Addio “Rivoluzione dei tulipani”. C’è voluta la sollevazione armata per cacciare Kurmanbek Bakiev, salito a sua volta al potere nel febbraio-marzo 2005 grazie alla combinazione di una congiura di palazzo, delle proteste di piazza e l’appoggio degli americani. Era la terza “rivoluzione colorata” delle serie, dopo quella delle Rose in Georgia e quella Arancione in Ucraina.

Ora, siccome Putin ha riconosciuto il governo ad interim della Roza Otunbayeva (che al tempo, non lo scordiamo, fu alla testa della “Rivoluzione dei tulipani”), alcuni media fanno trapelare la tesi che dietro “alla messinscena” ci siano Mosca e Pechino, paesi che vorrebbero venga chiusa la base militare USA di Manas, aperta nel 2001, e di vitale importanza, sia per il rifornimento delle truppe d’occupazione di Afghanistan sia, in chiave strategica in funzione anti-iraniana, anti-russa e ovviamente anti-cinese.

 

Le cose sono forse più complesse di questa rappresentazione binaria. Gli Stati Uniti, che nel frattempo avevano dovuto chiudere l’altra base militare in Uzbekistan quella di Karshi-Khanabad, avevano perso colpi anche in Kirghizistan. Un anno dopo avere conquistato il potere, il presidente Kurmanbek Bakiev aveva già compiuto un voltafaccia, recependo le pressioni russe e cinesi e minacciando gli americani che avrebbe fatto chiudere la sua base.

Sin dal 2006 gli USA hanno tentato in ogni modo di azzoppare “il traditore”. Così, nel gennaio del 2006 sponsorizzarono un nuovo blocco d’opposizione anti-Bakiev, la cosiddetta “Coalizione Popolare delle Forze Democratiche” (Cpfd), formata da 25 partiti e, ovviamente, 9 Ong finanziate dagli Stati Uniti (l’11 aprile del 2006 ci fu addirittura l’incontro tra Edil Baislaov, uno dei maggiori leader della Cpfd, e il neo Sottosegretario di Stato Usa per gli affari centroasiatici, Richard Boucher). Ci furono mesi di proteste e manifestazioni per cacciare Bakiev (accusato di essere un tiranno corrotto e di avere rapporti affaristici con la malavita) ma si rivelarono vane. Bakiev restò ben saldo al potere, e ciò anche grazie al sostegno di Putin.

Non fosse che nel frattempo molte cose sono cambiate in Kirghizistan, si potrebbe sospettare che i tumulti che hanno portato al potere Roza Otunbayeva sia una “Rivoluzione dei tulipani 2”. No, non pare sia così.
Due sono le considerazioni da fare. La prima è che la sollevazione popolare di questi giorni, certamente manipolata da chi nel Palazzo congiurava per defenestrare il Presidente Kurmanbek Bakiev, è stata tuttavia una rivolta autentica, in quanto ha mobilitato ampi strati sociali del paese, anzitutto quelli più diseredati che negli anni, mentre i nuovi ricchi si ingrassavano, hanno subito pesantemente le conseguenze della crisi economica internazionale. Salta agli occhi che la rivolta sia divampata nelle province settentrionali del paese, mentre furono quelle meridionali (valle del Fergana), multietniche  e più prospere, la forza motrice della “Rivoluzione dei Tulipani”. La rabbia popolare contro Bakyev (anhe volendo sorvolare sui brogli a scala industriale che segnarono la sua elezione (88,9% di voti), si è andata materializzando dopo che egli, da classico capo clan, ha distribuito poltrone e ricchezze ai suoi familiari, prebende ai suoi funzionari, modificato più volte la costituzione accrescendo i propri poteri, chiuso le sedi di alcuni giornali non graditi e fatto arrestare diversi oppositori e fatto nulla a favore delle masse popolari.

La seconda considerazione è che  questa volta la guerra per bande interna al regime si è giocata non tra filo-russi e filo-americani, ma tra cosche entrambe filo-russe. Dal 2005 ad oggi la vecchia “Coalizione Popolare delle Forze Democratiche” (Cpfd) si è dissolta, in maniera direttamente proporzionale al declino della influenza americana.