.
La Terza Rivoluzione, nella visione del mondo del Presidente Ahmadinejad, significava l’affermazione interna di un nazionalismo persiano ultra-modernista, “nuclearista”, ma assolutamente impermeabile alle varianti filosofico-politiche occidentaliste fondate sul culto dogmatico democraticista di una vacua prassi dei diritti umani, di discendenza peraltro giusnaturalista,(1) la quale, come mostrò ripetutamente Hegel, nega la vera libertà dell’individuo. In quanto la vera libertà consiste nell’obbedienza alle leggi di uno Stato che sia una realtà spirituale compiuta, quale “totalità etica”. E proprio sul piano del dominio interno della statualità come prassi politica etica, oltre che come retta amministrazione, e della affermazione del Politico, sia pure in nome di Dio, si sta caratterizzando la strategia interna del Presidente Ahmadinejad.

Il …presidente (Ahmadinejad) mantiene una certa autonomia dal clero, anche da quello rivoluzionario. Sebbene sia strettamente legato all’ayatollah Mesbah Yazdi, Ahmadinejad ritiene che sia il “partito”, e non il clero, a dover comandare sulla rivoluzione. Un “partito” composto e diretto, più che da chierici, dai militanti senza turbante, dai pasdaran e basiji, dalla generazione con cui ha diviso l’esperienza della guerra. E’ la “comunità del fronte”, a cui è legato da un “patto generazionale” segnato dal sacrificio, il punto di riferimento ideale di Ahmadinejad”(2).
L’attuale Presidente persiano, d’altra parte, ha sempre negato che la rivoluzione islamica avesse una finalità politica democratica:
Certa gente sostiene che la nostra rivoluzione abbia avuto lo scopo di fondare una democrazia. Non è così. Né nelle  dichiarazioni dell’Imam Khomeini, né nei messaggi dei martiri, né nelle parole di coloro che sono stati i veri pilastri del governo islamico, si ritrova una simile idea”. (Presidente Ahmadinejad, 11 maggio 2005).
L’austerità di vita del Presidente iraniano, la povertà essenziale in cui vive con la sua famiglia, il suo stile secco, decisionista, assolutamente concreto, il sodalizio spirituale instauratosi con il suo “ordine pretoriano”, la proclamazione di una seconda “rivoluzione culturale” fondata sulla totale affermazione di un’arte e cultura di Stato – libere da ogni influsso materialistico, psicanalitico, relativistico occidentale – da affermarsi anche in ambito accademico, il fatto che Egli – subito dopo l’elezione presidenziale del 2005 – si sia immediatamente definito solo un “umile servitore dello Stato”, niente di più che “uno spazzino della Grande nazione persiana”, tutti questi elementi riportano alla mente pratiche politiche quali la dottrina dello Stato di Federico il Grande, debitrice – come ci dice Schmitt(3) – ben più a Hobbes che a Locke. E la hobbesiana sovranità dello Stato non è qui un brutale meccanismo, ma sembra riletta e rivissuta alla luce di un principio etico e spirituale, un principio dell’Intero e della totalità, il quale – come sempre Schmitt ci dice(4) – è il punto culminante di una filosofia politica che è “politica nel senso più pieno del termine”: quella del Maestro Hegel, evidentemente. Hegel – non sfugga – definì i Persiani “un popolo libero…la cui signoria non fu in nessun modo oppressiva, né in campo secolare, né in campo religioso”(5).
Dunque, se si scava dentro senza pregiudizi di sorta vien fuori che il basiji pensiero del Presidente Ahmadinejad è, spiritualmente, ben più Europeo della decadente Europa dei nostri giorni. Profondamente Europeo. Prussiano.

