A proposito di alcune valutazioni sul voto francese

Domenica scorsa, 21 marzo, si è svolto il secondo turno delle elezioni regionali francesi.
Praticamente tutti gli osservatori hanno registrato 3 dati: la sconfitta di Sarkozy, l’affermazione del blocco imperniato sul Partito socialista, ma soprattutto l’avanzata clamorosa dell’astensionismo. Tutti, ma non Rossana Rossanda, che sul Manifesto del 23 marzo ha scelto di concentrarsi unicamente sul tema preferito: la sinistra, che vince se è «almeno riformista», che in Francia è meglio che in Italia, che perde consensi se non accetta la logica delle alleanze bipolari.

Ora, che nel degrado generale della politica (e della democrazia) europea, l’Italia rappresenti il punto più basso non c’è alcun dubbio. Stesso discorso per la sinistra italiana, sicuramente una delle più ridicole del continente. E non stiamo parlando del solo Pd.
Il confronto proposto da Rossanda è dunque fin troppo facile. Bisognerebbe piuttosto chiedersi il perché di questa situazione, senza cercare la facile scorciatoia del «fare come in Francia», che in ogni caso non cambierebbe granché le cose.

Premesso che il termine «riformismo» è oggi qualcosa di irrimediabilmente ambiguo, esiste davvero una relazione tra il riformismo che Rossanda attribuisce alla sinistra francese ed i risultati di domenica scorsa? Ed è questa l’indicazione principale uscita dal voto? Non ci pare proprio. Del resto gli stessi consensi elettorali della sinistra francese sono stati negli ultimi anni quanto mai altalenanti, segno dell’irruzione di altri fattori di carattere oggettivo.

La verità è che il partito di Sarkozy (l’UMP) ha pagato i primi riflessi politico-elettorali della crisi e che il sistema politico nel suo complesso è stato fortemente delegittimato dall’astensionismo, che ha raggiunto il record del 53,6% al primo turno, attestandosi attorno al 50% al secondo.
In termini di consenso reale non è la sinistra ad aver vinto, ma la destra ad aver perso. A chi pensa che in fondo sia la stessa cosa, ci limitiamo a ricordare che il vincitore (il Partito socialista) ha avuto il voto soltanto da un misero 13,3% degli aventi diritto…
E siccome siamo a due giorni dalle regionali italiane, cosa dirà Rossanda se il voto di casa nostra fornirà – come pensiamo – più o meno le stesse indicazioni di quello francese? Lunedì scopriremo che l’asse Bersani-Casini è diventato «riformista» nell’accezione rossandiana?

La vera questione è la crisi, i suoi effetti sociali, le sue ricadute politiche. Siamo evidentemente solo all’inizio di un potente scossone, che potrà prendere direzioni assai diverse, ma che arriverà. In questo quadro le regionali francesi hanno un rilievo assai modesto, ma indicano comunque la gravità di una crisi politica incipiente. Una crisi causata in primo luogo dall’incapacità del sistema politico di far fronte ai devastanti meccanismi ed ai dirompenti effetti della finanziarizzazione dell’economia. Una crisi di consenso e di egemonia delle èlite dominanti, che si produce in società dal sistema immunitario debilitato da decenni di consumismo drogato e di democrazia manipolata, ma di tale portata da costringere forse il malato ad una rapida cura disintossicante.
L’astensionismo, pur nella sua innegabile contraddittorietà, è forse un primo sintomo di questa reazione. E’ ancora poco, ma è molto, molto di più delle presunte vittorie «riformiste» giocate tutte nel medesimo recinto sistemico.

Di tutto ciò Rossanda non parla, quel che è più evidente Rossanda non vede.
All’astensionismo dedica meno di una riga, mentre si preoccupa – mai dimenticarsi il suo «baciare il rospo», cioè il governo Dini, del 1995 – di sottolineare il cattivo risultato del Nuovo Partito Anticapitalista (NPA), reo di aver rifiutato l’alleanza con il blocco incentrato sul PS. A Rossanda non viene neppure in mente che questo risultato possa essere stato il frutto di un astensionismo radicale che ha punito la stessa estrema sinistra, compresa Lotta Operaia oltre all’NPA.
Rossanda, si sa, è più bipolarista di Veltroni e non ammette eccezioni. Ma se fosse vera la sua teoria  delle alleanze obbligate, pena l’inevitabile marginalizzazione, come spiegare ad esempio il successo di Die Linke alle elezioni tedesche del settembre scorso?
Le stesse regionali francesi hanno fornito una riprova di quanto il dogma rossandiano sia quantomeno discutibile. Nel Limousin l’NPA si è alleato con il Fronte di sinistra, che in questa regione ha rotto con i socialisti. Questa alleanza è andata al ballottaggio*, conquistando addirittura il 19% dei voti. Il candidato socialista ha vinto ugualmente, l’astensione è risultata di 10 punti inferiore alla media nazionale. Naturalmente, anche su questi dati assai eloquenti Rossanda tace.

D’altronde il succo del suo ragionamento è racchiuso in questa frase: «Mi appresto a votare Emma Bonino, una persona limpida che rispetta le regole, ma è una liberista di ferro. Dove va la sinistra?»
E dove mai dovrebbe andare se tutte le Rossande del mondo gli danno il voto, rientrando appositamente a Roma da Parigi? 

* In queste elezioni andavano al ballottaggio le liste con almeno il 10% dei voti al primo turno.