Come il Prc già discute di una sconfitta annunciata

Onore al merito. Nel Prc hanno già capito come gli andranno le regionali: male, forse malissimo. Ed hanno incominciato a discutere del dopo. E qui i meriti finiscono, dato che la discussione ha messo in campo un’unica merce, l’assoluta e difficilmente uguagliabile mediocrità del gruppo dirigente.

«Unità», è il titolo di un articolo che Claudio Grassi ha pubblicato sul suo blog il 16 marzo. «Uniti sì, ma per costruire un’altra storia», è la zoppicante risposta del segretario Ferrero sulle pagine di Liberazione del 19 scorso.
Nella fiera del «già visto e rivisto», Grassi ripropone la formula magica dell’unità, Ferrero l’aria fritta del bertinottismo senza Bertinotti.

Ci fu un tempo, comunque assai migliore dell’attuale, in cui i comunisti infilavano la parola magica dell’unità dappertutto. C’era l’unità di classe, l’unità sindacale, quella antifascista e quella nazionale. Cose diverse, magari contrapposte, ma unificate dall’identico richiamo magico. «Unità, unità, unità»…nei comizi come nei congressi, nelle assemblee sindacali, come nelle istituzioni. Una formula multiuso, che permetteva al militante onesto di credere di stare lavorando alla costruzione di un blocco storico alternativo, ed ai dirigenti di accordarsi con la Dc e la Confindustria. Insomma, ognuno aveva la sua unità…

Ora, che viviamo tempi davvero grami, l’invocazione unitaria è finita nelle mani di un Claudio Grassi. Se l’ambiguità di un tempo era una funzione vitale di un partito la cui stazza era pari soltanto all’assenza di prospettive strategiche, oggi quell’assenza è moltiplicata per dieci mentre la forza è pari a zero.
L’unità grassiana è unità con il Pd in nome del resuscitato «Popolo di sinistra», ma è anche unità della Federazione della sinistra con il mini-arcobaleno vendoliano di Sinistra ecologia e libertà (Sel).
Avremmo così un piccolo partito (il Prc), aggregato in una assai confusa Federazione, unito – «nelle forme dell’unità possibile», secondo il linguaggio grassesco – a Sel. Per fare che cosa? Ma per unirsi, ci mancherebbe!, con il Pd ed i suoi alleati. «Unità, unità, unità»… ed ancora una volta, nei tempi lunghi, la farsa la spunta alla grande sulla tragedia.

Noi non sappiamo cosa voglia esattamente il «Popolo di sinistra», e non lo sappiamo per la banale ragione che non sappiamo esattamente cosa sia. Viceversa abbiamo la presunzione di sapere quello che il popolo proprio non vuole: le formulette politiciste, funzionali alla sopravvivenza di un ceto politico per giunta moribondo e dilettantesco, che niente sa dire sul presente e sul futuro della società italiana.

Abbiamo già detto della risposta di Ferrero a Grassi. I due, come da miglior tradizione, non si citano neppure, ma hanno già iniziato a duellare. Per l’affermazione della propria linea? Neanche per idea!, per il mero controllo di quel micro-potere che ancora hanno o perlomeno credono di avere.
Per la verità Ferrero abbozza un ragionamento un po’ meno rozzo del suo collega di segreteria, nonché responsabile dell’organizzazione del partito. L’ex mini-ministro del gabinetto Prodi accenna a qualche riflessione sul bipolarismo ed alla necessità di superarlo. Giusto! Ma come superarlo, se si persevera nell’alleanza con il Pd riconfermata alla grande dalla sua segreteria proprio in occasione delle ormai imminenti elezioni regionali? Mistero fitto.

La «furbata» che sembra proporre Ferrero è talmente «ingenua» da far dubitare di cotanta ingenuità. Leggiamolo: «dal mio punto di vista si tratta di porsi, come problema politico di fase, l’uscita dalla Seconda Repubblica. Ed è questa a prevedere e a portare con sé anche l’uscita dal sistema elettorale bipolare».
Lasciamo qui perdere il fatto che il bipolarismo è certamente una gabbia, ma lo è a maggior ragione se si decide sempre e comunque di stare al gioco, che è esattamente quello che il Prc sta facendo da oltre un quindicennio, con i brillanti risultati rilevabili anche dalle serie statistiche dell’ufficio elettorale del Ministero degli interni.
Quel che non possiamo proprio lasciar perdere è la leggerezza con la quale si affronta la concreta evoluzione della situazione politica italiana. L’idea di Ferrero sembra essere quella esposta in un’intervista prenatalizia (vedi Aggrappati a Bersani), nella quale il segretario del Prc oltre a dirsi pronto ad «allearsi anche con il diavolo» ritornava a mettere al centro la questione della legge elettorale, ipotizzando una sorta di scambio tra il sostegno ad un’alleanza con Casini candidato premier ed il passaggio al sistema elettorale tedesco.

Non escludiamo per niente che il sistema tedesco, opportunamente «italianizzato», possa rivelarsi il più confacente alle attuali esigenze sistemiche. E’ su questa considerazione che si basa evidentemente la speranza ferreriana, e già questo dovrebbe essere materia di qualche riflessione. In ogni caso, se è così, all’interno di quale progetto politico verrebbe concretamente a configurarsi oggi la nuova eventuale legge elettorale?
Detto in altre parole: sfugge forse a Ferrero il disegno oligarchico che punta ad andare in tempi non lunghissimi ad un governo «tecnico», od «istituzionale», in grado di rimettere all’ordine del giorno la parola «sacrifici»? Sfugge ai lungimiranti dirigenti federatori della sinistra, unificatori di tutto l’unificabile, che gli attori politici di questo progetto si chiamano D’Alema, Casini, Rutelli, Fini e Draghi?
Impossibile che possa sfuggirgli, ma costoro hanno sostituito ogni analisi, ogni principio, ogni idea sul mondo con il mero Primum vivere. E siccome ai militanti sinceri, sempre meno ma ancora ne esistono, qualcosa bisogna pur vendere, ecco la riedizione aggiornata (ma neanche tanto) di due formule magiche: quella unitarista di derivazione pcista da un lato (Grassi), e quella parolaia e confusionaria di matrice bertinottiana dall’altro (l’«altra storia» di Ferrero).

Per ironia della sorte sarà proprio questo pensiero unico auto-conservatore, cioè volto alla pura conservazione di se stessi come ceto politico, la causa prima dell’ennesima sconfitta elettorale.
Chi scrive l’ha prevista per tempo (vedi articolo del 14 marzo). Vedremo se i fatti smentiranno quelle previsioni. Del resto solo chi non ne fa ha la certezza assoluta di non poter essere mai smentito. Quel che è certo è che il dibattito (lo scontro) che si è già aperto nella maggioranza del Prc (dal Pdci non giungono segnali certi di vita), trae origine proprio dalla precisa sensazione di un nuovo arretramento. Segno che le nostre previsioni sono sostanzialmente condivise anche dai diretti interessati. Che tutto sono pronti a fare fuorché avviare una qualche autocritica.