La giustizia sociale prima di tutto

Il Presidente Ahmadinejad, nel corso degli anni, manterrà la parola con il “suo popolo”. Sono milioni e milioni, infatti, gli iraniani che, grazie all’impulso sociale del Presidente che ha posto il “basiji pensiero” come quotidiana prassi politica, hanno iniziato a trarre beneficio da un sistema di sussidi ormai ben collaudato, che ricompensa gli umili e i dimenticati della fiducia accordata ad Ahmadinejad. Il governo fornisce generosissimi contributi per sposarsi, mutui ad interessi assolutamente irrisori per le giovani coppie ed i ceti più bassi, a cui sono peraltro andati a costi bassissimi molti terreni nelle aree urbane. Su più di settanta milioni di abitanti, il 70 % del popolo iraniano ha meno di trentacinque anni e per questa larghissima fascia “farsi una casa” è un’esigenza primaria: in tal caso, lo Stato interviene elargendo prestiti di 30 milioni di rial a tasso zero con rimborsi scadenzati nel giro di diversi anni. Così, il Fondo per l’Amore dell’ Imam Reza, per volontà precisa di Mahmoud Ahmadinejad, legittima come base sociale stessa del suo Stato etico la spiritualità delle giovani famiglie come virtù patriottica e civica.
Tali prestiti vanno in Iran letteralmente a ruba tra le giovani generazioni e sebbene, come è evidente, non tutti riescano ad usufruirne, non crolla la speranza che tutti prima o poi riusciranno a giovarne. Va anche considerato che le partecipazioni nelle società statali e parastatali garantiscono un reddito mensile supplementare  che va dai 500 mila al milione di rial (più o meno dai 40 ai 76 euro), che sono una significativa cifra per famiglie, il cui reddito minimo è di circa 170 euro. Il punto centrale della politica di giustizia sociale è la distribuzione di “Tagliandi di Giustizia”, Sahame -e -Edalat, sistema in base al quale il 40%  degli utili delle aziende di stato viene ora distribuito tra gli strati sociali a basso reddito. Se è vero che il governo si deve continuamente confrontare con l’annoso problema dell’inflazione, comunque ereditato dal Presidente Ahmadinejad dalle cattive politiche economiche precedenti, è anche vero, d’altra parte, che si è ormai imposto, in Iran, negli ultimi anni, un determinato dirigismo economico che possiamo anche definire “socialista di Stato”, che impone la volontà politica dall’alto sulla regolamentazione del mercato.

A dispetto di una interessata propaganda di delegittimazione, ricordiamo l’assoluto coinvolgimento della donna iraniana nell’economia del paese, considerando il tasso di natalità, che avvicina le iraniane (tasso 1,71) ad esempio alle italiane (1,30) piuttosto che alle pakistane (3,58), alle afghane (6,58), alle irakene (3,97). Abbiamo anche il dovere di ricordare la totale copertura sanitaria estesa dal governo Ahmadinejad all’intera popolazione, compresi i quattro milioni di pastori e nomadi.
Senza ignorare d’altra parte l’autentica trasformazione modernizzatrice che si sta realizzando nelle campagne persiane, un fenomeno di rivoluzionaria novità nell’intera storia iraniana. I continui viaggi del Presidente nella provincia sono ormai diventati una costante della politica interna, come le decisioni prese per aiutare i poveri gli guadagnano sempre nuovi consensi in aree solitamente ignorate dal mondo politico di Teheran. Non si spiegherebbero altrimenti i milioni e milioni di consensi confermati ad Ahmadinejad nel giugno 2009, certamente autentici e veridici, come ha confermato, tra gli altri, un serio uomo di Stato come il Presidente Lula. Non si spiegherebbero differentemente le autentiche maree umane iraniane del gennaio 2008 e gennaio 2009, in occasione della sacra ricorrenza dell’Ashura, che vogliono significare il totale consenso accordato al governo Ahmadinejad ed alla Guida suprema Khamenei.
Non quindi le poche migliaia di teppisti urbani addestrati in buona parte dei casi dai servizi segreti stranieri vanno qui prese in considerazione, poche migliaia di teppisti che non si sa bene cosa vogliono, a cui naturalmente una propaganda internazionale nichilista e fanaticamente anti-iraniana fornisce di continuo una pubblicità gratuita quantomeno immeritata (lo stesso valga per i separatisti tibetani). Non stupisce affatto, quindi, che, secondo una notizia diffusa da Teheran il 7-2-2010, più di un milione di iraniani avrebbero già firmato una petizione per chiedere l’arresto e il rinvio a giudizio dei leader riformisti (in particolare di Mousavi, Karrubi e Mohammad Khatami).

