Per l’impeachment popolare di un presidente che non può mai dire di «no»
I cultori delle leggi «ad personam» saranno soddisfatti. Ogni record precedente è stato frantumato dal «decreto interpretativo» di ieri sera, figlio della intensa collaborazione tra il pagliaccio che occupa Palazzo Chigi ed un presidente che – sarebbe molto interessante sapere il perché – non può mai dire di «no».
Al momento del decreto si sa poco, ma già abbastanza per capire la sua natura truffaldina, illegale, incostituzionale e di regime.
Pare, ad esempio, che il decreto preveda che per rientrare nei termini di presentazione delle liste sia sufficiente dimostrare, con qualsiasi mezzo, la presenza nel luogo di consegna nei termini stabiliti dalla legge. Ora il luogo di consegna è uno e solo uno. All’ora stabilita o si era presenti o si era assenti. Se una settimana fa si era assenti, come si potrà dimostrare una settimana dopo di essere stati presenti? O forse per luogo si vuole intendere la piazza, o il bar vicino dove magari – in spregio ad ogni regola – si stavano modificando in maniera pasticciata le liste?
In verità il decreto una cosa la stabilisce: che ormai in Italia non vale più alcuna regola, che vige soltanto un’unica legge, quella del più forte. Quante volte in questi anni sono state escluse dalle competizioni elettorali liste e candidati, spesso per meri errori formali? Qui invece, trattandosi del Pdl, si è ricorsi alla decretazione d’urgenza, per sanare (vedremo poi se sarà sufficiente per il Tar) due situazioni in cui è palese che le norme sulla presentazione delle liste non sono state rispettate per niente. Il tutto in barba al principio dell’uguaglianza di fronte alla legge.
Non siamo mai stati iscritti al «partito antiberlusconiano politicamente corretto», il partito che addebita tutti i mali del paese al buffone di Arcore, per il semplice motivo che l’attacco alla democrazia di quest’ultimo ventennio è stato sistemico e bipartizan. Centrodestra e centrosinistra portano entrambi la responsabilità dell’attuale degrado, ma l’intervento sulle regole delle presentazioni elettorali, quando i termini sono già scaduti da alcuni giorni, è qualcosa che va oltre ad ogni immaginazione. L’ipocrisia governativa e quirinalesca cercherà di trincerarsi dietro il fatto che non la legge è stata cambiata, bensì la sua interpretazione. Francamente è troppo anche per il paese di Azzeccagarbugli.
A questo punto cosa resta della democrazia italiana? Se la sostanza se ne è andata da tempo, ora viene fatta a pezzi anche la forma. E questo è un indice infallibile della gravità della crisi politica, morale, istituzionale che vive l’Italia in questo momento.
Se la metodologia delle leggi «su misura» è tipica del governo Berlusconi, se noto è il suo disprezzo per ogni regola, se ovvia è la sua volontà di tappare le falle alla sua imbarcazione in affanno, ancora più grave è il servilismo di Napolitano. Anche questa non è una novità, ma qui si è davvero passato il segno. In teoria il presidente della Repubblica dovrebbe essere garante delle regole, custode delle leggi e della loro applicazione. Qui invece si è comportato come un compagno di merende, come una spalla degli avvocaticchi del Pdl. C’è solo da chiedersi perchè lo fa, ma quel che è certo è che lo fa.
Che lo faccia per insipienza o per subalternità politica poco cambia. Che lo faccia perché sotto ricatto – non si pensi che i dossier si occupino solo di escort, festini e tangenti – è un ipotesi che sta prendendo sempre più quota.
Di sicuro più che da garante si comporta da guardaspalle dell’imbroglione che guida il governo.
E’ tollerabile? Non è tollerabile ed è necessario cacciarlo, insieme al suo compagno di merende, avviando un sorta di impeachment popolare.
A questo punto la partita elettorale si presenta più truccata che mai. Rifiutare questa farsa, con l’arma dell’astensione, è quanto mai necessario. Solo un massiccio Aventino popolare, che marchi il profondo distacco tra un popolo immerso sempre più nella crisi ed un regime sempre più marcio e sempre più intento ai propri traffici, potrà dare il segnale della lotta e del cambiamento.
Viceversa il marcio continuerà a crescere, ma forse la misura è ormai colma e se il decreto è stato presentato a tutela della «coesione sociale» è proprio la pace sociale che dovranno scordarsi.