La NATO si allontana, gli oligarchi restano

Sono lontani i tempi della “rivoluzione arancione”, novembre 2004, quando, col pieno sostegno degli americani e dell’Unione europea (che in Ucraina sperimentarono con successo la strategia delle rivoluzioni colorate), una marea popolare extraparlamentare portò al potere Viktor Yuschenko, colui che avrebbe voluto portare l’Ucraina nella Nato e nella UE, e che aveva promesso miracoli adottando una politica economica liberista. Il disastro economico, sociale e civile in cui è precipitato questo paese dopo sei anni è stata la causa primaria della vittoria di quello che è definito l’uomo di Mosca, il neo-presidente Viktor Yanukovich. Una grande sconfitta per i guerrafondai  occidentali, e questo è un bene. Non è detto però, viste le scelte che si appresta a fare il nuovo presidente, che per il popolo cambi granché.

L’altro ieri, 15 febbraio, la Commissione elettorale ha confermato la vittoria di Viktor Yanukovich (nella foto). Il leader filorusso, avendo ottenuto il 48,95% dei voti, è il legittimo presidente dell’Ucraina. L’avversaria, Julija Tymoshenko, si è fermata al 45,47% dei suffragi. La Commissione ha smentito in tal modo la stessa Tymoshenko che nei giorni scorsi aveva  denunciato “brogli”, brandendo la minaccia di una nuova “rivoluzione arancione”. “Yanukovich non sarà mai il presidente legittimo”, ha detto. Minaccia andata a vuoto, visto che le polveri degli “arancioni” sono bagnate da un bel pezzo, e non spaventano più nessuno. Così, della annunciata mobilitazione popolare non s’è vista nemmeno l’ombra, anche a causa della mobilitazione preventiva dei sostenitori del vincitore, che questa volta non si sono fatti cogliere di sorpresa.

Non è difficile comprendere la ragione primaria della paralisi che ha colto un’opposizione che conserva ancora, sul piano elettorale, una forza temibile. Sono passati sei anni, era il novembre-dicembre 2004, da quando gli “arancioni” andarono al potere, e per la grandissima maggioranza della popolazione le cose sono andate sempre peggio, mentre una esigua minoranza di affaristi e mafiosi ha accumulato ingenti ricchezze, anche a causa di privatizzazioni selvagge delle proprietà pubbliche. Di converso l’Ucraina ha conosciuto, proprio dopo la “rivoluzione arancione” una costante instabilità politica, che ha causato numerosi “ribaltoni”, l’ultimo dopo le elezioni anticipate del settembre 2007. Allora il “Partito delle Regioni” di Yanukovich risultò  essere il primo partito, ma la coalizione tra il “Blocco Elettorale Julija Tymoshenko” e il “Blocco Nostra Ucraina-Autodifesa Popolare” del presidente in carica Viktor Yuschenko, ottenne la maggioranza dei seggi.
Il risultato fu che Julija Tymoshenko divenne Primo Ministro.
Con grande disappunto dei suoi sponsor occidentali la coabitazione tra i due leader arancioni è stata però sin da subito litigiosa, fino a trasformarsi in una vera e propria guerra aperta nell’autunno 2008, dopo la guerra russo-georgiana, in occasione della quale il Presidente arancione prese, per compiacere Bush e la NATO, le difese dell’aggressione georgiana all’Ossezia del sud. Questa aperta ostilità anti-russa (che aveva già causato la nota crisi del gas), la reiterata volonta del Presidente di accelerare i tempi per l’ingresso nella NATO, spinsero la Primo ministro Tymoshenko a separarsi dal suo tradizionale alleato, e ad avvicinarsi a Mosca, certo per assicurarsi il proprio futuro politico.

In effetti, diventata Primo ministro, la Tymoshenko ha compiuto diversi passi distensivi verso Mosca, che per solide questioni geopolitiche non può permettersi che l’Ucraina diventi un minaccioso avamposto NATO (ricordiamo che le strategiche unità militari navali della Russia sono di stanza nel porto di Sebastopoli in Crimea). Ma questo non le è bastato per accattivarsi le simpatie di tanta povera gente, soprattutto della parte orientale, che l’hanno giudicata non solo per essere stata una “arancione”, ma per non avere fatto nulla di buono nei suoi tre anni di governo.

Non c’è dubbio che quello recente è un voto di svolta. Di svolta geopolitica sicuramente. Ma lo è anche per il segno che il voto popolare ha avuto, un segno di dichiarata protesta contro l’oligarchia mafiosa che governa il paese dal crollo dell’URSS. Un’oligarchia che è un vero conglomerato tentacolare, e che non sta solo dalla parte degli “arancioni”. Sarebbe quindi un errore pensare che l’arrivo al potere del filo-russo Viktor Yanukovich sia anche per l’Ucraina una specie di “svolta a sinistra”. Nulla lascia sperare che Yanukovich tenga fede alla promesse elettorali fatte; anch’egli è infatti un pezzo da novanta dell’oligarchia che si è arricchita dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Manco a dirlo, infatti, due sono le cose che ha dichiarato Yanukovich ad urne chiuse. La prima, è che farà il possibile per far entrare l’Ucraina nell’Unione Europea (Reuters.com del 15 febbraio) e la seconda, che la dice lunga sulla politica economica continuista, che vorrebbe affidare l’incarico di Primo ministro, niente di meno che a Viktor Tigipko. Chi è costui? Un potente banchiere, primo nel settore assicurativo e finanziario, nonché capitano d’industria.  Già Ministro dell’economia del precedente governo della Julija Tymoshenko si piazza tra i venti ucraini più ricchi del paese (Wallstreetitalia.com del 15 febbraio).

L’avvicinamento a Mosca, che certo è sempre meglio che quello alla NATO, non equivale dunque ad un avvicinamento alle richieste popolari, che vorrebbero più giustizia sociale, meno capitalismo e farla finita con i papponi dell’oligarchia. Si può immaginare cos’abbia pensato la povera gente ucraina che tribola per poche decine di euro al mese di stipendio, quando è venuta a sapere che la figlia del sindaco di Kiev (noto per essere “corruttissimo” e corruttore) è stata scippata mentre era a fare shopping a Parigi il 15 febbraio, proprio mentre Viktor Yanukovich veniva incoronato presidente.
Il piccolo dettaglio è che nella sua borsa c’era qualcosa come 4,5 milioni di euro di gioelli! Regalie del padre, un paperone, ex-banchiere, famoso perché ha privatizzato a Kiev (facendo arricchire i suoi sodali) tutto ciò che c’era da privatizzare, vendendo anche le case ai pensionati che ha relegato in ospizi lager e famoso per la frase: “Metto all’asta tutto, anche l’aria che si respira!”.. Si chiama Chernovetsky. Vuoi vedere che, malgrado il cambio di guardia, resterà al suo posto?