C’è un’alternativa alla cura da cavallo: la nazionalizzazione del default

Diceva Noam Chomsky che ove un albero cadesse nella foresta ma non venisse ripreso dalle TV, è come se esso non fosse caduto. Ha dell’incredibile l’eccesso di zelo delle televisioni italiane (quelle che davvero plasmano il senso comune) verso Berlusconi e la sua direttiva dell’ottimismo coatto. Esse stanno operando una vera e propria censura sugli sviluppi della situazione in Grecia.

Questo paese è sull’orlo di un collasso che rischia di scatenare un effetto domino su tutta Eurolandia e di trascinare nel vortice l’Italia anzitutto. Per di più la Grecia è attraversata dal più potente movimento di scioperi degli ultimi decenni. Meglio non parlarne affatto, non solo per non spaventare chi c’ha i quattrini e rischia di perdere tutto, ma per evitare che quelli che già ora non hanno più quasi niente si mettano in testa la strana idea di seguire l’esempio dei loro omologhi greci. Vedremo se questa congiura del silenzio reggerà alla prova del fuoco di domani, 24 febbraio, quando il paese sarà completamente paralizzato da quello che sarà senz’altro il più potente sciopero generale dalla caduta dei Colonnelli.

Un complotto ai danni della Grecia?

Che negli ultimi anni la grande speculazione finanziaria abbia messo sotto attacco la Grecia e speculato vendendo e ricomprando i suoi titoli di stato, non pare ci sia alcun dubbio. Per smascherare “il complotto” se ne stanno addirittura occupando i servizi segreti greci, spagnoli e anche francesi.
Scopriranno l’acqua calda, quello che anche un broker-mezza-tacca sa bene. Sul banco degli imputati anzitutto quattro fondi d’investimento: tre americani e un inglese (Moore Capital, Fidelity International, Paulson & Co e Brevan Howard (il maggior gestore di hedge funds d’Europa). Un primo report degli 007 greci afferma: «I quattro fondi hanno assunto posizioni corte sul debito greco vendendo massicciamente e quotidianamente i nostri bond a dicembre per poi ricomprarli una volta scese le quotazioni. Approfittando del clima sfavorevole all’economia del nostro paese e di rapporti che mettevano in dubbio la capacità di Atene di far fronte ai suoi debiti, questi fondi hanno incassato elevati utili.» (Dal quotidiano greco To Vima del 19 febbraio).
Anche il ministro dell’economia francese, Christine Lagarde conferma: “Ci sono difficoltà nella zona euro perché la Grecia è sott’attacco” (Le Monde del 20 febbraio).
Anche barbe finte spagnole, il CNI (che avrebbe addirittura costituito un dipartimento ad hoc), sta indagando sulla “cospiracion”. Si cerca di capire chi si sia arricchito quando le voci della insolvenza spagnola hanno fatto schizzare i prezzi dei Cds dagli 83 dollari del primo dicembre ai 166 dollari attuali. (El Pais del 20 febbraio). Non è escluso che a speculare sul rischio di default della Spagna essi peschino, non solo i soliti vampiri anglosassoni, ma pure qualche porcellino iberico. Gli affari, si sa, sono affari.
La Bibbia del capitalismo transnazionale, il Wall Street Journal ha risposto per le rime a queste notizie di indagine: “Parlare di una cospirazione… spaventa gli investitori più di qualsiasi editoriale critico”.
Da parte nostra non possiamo che aggiungere una banalità: che il capitalismo si fonda sulla caccia al massimo profitto, e che per ottenere il massimo bottino non si fa scrupoli di sorta. Si può ben affondare un paese se questo fa fare quattrini. Tanti, maledetti e subito. La deregulation dei mercati finanziari (globalizzazione) avviata con gli anni ‘80-’90, ha trasformato la vecchia caccia al massimo profitto in un vero e proprio aggiotaggio, in un risico criminale legalizzato, ove ai grandi possessori di denaro è stato consentito di agire come una vera e propria delinquenza organizzata.

Chi possiede il debito pubblico greco?

Avevamo già segnalato, ma vale la pena tornarci su, che sono due gli indici che la grande finanza considera come primi comandamenti per giudicare lo stato di salute delle casse e delle sorti di un paese: lo Spread e i Cds. Il differenziale (Spread) tra i titoli di Stato greci e quelli tedeschi (Bund) è diventato enorme. E’ passato del 5% di fine novembre al 6,5% di questi giorni. Mentre il Credit default swap quinquennali, (le assicurazioni sui titoli di stato che coprono il rischio di insolvenza), sono praticamente raddoppiati in tutti i paesi. I Cds sul rischio di default della Grecia sono praticamente i più alti dell’Occidente (3,7% sull’ammontare del debito detenuto dall’investitore contro, ad esempio, lo 0,5% della Germania).

