Le elezioni regionali sono archiviate da pochi giorni che già Prc e Pdci sono all’ansiosa ricerca di nuove aggregazioni, più precisamente di nuovi pasticci. Che è poi la loro specialità. Ormai non ci si nasconde neppure più dietro ad un qualsivoglia progetto, ormai è solo lotta disperata per la sopravvivenza del ceto politico.  Si annuncia un’accelerazione verso il congresso della Federazione della sinistra, sostanzialmente verso uno scioglimento dei due partiti. Si annuncia, soprattutto, una spinta ancora più forte per rimettersi assieme ai vendoliani, ammesso e non concesso che il «Berlusconi della sinistra» sia ancora interessato a questa prospettiva…

Torneremo con più calma su queste evoluzioni, ma intanto pubblichiamo questo interessante articolo di Stefano G. Azzarà sul caso marchigiano. Un «caso» che alcuni leggono come controtendenza possibile rispetto alle spinte di cui sopra. Viceversa, Azzarà mostra chiaramente che quella marchigiana altro non è stata che una variante, resa necessaria dalla specifica situazione creatasi nelle Marche, di quella stessa linea politica che ha realizzato quasi ovunque l’accordo con il Pd.

Le Marche come laboratorio politico nazionale?
Alcune precisazioni in merito alle elezioni regionali

di Stefano G. Azzarà

Sin dai tempi dello Stato Pontificio, nelle Marche Rifondazione e PdCI sono stati in felice alleanza con il PD in Regione, province, comuni. Per quanto riguarda il PRC, su questo orizzonte strategico sia i ferreriani (l’ex segretario regionale Brandoni) che i grassiani (l’ex assessore Amagliani) che gli opportunisti per tutte le stagioni (il neosegretario Savelli) sono sempre stati d’accordo e si sono divisi solo al momento di contendersi le poltrone. Non a caso, qualche mese fa, al termine della scorsa legislatura, PRC e PdCI avevano immediatamente rinnovato e sottoscritto l’alleanza. Mai del resto si erano distinti dalla Giunta confindustriale di Spacca durante il mandato precedente, nonostante le tante chiusure di fabbriche e il morso feroce della crisi.

A questo punto, però, colpo di scena! Come pubblicamente annunciato, il PD apre all’UDC. L’UDC pone a sua volta il veto sui comunisti ma non su SEL. PRC e PdCI non si accorgono della fortuna sfacciata che gli è immeritatamente capitata e – consapevoli del proprio sfascio organizzativo e terrorizzati dal pericolo di perdere la rappresentanza istituzionale – tentano sino all’ultimo minuto di riaffermare l’alleanza appena sottoscritta. Strisciano perciò in ginocchio, lingua a terra, sino alla corte del capo del PD regionale Palmiro (sic!) Ucchielli e giurano di aver sempre amato Casini, oltre che D’Alema, e di essere felicissimi di accettare l’accordo con l’UDC.

Innamorati presto traditi, tuttavia: l’UDC non molla e riesce ad escluderli dalla colazione. E’ solo per questo motivo che i comunisti si sono presentati obtorto collo contro il PD, alleandosi infine con SEL (che nelle Marche ha scelto di seguire la Federazione per non subire la concorrenza di una lista alternativa). All’ultimo minuto, perciò, hanno tirato dal cilindro la candidatura del povero Massimo Rossi – che è molto conosciuto e apprezzato in regione e ha non a caso preso più voti delle liste di sostegno – e l’hanno mandato avanti senza nemmeno assicurargli un posto in Consiglio regionale.

La scelta di andare contro il PD non è stata affatto una scelta autonoma. Non a caso, in campagna elettorale non c’è stata nessuna critica da parte dei comunisti verso l’esperienza Spacca, della quale erano stati complici. C’è stata invece la rivendicazione del “buongoverno” degli anni precedenti e l’affermazione che senza i comunisti la Giunta sarebbe andata a destra. Dunque: la Giunta Spacca era perfetta finché c’erano i comunisti, mentre fa schifo per il solo fatto che i comunisti sono stati esclusi e non hanno più poltrone.

In realtà l’incidenza dei comunisti nel programma di Spacca è sempre stata minima e non hanno portato a casa nulla di politicamente rilevante e sono stati giustamente puniti, a partire dagli uomini di punta del loro gruppo dirigente. Se guardiamo poi ai voti, PRC e PDCI insieme prendono 27.975 voti = 3,8 e cioè vanno incontro ad una catastrofe, considerato che negli anni 90 Rifondazione aveva qui oltre il 10% e che ancora qualche anno fa PRC e PdCI erano intorno all’8. Non ha senso, in questa prospettiva, sommare ai voti della Fed quelli di SEL o quelli di Rossi.
L’esperienza delle Marche non rappresenta dunque, a mio avviso, un laboratorio particolarmente innovativo o un esempio da seguire.

La questione dell’alleanza con Vendola evocata da Grassi, infine, indica chiaramente che la prospettiva strategica scelta dal PRC è quella del fiancheggiamento del Centrosinistra. La ragione sociale di SEL è proprio quella di coprire a sinistra il Centrosinistra, e quindi è chiaro che se Grassi propone di allearsi con SEL non è certo per costruire un polo alternativo ma unicamente per riposizionarsi accanto a D’Alema.

da: www.materialismostorico.it/