Il vero fatto nuovo emerso dalle urne irachene

Risultati in arrivo a singhiozzo, confusione nell’ufficio elettorale centrale dove affluiscono i voti dalle province, dati forniti e subito smentiti, accuse di brogli da ogni parte. Non ancora chiara neanche la percentuale di votanti.
Gli ultimi dispacci d’agenzia parlano del “testa a testa” tra il blocco guidato da Allawi e quello del primo ministro al-Maliki. Solo questo conferma quanto sarà difficile comporre il nuovo governo col rischio che la crisi politica e lo scontro tra i diversi blocchi si acutizzi.

Ad indicare che il clima in Iraq (dopo l’invasione anglo-americana e la terribile guerra civile tra sunniti e shiiti che ne è seguita) volge in direzione contraria all’attesa pacificazione c’è il fatto più sorprendente che va emergendo dalle urne: la grande affermazione dei candidati sadristi.

Dati praticamente per morti, i sadristi, cedendo alle pressioni di Tehran, hanno inserito propri candidati nella lista unitaria dell’Alleanza Irachena Unita (INA), la cui forza di gran lunga preponderante era il Supremo Consiglio Islamico dell’Iraq (SIIC o ex-SCIRI) e alla cui guida c’è la potente famiglia clericale shiita degli al-Hakim. Un partito non solo filo-iraniano, ma decisamente khomeinista, seguace delle teoria del velayat e-faqih, per cui tutto il potere politico spetterebbe ai chierici islamici (una importante  differenza dottrinaria con gli altri due movimenti shiiti iracheni, al-Dawa e il Mahdi di Moqtada al-Sadr).

I risultati fin qui resi noti ci dicono che nell’ambito delle liste dell’INA, i sadristi hanno avuto la meglio, superando i candidati alleati del SIIC di al-Hakim. Sembra che i sadristi abbiano ottenuto una quarantina di seggi (ma si tratta di illazioni visto il complesso sistema per l’assegnazione dei seggi). Un fatto è certo: sei candidati sadristi sono risultati tra i dodici più votati.
Se questi dati venissero confermati avremmo non solo un rovesciamento dei rapporti di forza nel campo shiita filo-iraniano (oltre che nel 2005 anche alle ultime elezioni provinciali del gennaio 2009 lo SIIC risultò di gran lunga più forte dei sadristi). I sadristi avrebbero un peso decisivo nel panorama politico futuro, il che potrebbe spingere il SIIC, pur di mantenere peso politico, ad allearsi nuovamente con al-Maliki (di cui i sadristi si considerano invece acerrimi nemici).

Si è discettato a lungo sugli ondeggiamenti del movimento sadrista. Gli americani si ricordano il 2004 quando, mentre la guerriglia sunnita stava ingrossando le sue file e portava colpi micidiali, essi dovettero tenere testa alla rivolta simultanea shiita guidata dai sadristi, anzitutto a Baghdad e Najaf. La saldatura tra la lotta armata sunnita e quella dell’Esercito del Mahdi tuttavia non avvenne. Sulle cause di questo mancato incontro e delle gravissime conseguenze che ne seguirono, ne abbiamo approfonditamente parlato nell’articolo Doppio salto nel buio.
La dura rappresaglia americana non avrebbe avuto successo senza l’aperta collaborazione delle altre formazioni shiite di al-Maliki e di al-Hakim, che sono state due pilastri del cosiddetto “processo politico”, ovvero delle istituzioni fantoccio messe su dagli occupanti con l’avallo della Comunità internazionale.

Dopo la rivolta antiamericana del 2004, anche a causa della grande forza acquisita dal jihadismo takfirita in seno alla comunità sunnita (la cui conseguenza fu l’attacco sistematico e stragista contro gli shiiti in quanto apostati e servi degli occupanti) esplose la guerra civile e il movimento sadrista spostò il bersaglio e assunse, assieme alle Brigate Badr, un ruolo fondamentale nella caccia al “qaedista”, caccia che sfociò in rappresaglie sanguinose che sprofondarono in una vera e propria pulizia confessionale e tribale ai danni della comunità sunnita. E di quella pulizia l’Esercito del Mahdi porta ancora oggi pesanti responsabilità. I sadristi vennero quindi premiati, e malgrado dicessero di essere ostili al “processo politico”, ottennero anche dei ministeri.

Questo non impedì una guerra civile strisciante in seno alla stessa comunità shiita, con i sadristi che sparavano sia contro le milizie di al-Maliki che contro quelle di al-Hakim, fino allo scontro frontale del 2008 che sconvolse tutto il sud e Bassora anzitutto, quando l’Esercito del Mahdi venne sconfitto dal fronte unito composto da americani, inglesi, forze armate governative e milizie shiite. Quella sconfitta del 2008 sembrò aver posto la parola fine al sadrismo. Evidentemente non era così.

Il balzo elettorale del movimento di Moqtada al-Sadr ha stupito gli stessi analisti iracheni. Da tempo Moqtada si trova in Iran, sembra dedito agli studi per diventare ayatollah, un titolo indispensabile per diventare un leader a tutti gli effetti svestendo per sempre i panni del capo-popolo istintivo, movimentista e imprevedibile. Proprio dall’Iran Moqtada ha concesso un mese fa un’intervista in cui ha esortato i suoi a recarsi massicciamente al voto, ma lo ha fatto con toni nazionalistici, ribadendo che ciò andava fatto nella prospettiva di scacciare per sempre gli americani dal paese e per formare finalmente “un governo al servizio del popolo”.
Moqtada ci ha abituato a diversi voltafaccia, tutti giustificati comunque come passaggi necessari della lotta di liberazione, nell’intento di accreditarsi come un vero patriota e di impedire che lo shiismo iracheno fosse in quanto tale considerato una forza ausiliaria degli americani o puramente settaria al servizio di Tehran.
Non c’è dubbio che il sadrismo da voce ai settori più poveri e oppressi della popolazione shiita e in questo senso si spiegano i suoi appelli sempre improntati alla liberazione degli oppressi

Staremo a vedere come Moqtada vorrà utilizzare il grande consenso ottenuto. Se farà nuovamente marcia indietro, diventando forza ausiliaria  del prossimo governo, o se seguirà una linea offensivista e intransigente. Ma la cartina al tornasole per verificare se Moqtada punta davvero a diventare il campione nazionalista della liberazione dell’Iraq sta su un altro terreno, in quello dei rapporti con le forze nazionaliste sunnite, quelle che non hanno seguito Allawi e che continuano a boicottare il “processo politico”. Il sangue scorso durante la guerra civile è un macigno sulla via della pacificazione con la Resistenza sunnita, ma è un passo che Moqtada dovrebbe fare se non vuole restare un movimento meramente settario e confessionale e se, come molti affermano, vuole davvero seguire le orme dell’Hezbollah libanese.