Il fallimento strategico dell’assedio anti-iraniano condotto da Usa, Inghilterra e Israele e la definitiva ascesa dell’Iran a grande potenza regionale

A questa trasformazione progressiva della vita sociale iraniana, si è andata associando la fondamentale affermazione dell’Iran come grande potenza regionale del Vicino Oriente – annientando il tradizionale dominio unipolare sionista, consolidando ancora di più le posizioni in Libano e Palestina, rafforzando velocemente quelle in Iraq ed Afghanistan, senza dimenticare, quale estensione geostrategica, quelle nello Yemen – e come forza di immediata rottura strategica dell’unipolarismo americanista, non solo con gli accordi di largo respiro “ideologico” con forze statali antiamericaniste presenti in Sud America, ma anche con intese diplomatiche di notevole brillantezza tattica con Cina, Russia, India. Tutto ciò si svolgeva e si va svolgendo con un’affermazione nazionalista e militarista “grande-persiana”, ed è questo un tratto senza dubbio caratteristico del pensiero politico del Presidente Ahmadinejad, che ha fornito e va fornendo al paese un prestigio internazionale di primissimo piano. Significativo quanto avvenuto dal marzo al maggio 2007 quando venivano catturati dai pasdaran, nel Golfo Persico, quindici membri della Marina militare britannica. Poi rilasciati, ridicolizzando per più di un mese il governo anglosassone e il suo premier Tony Blair. Fu quella, una chiara vittoria politica del popolo persiano e del suo leader, nel continuo confronto strategico tra Iran ed Occidente. Le guardie costiere iraniane che catturarono gli anglosassoni vennero quindi decorate per l’alto gesto patriottico.
“Sono un nazionalista” fu il determinato messaggio del Presidente Ahmadinejad al suo popolo, in tale evento(6).

Agli iraniani tornava così alla mente il lascito politico del premier Mossadeq, vittima di un golpe anti-nazionale orchestrato da Londra e messo in atto dagli americani. Fu quindi questa, una legittima rivalsa storica di Teheran. Ma questa volta non si rivendicava la nazionalizzazione del petrolio, già ottenuta nel frattempo. Si puntava invece al diritto nucleare.
Teheran dava un significato assolutamente politico all’evento, non di supremazia militarista. Dopo aver elencato tutte le violazioni della sovranità nazionale iraniana commesse dall’Inghilterra nel corso del ‘900, il Presidente iraniano precisava – nel corso delle trattative per il rilascio dei membri della Royal Navy – di essere assolutamente bendisposto a riprendere le relazioni diplomatiche con Bush, se solo il leader americano avesse cambiato atteggiamento verso l’Iran.
Infine, l’assedio strategico anti-iraniano, pianificato da CIA, MI5 e MOSSAD, dal 2005, certamente  dispiegato con metodologie tattiche e contestuali differenti, ma concordemente contrassegnato dal fondamentale fine di eliminare Mahmud Ahmadinejad dalla scena politica internazionale, si è svolto fino ad oggi in tal modo:
a) con omicidi mirati, che si protraggano ormai da anni, di scienziati ed uomini di cultura iraniani, di personalità politiche vicine a Teheran, come di esponenti di rilievo di Hamas ed Hezbollah, oltre al protrarsi di una sotterranea guerra tra reparti militari iraniani e altri di obbedienza angloamericana, saudita e israeliana in terra irachena;
b) con lo stanziamento di miliardi e miliardi di fondi, da parte degli USA, per la dissidenza sovversiva interna e l’addestramento di squadre terroristiche anti-regime da scagliare sulle piazze iraniane nei momenti più caldi;
c) con i diversi tentativi di uccidere il Presidente Ahmadinejad, tra i quali il più noto si verificava, guarda caso!, a Roma nell’estate del 2008 (tentativo di sottoporre il Presidente a massicce radiazioni di raggi X via metal detector), con pronta denuncia dell’Ambasciata iraniana in Italia;
d) con lo strumento delle sanzioni e con la continua minaccia di una guerra totale sull’Iran.

