Sulla scottante situazione all’interno del campo profughi palestinese di Ein al-Hilweh, alla periferia di Sidone, abbiamo scritto in diverse occasioni. Essendo il più grande campo profughi palestinese, nonché quello che si può fregiare di avere sempre svolto un ruolo di punta in ogni grande battaglia di resistenza contro Israele, esso è sotto la lente d’ingrandimento di tutti i principali attori della scena mediorientale. Dei sionisti ovviamente, delle formazioni palestinesi tutte, a cominciare da al-Fatah, come pure di Hezbollah e del governo libanese.

La frattura in seno ad al-Fatah

A confermare che quanto accade nel campo di Ein è decisivo e che quanto li avviene ha sempre conseguenze più ampie, viene la notizia della frattura in seno ad al-Fatah. Abu Mazen, presidente dell’ANP avrebbe rimosso, venendo incontro alle pressioni dello schieramento libanese filo-occidentale, il capo della sicurezza di al-Fatah per i campi profughi in Libano, Munir al-Maqdah, mettendo al suo posto Ahmad Saleh.

Questa rimozione si spiega col fatto che Munir al-Maqdah si oppone recisamente alla richiesta del governo libanese di disarmare le milizie palestinesi, come di consegnare le armi stipate nei depositi e a disposizione della Resistenza palestinese. Indiscrezioni dicono che Munir al-Maqdah avrebbe stipulato recentemente, nell’eventualità di un nuovo attacco israeliano, un accordo di cooperazione con Hezbollah. Quest’ultimo ha addirittura dovuto smentire la notizia per cui duemila combattenti palestinesi si sarebbero già arruolati nelle file della Resistenza nazionale libanese di Hezbollah. I notabili di al-Fatah vicini ad Abu Mazen avrebbero poi accusato Munir al-Maqdah di avere raggiunto (sottobanco) un accordo con il gruppo salafita di Ein el-Hilwe, Osbat al-Ansar, accusato da più parti di essere “vicino ad al-Qaida”. Tuttavia, a causa delle proteste dei militanti di al-Fatah (non solo del campo di Ein el-Hilwe) Abu Mazen ha dovuto congelare la nuova nomina. Il braccio di ferro è solo rimandato (Il manifesto del 24 marzo).

Ma cosa c’è dietro a questo scontro in seno ad al-Fatah? Sbaglia chi pensa che esso sia causato da futili motivi, da ragioni personali, o da dissidi tra notabili in lotta per il potere. La chiave per comprendere il dissidio è: devono i palestinesi in Libano prepararsi ad un’eventuale nuova aggressione israeliana? E se sì, come sostenere l’eventuale sforzo bellico di Hezbollah? E’ chiaro che l’ANP e Abu Mazen, vorrebbero tenere i combattenti di al-Fatah fuori dalla battaglia che in molti ritengono imminente. Non solo questo. Abu Mazen non vuole mettere a repentaglio i buoni rapporti che l’ANP ha col governo di Hariri, e quindi tranquillizzare le destre libanesi che in caso di scontro tra esse ed Hezbollah, i miliziani palestinesi manterranno una posizione equidistante, ovvero che non scenderanno in campo a favore della Resistenza libanese.

Osbat al-Ansar e il campo di Ein el-Hilwe

Abbiamo scritto dell’ennesimo scontro a fuoco, avvenuto il 15 febbraio scorso, tra i membri di Fatah e  i salafiti di Osbat al-Ansar, conclusi con la morte di una donna palestinese. Era la conferma di attriti antichi e che l’organizzazione salafita aveva rafforzato le sue posizioni all’interno del campo profughi.