Questi due indici sono in verità alias o “indici ombra”, agganciati, almeno in teoria, ai loro fondamentali: il rapporto deficit-Pil (la differenza calcolata nell’arco di un anno d’esercizio tra i costi della amministrazione statale e le entrate derivanti dalle imposte dirette e indirette versate da imprese e singoli cittadini), e l’ammontare del debito pubblico – ancora una volta rispetto al Pil, che si dimostra così il bronzeo paradigma del turbo-capitalismo. Diciamo in teoria poiché l’alta finanza c’ha figli e figliastri e non considera tutti allo stesso modo. Il Regno Unito (che ha un rapporto deficit-Pil pari quasi a quello greco) e il Giappone (che ha il debito pubblico di gran lunga più alto del mondo) non sono messi sul banco degli accusati e non sono fatto oggetto di attacchi speculativi devastanti. Sospettiamo che la vera ragione non attenga solo ai “fondamentali” della macchina produttiva (che il Regno Unito infatti non possiede), quanto piuttosto al fatto che questi due paesi sono veri-stati-nazione, forti di una loro sovranità politica e monetaria e dunque in grado di proteggere le loro economie.

Tornando alla Grecia. Com’è noto, questo paese ha il debito più alto d’Europa (124,9% sul Pil) nonché il rapporto deficit -Pil più alto (12,7%). Di qui l’allarme sul rischio di default della Grecia.
Preoccupati sono anzitutto i creditori della Grecia, ovvero coloro che possiedono i suoi titoli di Stato. Se infatti questo paese dichiarasse l’insolvenza o annullasse il debito, non sarebbero i cittadini greci a lasciarci le penne, ma i creditori stranieri. Un dato è eclatante: il debito pubblico greco è per il 73% in mano a creditori stranieri.
E vediamoli dunque chi sono questi creditori. Anzitutto francesi e tedeschi, soprattutto fondi pensione  Ecco spiegato l’arcano per cui Parigi e Berlino sono in prima fila nel fare pressioni sulla Bce e su Papandreu. «Nello scenario peggiore possono scegliere se far cadere la Grecia (e quindi condannare a pagare il debito i loro concittadini nati subito dopo la seconda guerra, oppure salvarla, trasferendo i costi del salvataggio sulle loro generazioni future.» (La Stampa del 21 febbraio).

E’ evidente che Francia e Germania vogliono evitare come la peste sia la prima che la seconda strada. Preferiscono la terza: che i greci si tirino fuori dagli impicci da soli, che il governo applichi la cura da cavallo e reprima con fermezza la eventuale rivolta popolare. Ma c’è un rischio nel caso il governo Papandreu cada e le masse popolari abbiano la meglio: l’effetto domino, non solo sugli altri PIGS, ma sulle grandi banche e fondi d’investimento francesi e tedeschi e a catena su tutta Eurolandia. Così in questi giorni, si fa un gran parlare di un piano da 25 miliardi di Euro per soccorrere la Grecia. E’ un fatto che un piano simile violerebbe i trattati europei e richiede che la Bce chiuda, non un occhio soltanto, ma entrambi. Staremo a vedere. Va da se che l’eventuale piano da 25 miliardi sarebbe condizionato, appunto, all’inasprimento delle misure draconiane già adottate da Atene, ovvero a sacrifici inauditi per il popolo greco.

Un’altra via d’uscita: la nazionalizzazione del default

Se un’azienda debitrice fallisce ci rimette quella creditrice che ha prestato denaro, fatta salva la facoltà di quest’ultima di fare rivalsa pignorando i suoi beni. Ma come fare rivalsa contro uno stato nazionale sovrano?
Fare rivalsa sulla Grecia, ormai espropriata in larga parte della sua sovranità nazionale, politica e monetaria, sarebbe in effetti un gioco da ragazzi.
Ma che accadrebbe se la Grecia decidesse d’un botto d’uscire dall’Euro e dall’Unione? Se decidesse unilateralmente di nazionalizzare e pilotare il default, ripristinando la sua moneta e svalutandola decisamente? O addirittura annullando il debito? Accadrebbe che i creditori sarebbero gabbati, che l’economia greca, pur restando nel quadro del capitalismo, riprenderebbe a camminare e ad esportare, attirerebbe non solo una gran massa di turisti, probabilmente anche di investimenti stranieri a causa del vantaggio rappresentato dal differenziale di cambio e dai bassi costi di produzione. Accadrebbe, questo è quel che più conta per milioni di greci, che eviterebbero la cura da cavallo.

Alternativa che non sta né in cielo né in terra? Via d’uscita giacobina? Sentiamo cosa dice Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 18 febbraio:
«Se l’economia non riprende, per stabilizzare il debito serve una correzione dei conti pubblici enorme: circa 14 punti di Pil, al di là di ciò che qualunque governo possa fare. Se invece la Grecia crescesse al 3% l’aggiustamento necessario sarebbe severo, ma non impossibile: circa 6 punti. Ma come fa la Grecia a ricominciare a crescere? Un modo c’è: uscire dall’Euro, svalutare del 50% e diventare il luogo più a buon mercato in cui andare in vacanza nel mediterraneo. Certo, la svalutazione raddoppierebbe il debito, che è tutto in Euro, ma sarebbe giocoforza non ripagarlo. E’ ciò che ha fatto l’Argentina, con risultati non disprezzabili».