Ebbene, questo assedio – una formidabile sintesi strategica di guerra non ortodossa, guerra economica e guerra psicologica – che ha impegnato a fondo i vertici politico-militari di Usa, Inghilterra e Israele,  non ha affatto sortito effetti di rilievo, se è vero, come sostengono ormai i più avveduti strateghi militari americani, che la prospettiva di un’escalation militare contro Teheran è da valutare con estrema attenzione, poiché finirà per rafforzare ancor più l’unità politica tra il popolo, il governo e la Guida Suprema.

Escatologia del Mahdi: misticismo versus realismo politico?

Lascia che illumini ogni cristiano che soffre, violenza e guerre presto finiranno.
Fa’ che non ci sia più dubbio che in futuro non lontano il profeta Gesù risorga ritornando a fianco del Mahdi a metter fine all’ingiustizia del mondo
”.

Dobbiamo trasformare l’Iran in un moderno paese ispirato, che sia modello per le altre nazioni e serva da piattaforma per il ritorno del Mahdi”.
Presidente Ahmadinejad (novembre 2005: prima riunione di governo).

Sul piano della “politica estera”, il regime Ahmadinejad ha dato prova di un pragmatismo tattico amplissimo, ma finalizzato a nostro avviso all’affermazione ed alla centralità strategica dell’interesse nazionale persiano su ogni altro momento ideologico. La strategia realista di Ahmadinejad vuole fare dell’Iran una potenza grande-nazionale moderna, non solamente islamica, ma anzitutto iraniana, antiamericana e antisionista.  In tal senso, vi è stato un radicale spostamento di prospettiva strategica e rispetto al “khomeinismo” ed alla sua esigenza dell’esportazione rivoluzionaria musulmana sopra a tutto il resto, e rispetto al periodo Rafsanjani ed a quello di Khatami, che sul piano delle relazioni internazionali si muovevano nella medesima ottica, definibile “conflittuale cooperativa” rispetto all’Occidente. Quella di Ahmadinejad rispetto all’unipolarismo americanista, è stata ed è tuttora una sfida strategica aperta e diretta, ma muoventesi sul piano del realismo politico assoluto e della grande politica, o politica di potenza, se si preferisce, non sul mero piano ideologico-dottrinario. Il Presidente Ahmadinejad, a dispetto delle analisi che varie testate occidentali ci offrono, ha impostato la sua partita regionale ed internazionale sul piano della pura “effettualità” politica e strategica, non del purismo ideologico. Realismo politico è la revisione dell’olocausto: oltre la diatriba storiografica, offensivismo antisionista, su un piano diplomatico e politico, intesa con le masse arabe più radicali in senso ideologico, con una fondamentale apertura al popolo tedesco, popolo storicamente fratello del popolo iraniano (“Una lettera al cancelliere Merkel”, Presidente Ahmadinejad, maggio 2006). Il suo realismo nella pratica della politica ce lo ha fornito nella stretta cooperazione con potenze mondiali senz’altro non musulmane come Cina, Russia, ed in parte anche India, o con Stati come Venezuela, Brasile, Bolivia. Ma la non utopia nella pura teoria della politica la si ha in una continua saldatura tecnologica, economica, politica, militare, con Cina e Corea del Nord. Saldatura che sembra anche assumere veri e propri caratteri strategici.