I giornali libanesi non facevano mistero, in quei giorni, che l’esercito, con le sue forze d’élite, stava per entrare nel campo profughi, allo scopo di togliere di mezzo Osbat al-Ansar. L’attacco è stato evitato, almeno così  sembra, perché i comandi libanesi hanno valutato che il rischio di perdite ingenti era molto alto, e che i combattimenti per snidare i miliziani di Osbat al-Ansar sarebbero stati ancor più lunghi e devastanti di quelli che avvennero nel campo profughi di Nar el-Bared tre anni fa.
Afferma un ufficiale libanese: «Uno dei punti di forza del campo, ciò che porrebbe evidenti problemi all’esercito, è che lì operano criminali decisi a tutto (intende i salafiti, Ndr), che non avrebbero nulla da perdere nel caso di un’irruzione dell’esercito. Essi possono anche contare su un vasto labirinto di cunicoli e bunker che ostacolerebbero l’avanzata dell’esercito».
(http://www.nowlebanon.com/)
Noi aggiungiamo che data l’eccezionale densità abitativa di Ein el-Hilwe, ogni attacco in grande stile che non fosse preceduto da una evacuazione forzata di gran parte della popolazione, si risolverebbe in un eccidio che farebbe impallidire quello avvenuto a Nar el-Bared.

Sempre i giornali libanesi dicono che i salafiti, anche “grazie ai finanziamenti dei paesi del Golfo, Arabia Saudita in primis”, avrebbero consolidato le loro posizioni, a scapito non solo di al-Fatah ma di tutte le altre frazioni presenti nel Campo di Ein, compresa HAMAS.

Lo stesso ufficiale dell’esercito libanese, le cui affermazioni vanno prese con le pinze, avrebbe detto che “…i recenti scontri hanno mostrato che i militanti islamici sono dotati di armi tecnologicamente avanzate e un sacco di munizioni, cose di cui prima non disponevano. Contano su un numero crescente di seguaci ben addestrati, molti dei quali hanno fatto esperienza in Iraq e, più recentemente, in Pakistan e in Afghanistan “. (ibidem)

Militanti palestinesi di Ein el-Hilwe negano che Osbat al-Ansar sia così forte. Dicono che il gruppo, pur cresciuto grazie alla confluenza di diversi membri del disciolto Jund al-Sham, non ha più di 200 militanti. Uno di questi sarebbe Gandhi Sahmarani, capo della sicurezza militare nella zona islamica Safsaf all’interno del campo. Sahmarani è stato accusato ovviamente di essere un “terrorista” dalla stampa libanese filo-occidentale, di lavorare a stretto contatto con Jamal Hamad, cugino di Hisham Shreidi, fondatore di Osbat al-Ansar e assassinato di recente.

Secondo fonti militari libanesi, se dalle schermaglie si passasse ad una finale resa dei conti tra al-Fatah e Osbat al-Ansar, quest’ultima avrebbe senz’altro la meglio, sia perché è meglio armata, sia perché i suoi miliziani  sarebbero più motivati. (ibidem)
Che la posizione di al-Fatah si sia indebolita negli ultimi anni è un fatto acclarato. «I combattenti di Fatah sono alcune migliaia all’interno del campo, ma solo poche centinaia di essi sarebbe disposti a partecipare a un eventuale confronto finale con Osbat al-Ansar. Pochi sono quelli che andrebbero in guerra fratricida contro altri palestinesi, la quale viene vista come una conseguenza delle rivalità interne ad al-Fatah». Vedi la vicenda del dissidio tra Abbas Zaki e Sultan Abu al-Aynayn, quest’ultimo uscito dalla scena politica libanese e nominato da Abu Mazen  “consulente per gli affari dei rifugiati palestinesi”». (ibidem)

Per questo il rimpasto che chiede Abu Mazen all’interno della gerarchia di al-Fatah in Libano, può avere conseguenze immediate sulla fragile pace che oggi regna a Ein, e ottenuta grazie alla mediazione di Hezbollah. Se Abu Mazen ha dovuto fare marcia indietro, o almeno congelare la defenestrazione di Munir al-Maqdah, è proprio perché le conseguenze di questa rimozione potevano essere gravi e imprevedibili. Al-Maqdah ha sempre cercato di evitare, in nome dell’unità della Resistenza palestinese, di esacerbare il latente conflitto coi salafiti, di mantenere buoni rapporti coi siriani, così come ha respinto le pressioni del governo libanese sul disarmo dei campi profughi.