Dove va il Sudan?

Intervista ad Hassan al-Turabi

Il 27 aprile sono giunti i risultati delle elezioni iniziate l’11 aprile.
Che ci siano state “irregolarità” nelle recenti elezioni sudanesi, pochi lo mettono in discussione. Difficile stabilire fino a che punto esse siano state determinanti nell’assegnare la vittoria ai vincitori. Di vincitori, infatti, in un paese geograficamente spaccato sostanzialmente in due come una mela, ne abbiamo avuti un paio: il presidente al-Bashir (candidato del Partito Nazionale del Congresso-NCP) nel nord del paese, e Salva Kiir (candidato del Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan-SPLM) nel sud.

I due principali contendenti hanno diffuso una nota congiunta nella quale sanciscono, col tacito assenso degli USA, la sostanziale regolarità delle elezioni, legittimandosi a vicenda hanno anche disinnescato il rischio di una “rivoluzione colorata”, ovvero della contestazione dei risultati, rischio che pareva altissimo dato che molti candidati (tra cui quello del darfuriano JEM) si erano ritirati dalla competizione. Un compromesso che i sudisti hanno siglato di buon grado in vista del referendum dell’anno prossimo che, salvo sorprese, sancirà il distacco definitivo del sud, con la benedizione degli USA e della UE.
Pubblichiamo qui sotto l’intervista che Hassan al-Turabi (foto), storico leader islamista sudanese, avversario di al-Bashir, ha concesso il 21 aprile scorso, ad urne ancora aperte, a Fatma Naib di al Jazeera.

Qual è il suo giudizio della situazione politica in Sudan?

Purtroppo ci sono diversi focolai di crisi in Sudan: nel Sud com’è noto,  in Darfur ma pure  nelle regioni orientali. Se consideriamo che l’economia non va bene, possiamo capire perché il rischio è quello di una  disintegrazione del paese. Per la prima volta in due decenni abbiamo avuto elezioni. Non saranno state elezioni democratiche perfette e pienamente libere, ma almeno possiamo sperare in una soluzione pacifica della crisi.

Qual è la sua visione per il Sud?

Il governo ha ora la possibilità, dopo l’accordo di pace del 2005, di fare del suo meglio per trattare una soluzione negoziata definitiva del contenzioso con il sud. E’ stato fatto un chilometro in questa direzione, molte migliaia di chilometri restano ancora da percorrere per raggiungere la pace duratura. I meridionali, dopo l’indipendenza del paese dal colonialismo inglese, hanno sopportato un’eredità di ingiustizia. Occorre prendere atto che la tendenza verso la separazione è oramai irreversibile.

Pensa dunque che il Sud si staccherà dal Nord col referendum dell’anno prossimo?

Sì, credo di sì. Non credo che il Sudan resterà unito, e mi auguro che non sarà una separazione violenta ma pacifica. Abbiamo in Sudan tante etnie e tante dispute, non vogliamo che avanzi un processo disgregativo multilaterale. Col tempo l’umore cambierà, il mondo cambierà,  domani forse potremo tornare a vivere assieme in un Sudan unito.

Ritiene quindi auspicabile la divisione del Sudan?

Non solo del Sudan, ma di tutti i nostri altri vicini. Tutte le frontiere con cui abbiamo a che fare sono fittizie, sono frontiere coloniali. La prospettiva futura sarà il collegamento e l’unione, non solo dei mercati, per  rendere più facile il contatto e la coabitazione con i paesi vicini.

Come descriveresti la tua politica?

Io dico sempre che la gente dovrebbe autogovernarsi, in maniera democratica, anche sul terreno economico, il Sudan non è né socialista né capitalista. Siamo più vicini ad un modello socialista democratico. Io sono un pensatore e uno scrittore, ho studiato in Occidente. Io cerco da sempre di  rafforzare i valori dell’Islam, reinterpretandoli per renderli efficaci nelle sfide con la modernità. Mi considero un pensatore riformista. Bisogna sempre ridare nuova linfa alle tradizioni, facendo leva sul libero pensiero.

Che cosa pensa del risultato dell’accordo di pace per il Darfur?

Penso che questo accordo avrebbe dovuto essere siglato prima e che vada comunque implementato. La gente sta morendo in Darfur, che ora è nella paralisi. Circa otto milioni di persone non possono dedicarsi all’agricoltura e prendersi cura dei loro animali. Il conflitto  avrebbe dovuto essere risolto prima delle elezioni, in modo che tutti gli abitanti del Darfur avrebbero dovuto essere coinvolti nel processo elettorale, affinché potessero entrare in parlamento e nei vari governi, nonché scegliere il presidente. E’ un peccato che sia stata inibita a tutti i sudanesi la possibilità di decidere del loro futuro.

Lei è stato uno dei fondatori del Partito del Congresso Nazionale (PCN) e ora è un loro avversario. Cos’è successo?

Noi vogliamo un modello islamico, essi [il NCP, Ndr] hanno svenduto i valori islamici. Essi hanno deviato dai valori fondamentali e hanno ceduto alla laicità e al secolarismo occidentali. Essi controllano l’opinione pubblica, controllano tutto e tutti. Hanno deviato dai valori religiosi di giustizia e di uguaglianza. Vorrei che il Sudan tornasse ai nostri valori islamici, non solo nella nostra vita privata, ma in tutti gli aspetti della vita. Il NCP non sta  facendo questo. I militari conoscono solo il potere e l’ordine, non vogliono che si applichi la sharia a loro stessi. Per loro la sharia dovrebbe essere applicata alle sole donne, la limitano alle prescrizioni esteriori come il divieto di liquori e di certo abbigliamento femminile.

Pensa che le imminenti elezioni si svolgeranno correttamente?

No, non lo penso, ma non c’è alternativa. Non possiamo che accettare delle elezioni relativamente sleali e ingiuste. Ci auguriamo che almeno ci sarà una riforma del regime e che avremo un nuovo equilibrio in un nuovo parlamento, nella speranza che molti governatori non appartengano allo stesso partito. Quindi queste elezioni saranno comunque  un passo avanti. Una “rivoluzione” per il Sudan potrebbe essere molto pericolosa perché porterebbe il paese alla totale disintegrazione.

Lei accetterà i risultati delle elezioni?

Dipende dai risultati che verranno fuori e dall’esito dell’intero processo elettorale. Continuerò a criticare le manipolazioni delle elezioni. Ma devo accettare la realtà e andare avanti. Non posso essere pessimista e fuggire dalle responsabilità, io sarò qui, confidando in Dio, andando avanti quali che siano le sorprese che la vita ci riserverà.

Traduzione a cura della Redazione