La non utopia della pratica politica la si ha anche con l’offensivismo nuclearista. Uno scatto d’orgoglio rivoluzionario e ultranazionalista per il plurimillenario popolo persiano. Quando Israele, che ha mezzo secolo di vita e poco di più, ha moderne testate nucleari; quando due ex colonie come Pakistan e India le hanno; per quale motivo una Nazione mai colonizzata dalla storia millenaria non dovrebbe possederne?
Ma, prescindendo ora dal prevedere se vi saranno ulteriori spostamenti sul piano della politica internazionale, ciò che ci preme evidenziare è appunto il lucido realismo politico del Presidente iraniano. L’ideologia si delinea così verso il basso e la pura decisione politica si concreta dall’alto. Il momento intermedio, centrale a dispetto di quanto possa sembrare, è la scelta dei mezzi. I mezzi divengono gli strumenti tattici di avanzamento ideologico, organizzazione delle forze su cui si dispone sul campo. Talvolta possono anche schmittianamente farsi il braccio stesso della decisione politica. Ma in momenti eccezionali e di assoluta emergenza. Strumento e obbiettivo strategico così si identificano. Ma in genere, la scelta dello strumento deve assolutamente prevalere sull’immagine finale dell’oggetto strategico. La scelta dello strumento, nel geniale uomo di Stato, deve certamente prevalere sul momento della decisione politica e l’uso – radicale quanto si voglia – dell’ideologia verso il basso (la gramsciana “egemonia”). La autentica genialità strategica si risolve proprio nella scelta dello strumento. Il vero decisionismo politico, si ha con la scelta del mezzo. E’ il mezzo così a giustificare il fine. L’hegeliano pensiero universale che si fa ragion di Stato. La parabola discendente del pur grande Napoleone è lì ad ammonirci, in questo senso. L’ideologia non basta. E’ troppo poco. La tattica non può essere scavalcata. O peggio ignorata. Al massimo la si può annichilire e stravolgere nella strategia pura. Ma è un’arte rara, rarissima, di pochi individui. Quelle che Hegel chiama individualità “cosmico-storiche”, eroi della Ragion di stato. Individualità autenticamente, eminentemente Politiche. Richelieu, Cromwell, Federico il Grande. Anche Machiavelli – vi aggiunge non a caso Hegel, che si considerava lui stesso il “Machiavelli tedesco”, come dice il Rosenkranz. 
 
