E’ passato quasi un anno dai gravissimi disordini che scossero la Thailandia (vedi La rivincita dei rossi) e che fecero numerosi morti.
Si combattevano due schieramenti: “i gialli”, ovvero la destra filo-monarchica e sostenuta dall’esercito, e “i rossi” (dal colore delle magliette che indossano in occasione delle manifestazioni, ma anche perché sostenuti da quel che resta della sinistra thailandese). Proprio mentre scriviamo Bangkok è invasa da decine di migliaia di “rossi” che chiedono le dimissioni del governo e elezioni anticipate. L’esercito presidia la capitale. Forze antisommossa hanno occupato le vie principali e difendono gli edifici governativi. Si teme appunto una ripetizione dei tumulti dell’aprile del 2009.

Ricordiamo che la crisi politica e istituzionale ebbe inizio col colpo di stato del 19 settembre del 2006 con cui i militari (sostenuti dal Re e dall’oligarchia reazionaria e filo-americana che da sempre tiene il paese sotto il suo tallone) deposero il primo ministro Thaksin Shinawatra e misero fuori legge il suo partito, il Thai Rak Thai.
Gli oligarchi e la monarchia, pensando di aver liquidato per sempre quella parentesi, fecero fare all’esercito un passo indietro e proclamarono nuove elezioni, che si svolsero il 23 dicembre 2007. Con Thaksin Shinawatra costretto all’esilio e il Thai Rak Thai fuorilegge, gli oligarchi erano certi della vittoria. Si sbagliarono, poiché vinse il Partito del Potere Popolare, ovvero la coalizione che chiedeva il ritorno di Thaksin (il PPP si aggiudicò 232 seggi su 480, mentre la maggioranza assoluta era di 241). Anche in questo caso la vittoria del PPP veniva dalla zone rurali e dalle periferie più povere delle città, le quali votarono in massa contro la coalizione dei “gialli”, della monarchica, degli oligarchi e dei militari. In conseguenza di quella schiacciante vittoria elettorale primo ministro divenne  Samak Sundaravej.

I “Gialli” non si diedero per vinti e scatenarono una protesta che spinse la Corte Costituzionale (puntellata dall’appoggio dell’Esercito) a causare le dimissioni del primo ministro. Al suo posto, il 15 dicembre 2008, i militari misero un loro fantoccio, benvisto anche dagli USA: Abhisit Vejjajiva, esponente del PAD, tutt’ora in sella.  Ricordiamo che la destra ha ristabilito un sistema antidemocratico per cui il il 70% dei parlamentari viene designato dal Re e solo il resto eletto dai cittadini.
Frutto di questo secondo golpe furono gli scontri durissimi dell’aprile dell’anno scorso, e che videro l’esercito e il governo averla vinta sui “Rossi”.

A commento noi scrivemmo a caldo: «L’ordine regna ora in Thailandia. Un ordine imposto dai militari, ma un ordine alquanto precario. Le opposizioni popolari hanno infatti dichiarato che continueranno a considerare illegittimo l’attuale governo e il suo primo ministro e non cesseranno le proteste fino a quando non saranno cacciati entrambi».
Non ci sbagliavamo. Provenienti soprattutto dalle zone rurali del nord e dell’est, decine di migliaia di cittadini stanno confluendo su Bangkok e hanno dichiarato che non se ne andranno fino a quando il governo fantoccio non si dimetterà e non saranno indette nuove elezioni.