A situazione diversa, diversa lotta di classe

Chi ci segue ci darà atto di aver dato alla crisi greca l’importanza che meritava. Pensiamo  riconoscerà anche che noi avevamo visto giusto nel segnalare quanto fosse alta la probabilità di una sua europeizzazione.
Rimandiamo alla lettura dei diversi articoli in cui abbiamo trattato la questione a partire da gennaio. A conferma di quanto premonivamo (che il sofferto ed esoso piano di aiuti congiunto Unione europea e Fmi di 45 miliardi, per altro non ancora elargito, non sarebbe stato sufficiente) veniamo a sapere che Atene ha lanciato un nuovo allarme e chiede, per evitare la bancarotta, esattamente il doppio: 80 miliardi di euro.

I 45 già previsti serviranno a malapena, appunto questo avevano detto, a coprire le spese correnti, tra cui il rimborso dei bond e delle cedole in scadenza nelle prossime settimane.
Ci si dirà: “ma voi avevate anche predetto il default, e che Atene avrebbe finito per dichiarare l’insolvenza!”. Vero, e restiamo di questa opinione, malgrado le assicurazioni in senso contrario, d’obbligo in questi casi, fornite ieri a Washington dal ministro Papacostantinou. Non c’è nessun “Piano B”, ha affermato lo stesso ministro, ove il “Piano A” è noto: licenziamenti nel settore pubblico, tagli drastici ulteriori sulle pensioni, aumenti delle imposte, devastanti riduzioni delle spese sociali.
Ci è stato anche rimproverato di aver dato eccessiva enfasi alle proteste sociali e agli scioperi. E’ vero, per ora il movimento di Resistenza sociale non è tanto forte quanto sarebbe necessario o quanto ci si aspettava. Lo stato d’animo prevalente è la paura causata dallo shock della crisi finanziaria, anzi, il terrore del crack. Restiamo tuttavia convinti che l’esplosione sociale generalizzata è solo questione di tempo, e che le sorti del governo siano appese ad un filo.

I sacrifici che vengono chiesti ai greci non sono infatti temporanei. Anche ove arrivassero non 80 ma 100 miliardi di aiuti, a maggior ragione occorrerà ripagarli con gli interessi, per dire che qui stiamo parlando di un massacro sociale di lungo periodo, poiché nessuno si sogna chissà quale duratura ripresa economica, né della Grecia, né del resto dell’Occidente. Solo ora la crisi inizia a mordere, mentre la percezione cammina più lentamente e la psicologia delle masse anche.

LA STAMPA di oggi (26 aprile) ci fa capire cosa bolla in pentola. Fa parlare la signora Evangelia Papoulis. «Mio marito Kostas è insegnante di tecnica in un liceo, io lavoro come free lance in una società che gestisce progetti di formazione con i fondi europei. Mio marito aveva uno stipendio di 1.300-1.400 euro e, con il taglio quest’anno perderà circa 2.000 euro. La mia azienda invece è bloccata: si è ridotto l’orario di lavoro e le remunerazioni del 20%, ma io ci ho rimesso di più. A fine anno prenderò 15.000 anziché 30.000 euro. Non voglio nemmeno pensare al rischio che mio marito perda il posto». Reddito dimezzato dunque. Il cronista aggiunge: «Per fortuna quasi tutta la classe media ha la casa di proprietà, e quasi tutti gli abitanti di Atene o Salonicco hanno una casina, anche modesta, in campagna o al villaggio di origine. (…) Discorso diverso è per i tantissimi giovani superprecari e magari superlaureati della cosiddetta “generazione 700 euro”. Per loro questo paese non offre alcuna prospettiva».

Dopo decenni di infatuazione ideologica sulla crescita ininterrotta e sul benessere crescente, dopo decenni di imborghesimento, sarebbe sciocco pensare che la sollevazione  sociali arrivi appunto nella forma di una “esplosione” improvvisa e invincibile. Alla resa dei conti sociale ci si giungerà probabilmente in forme irregolari, sincopate, intermittenti. Le violente rivolte degli ultimi tempi, che hanno visto come protagonisti i giovani precari della “generazione 700 euro”, non sono che i primi segnali di questa tendenza.

L’ingiustizia e le diseguaglianze sociali, che la crisi accresceranno, rafforzeranno la tendenza all’esplosione. Nessuna rivolta generale può infatti darsi se non come effetto di diseguaglianze crescenti, e se non come frutto di un anelito all’eguaglianza. Il fatto è che davanti alla crisi, mentre il governo chiede inauditi sacrifici, la borghesia greca non solo si sottrae ai suoi presunti doveri di classe dirigente, ma imbosca i suoi capitali, li porta in salvo all’estero. « E così i capitali dell’elite ellenica migrano per evitare di contribuire al salvataggio dell’economia della Grecia: soltanto nei mesi di gennaio e febbraio sono partiti fuori dall’Ellade dagli 8 ai 10 miliardi di euro, secondo i dati della banca centrale di Atene. In direzione di Svizzera, Lussemburgo e Cipro». (LA STAMPA, 26 aprile 2010) Per non parlare di coloro i quali vanno a fare shopping immobiliare a Londra, pagando in contanti lussuose case a Regent’s Park o a Mayfair.

Chi aveva dato per morta la lotta di classe dovrà ricredersi, prima di quanto si pensi. Altro è il discorso delle forme che questa lotta prenderà, che non saranno certamente quelle “classiche” o novecentesche. Arrovellarsi per azzeccare in anticipo quali esse saranno è un esercizio vano. La cosa certa è che ognuno dovrà decidere da che parte stare: da quella dei ricchi imboscati che mentre chiedono sacrifici al popolo portano all’estero le loro ricchezze, o coi nuovi poveri a cui non viene lasciata altra scelta che la rivolta o marcire nella miseria.

da http://sollevazione.blogspot.com/