Non sappiamo, non possiamo prevedere come finirà la partita strategica, legittimamente aperta dal Presidente iraniano. Ma fino ad ora, a nostro avviso, Egli ha saputo nascondere perfettamente la tattica nella strategia. Non era del resto particolarmente difficile per un politico o ancor meglio, un soldato politico, di sicura scuola diplomatica persiana. Forse inizia ora il cammino più arduo.             
In questo senso, Ahmadinejad potrebbe anche riuscire a fondere in un superiore motivo di sintesi, capace di mobilitare ideologicamente dall’alto, tramite una decisione politica di Stato, milioni e milioni di uomini politicamente motivati, non solo iraniani. Un’azione di grande politica fondata appunto sul concetto metafisico escatologico del Mahdi(7).
Milioni di pellegrini, ogni anno, visitano infatti la moschea di Jamkaran, località in cui, secondo la storia ufficiale, un giovedì dell’anno 984 d.C. il Mahdi apparve tramite le sembianze di un trentunenne seduto su un divano, ordinando a un saggio, Sheikh Hassan Jamkarani di costruire una moschea su un tratto di terra che si trovava alla periferia del villaggio .
L’impulso metafisico fondato sulla certezza spirituale del ritorno del Madhi, spesso accennato dal Presidente iraniano, diviene ora un motivo fondamentale, cosmico e storico, di grande politica. Tale impulso metafisico ed universale si libera nella visione realista ed escatologica ad un tempo, non messianica, come sostiene erroneamente Guolo —in quanto la visione messianica vale, semmai, per il settarismo esclusivistico giudaico, non per il Cristianesimo o per l’Islam.
Visione tutta politica, questa del Mahdi, fondata su una particolare missione dello Stato nazionale-rivoluzionario iraniano attuale; missione appunto “cosmico-storica”. La missione di accelerare la fine totale della “usurpazione planetaria” americanista e sionista connessa a tale visione escatologica ha, nell’Iran di Ahmadinejad, un significato assolutamente politico ed immanente. L’accesso al sacro – a tal punto – è un canale privilegiato per basiji e pasdaran, rispetto allo stesso clero. I militari e gli umili soldati della Rivoluzione hanno il compito più alto e sacralizzante, secondo tale visione escatologico-politica, quello di salvaguardare ed espandere le conquiste sociali e politiche nazionalrivoluzionarie iraniane, ovunque minacciate dal principio di guerra totale e permanente contro le forze della Luce che l’unilateralismo americanista e sionista porterebbe con sé. Giustamente, così Guolo commenta tale visione:
Di questo atteggiamento a-clericale, se non anticlericale, si alimenta il progetto del “khomeinismo senza clero”, che salva il sacro rivoluzionario scolpito nella figura di Khomeini ridimensionando il potere dei turbanti, ormai privi di una simile legittimazione carismatica”(8).
Teoria politica e prassi politica non sono scienze esatte. Tutt’altro.
La sfida strategica del plurimillenario popolo iraniano per riprendersi il suo legittimo posto nella Storia, è cominciata da appena 5 anni. O meglio dal giugno 2005. Da quando apparve sulla scena il Presidente Ahmadinejad.
Il tempo, solo il tempo ci dirà se Egli è un fanatico estremista, o un puro realista politico.

Annuncio la morte definitiva di materialismo, capitalismo, democrazia e liberalismo. Annuncio anche la globalizzazione della grande rivoluzione del popolo iraniano, di una nuova era che porterà a sconfiggere gli arroganti del mondo”.
Presidente Ahmadinejad, 1 febbraio 2010, ai piedi della tomba dell’Ayatollah Khomeini

Michele Santini, Napoli 11 febbraio 2010
  

Note

1 Fondamentale al riguardo il punto 2 dello schema sul modello giusnaturalista e la società borghese, compilato da Norberto Bobbio (Bobbio, Thomas Hobbes, Torino 2004, pp. 11-13), laddove si può vedere delineata  chiaramente – nel dominio borghese o post- borghese odierno –  la prospettiva di una “casta economica”, la quale, con il paravento dei diritti umani, finisce per divenire anche ideologicamente dominante, subordinando a sé lo Stato politico.

2 R. Guolo, Generazioni del fronte, Milano 2008, pag. 125.

3 C. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, Milano 1986, pag. 54.

4 Id., Le categorie del politico Bologna 1972, pp. 146-148.

5 Hegel, Lezioni sulla Filosofia della Storia, Bari 2003, pp. 160-162.

6 F. Sabati, Storia dell’Iran 1890-2008, Milano 2009, pag. 215.

7 Il filosofo iraniano ‘Allamah Tabataba’i, La Shi’ah nell’Islam, Roma 2002, pag. 128, così raffigura il Mahdi: “Il Nobile Mahdi Atteso (A), più spesso menzionato con gli appellativi di Imam al-‘Asr (Imam del Tempo) e Sahiba’z-Zaman (Signore del Tempo), figlio dell’undicesimo imam (A), nacque a Samarra nel 255 o 256 a.H. ….Visse sotto la tutela e la guida del padre fino l’anno del suo martirio (260 a.H). Fu celato alla generalità degli uomini e soltanto una parte dell’elite sciita ebbe il privilegio di vederlo. Quando gli pervenne l’imamato, in seguito al martirio del padre, per ordine divino entrò in Occultamento. Apparve solo in casi eccezionali ai suoi Vicari eletti”.

8 R. Guolo, Ivi, pag. 126.