L’eventuale Vittoria di Pirro di al-Bashir

Il Sudan ha cominciato il complesso conteggio dei voti di milioni di cittadini dopo cinque giorni di voto nelle sue prime elezioni multipartitiche in 24 anni. Operazione che durerà diversi giorni, non solo a causa della vastità del paese, di numerose zone remote, ma pure perché i cittadini erano chiamati a votare simultaneamente per il presidente, il parlamento nazionale, quelli regionali e locali. Tante le schede da conteggiare.

Come abbiamo già segnalato non si è arrivati a queste elezioni tranquillamente. Numerosi partiti d’opposizione hanno ritirato i loro candidati sollevando l’accusa preventiva dei brogli e della frode elettorale. Altri, tra cui il JEM darfuriano ha fatto appello al boicottaggio. Ma nella rissa prelettorale il peso massimo dello schieramento anti-al- Bashir era certamente il sudista SPLM (Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan).
Apparentemente il SPLM si era deciso per il boicottaggio completo delle elezioni ma poi, su pressione USA, ha scelto una tattica più insidiosa: il boicottaggio restava valido per le presidenziali, per il parlamento nazionale e per gli stati settentrionali. Nel sud sotto il suo controllo il SPLM ha chiamato i suoi seguaci a recarsi alle urne, certo di ottenere una grande vittoria. In questa maniera il gruppo dirigente del SPLM ha voluto cavalcare due tigri, quella della propria vittoria elettorale al sud e quella della delegittimazione del processo elettorale centrale, dove la vittoria del NCP è data per certa se non plebiscitaria.

La diabolica tattica del SPLM è presto spiegata. Il NCP, il partito di al-Bashir aveva minacciato che nel caso il SPLM avesse boicottato su tutta la linea le elezioni, questa sarebbe stata una violazione degli accordi di pace del 2005 di Nairobi che posero fine alla guerra civile, dove veniva stabilita una chiara relazione tra elezioni generali e referendum nel sud sull’eventuale secessione. Il secondo veniva a dipendere dalle prime. Così, davanti alla minaccia del NCP che non ci sarebbe stato alcun referendum l’anno prossimo nel caso il SPLM avesse ritirato i suoi candidati, quest’ultimo, in evidente difficoltà, ha ritirato il suo candidato alla Presidenza della repubblica Yasser Arman ma ha mantenuto in corsa i suoi candidati per il governo degli stati del Sud, lasciandosi così le mani libere per condannare le elezioni presidenziali come fraudolente. Due piccioni con una fava.

In un certo senso il SPLM ha ragione a ritenere che le elezioni in questione sono solo il primo e non decisivo tempo della partita, essendo il secondo, quello del referendum sulla separazione dell’anno prossimo, quello cruciale. Gli eserciti si stanno dunque tatticamente posizionando sul campo in vista della battaglia decisiva. Il NCP non si oppone per principio al diritto all’autodeterminazione del sud, anzi negli Accordi di pace siglati ha dovuto solennemente assicurare questo diritto alla separazione. Di lì non si può tornare indietro. Il problema è evidentemente quello dei confini, sul cui tracciamento da sempre c’è uno scontro tra Khartoum e Juba. Due i principali problemi: le zone su cui dovrebbe passare il confine sono in molti casi a composizione etnica e linguistica multipla. Il secondo non meno scottante problema è che i grandi giacimenti petroliferi si trovano quasi tutti in zone contese. Per cui non è difficile ritenere che lo scontro, man mano che il referendum del 2011 si approssimerà, diventerà al calor bianco e vedrà coinvolte le potenze quali gli USA e la UE, come pure la Cina e i paesi arabi.

Torneremo sulla questione, anzitutto analizzando i risultati delle elezioni, attesi il 20 aprile.