Pubblichiamo più sotto il commento di uno dei più accreditati analisti nepalesi, Prashant Jha, apparso sul quotidiano conservatore Nepal Times del 13 maggio sui recentissimi sviluppi della situazione nepalese.
 
Il 7 maggio scorso, a sopresa, l’UCPN (m), il Partito Comunista del Nepal Unificato (maoista), il partito guidato da Pushpa Kamal Dahal (Prachanda), ha sospeso lo sciopero generale ad oltranza iniziato il 2 maggio. Prachanda ha dato l’annuncio in un raduno di massa indetto dal partito maoista a Katmandu. Proclamato inizialmente per spingere alle dimissioni il Primo ministro Madhav Nepal e obbligare gli avversari a rispettare gli accordi che posero fine alla guerra civile e che portarono all’elezione di un’Assemblea Costituente, lo sciopero generale era considerato, dagli avversari dei maoisti, come il segnale che l’UCPN (m) era deciso a ritornare alla lotta armata, quantomeno come uno sciopero insurrezionale.

Nel suo discorso Prachanda ha affermato che lo sciopero a oltranza era solo posticipato, non cancellato del tutto, lanciando al contempo un ultimatum al governo: “Se esso non risponde in due giorni alle nostre richieste noi prenderemo le inevitabili misure concrete”. (Nepalnews.com).
Quali sono queste misure? Licenziare finalmente la nuova costituzione (L’Assemblea costituente è paralizzata da due anni mentre il 28 maggio è un data decisiva, visto che gli accordi ad interim prevedevano che la Costituzione avrebbe dovuto essere promulgata entro questa data), l’integrazione, come da accordi, nell’esercito nepalese, delle decine di migliaia di ex-guerriglieri, una politica economica a favore delle masse popolari. Come da noi scritto in diverse occasioni, dietro allo scontro, si erge il gigante indiano, che considera il Nepal un suo orto di casa e non tollera che il suo tradizionale satellite sfugga alla sua orbita.

La reazione del governo alla decisione dell’UCPN(m) non si è fatta attendere. I leaders dei due principali partiti governativi, il Partito del Congresso Nepalese e il Partito Comunista Nepalese (UML), entrambi notoriamente filo-indiani, hanno salutato la “saggia decisione” di annullare lo sciopero ad oltranza e si sono dichiarati pronti a formare coi maoisti un governo di grande coalizione. Dal rischio di una nuova guerra civile al”compromesso storico”? E’ presto per dirlo. Certo è che la situazione è in pieno fermento e che le prossime settimane ci daranno la risposta. Molto dipende anche da come evolverà il dissidio interno all’UCPN(m), tra la tendenza di Prachanda e l’ala dura impersonata da Mohan Vaidya, alias Kiran, che contesta gli scarsi risultati ottenuti dal governo.
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Insurrezione o via graduale?
 
La redazione

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Struck down!
I maoisti sono stati costretti ad una ritirata strategica, ma tutti i partiti farebbero bene a valutare le insidie in arrivo

di Prashant Jha

Il rinvio maoista dello sciopero generale a oltranza ha suscitato reazioni diverse. I partiti di governo l’hanno interpretato come una vittoria della democrazia, del costituzionalismo e del diritto, e una pesante sconfitta della politica maoista “di ricatto”. Una parte dei media e della società civile che aveva sollecitato i maoisti a fare un passo indietro ritiene che la decisione dei maoisti sia il risultato della grande “manifestazione per la pace” svoltasi nella mattinata di Venerdì 7 maggio. Così alcuni leader e quadri maoisti sono demoralizzati e arrabbiati con la dirigenza per la sua “resa”, altri sperano che questo aprirà la strada ad un accordo di pace e per la Costituzione.
 
Occorre considerare tutti i fattori che hanno portato alla decisione dei maoisti. L’euforia degli anti-maoisti non è giustificata: lo sciopero a oltranza non era il problema, esso era solo un sintomo del problema medesimo. Lo sciopero è per adesso ritirato ma le questioni di fondo restano irrisolte.
 
A me pare evidente che i  maoisti hanno fatto quattro errori di calcolo.
 
Il primo. Prachanda sembra aver pensato che riversando centinaia di migliaia di persone per le strade avrebbe determinato una sufficiente pressione sul governo, fino a causarne le dimissioni. Non si è reso conto che un governo che non è stato eletto dalle masse, e che dunque non è vincolato davvero a rispettare la volontà dei cittadini, aveva proprio nella sua debolezza e nella mancanza di alternative, il suo punto di forza.
 
Il secondo. I maoisti hanno pensato che il disincanto della popolazione di Kathmandu verso il governo avrebbe potuto essere tradotto in sostegno ai maoisti, e che la frustrazione popolare poteva essere convogliata contro il governo di Madhav Nepal. Ma la resistenza contro il governo è forte nella misura in cui l’oppressione da parte del governo è altrettanto alta. In verità l’attuale governo è inefficace e zoppo, ma non è dittatoriale, così la gente non era spinta e motivata alla ribellione. Al contrario molti abitanti di  Kathmandu erano indispettiti per le violenze maoiste durante le ultime prove di forza. Il partito, inoltre, non è riuscito a ben spiegare, anche ai suoi simpatizzanti, perché ci fosse la necessità di un tale massiccio movimento proprio adesso. Facendo affidamento sul sostegno della classe media, i maoisti hanno sostanzialmente dimenticato proprio uno dei loro principi: che questa classe è “vacillante e opportunistica”.
 
Il terzo. I maoisti hanno calcolato che un prolungamento della situazione di stallo avrebbe costretto la comunità internazionale, in particolare gli Indiani, ad intervenire a favore di un accordo che avrebbe dato più  spazio e legittimità ai maoisti.
 
Il quarto. Si sa che l’alleanza tra militari e borghesia sta alla base del blocco di tutte le forze politiche non-maoiste. I maoisti hanno pensato di poter determinare una frattura tra il presidente e l’esercito, nonché la spaccatura all’interno di entrambi i partiti di governo, il NC e l’UML, indebolendo così il governo. I maoisti hanno sottovalutato non solo la determinazione degli indiani, ma anche quella del fronte interno anti-maoista. L’episodio di Katawal dello scorso anno (R. Katawal è il Comandante in capo dell’esercito nepalese, a causa della sua resistenza a integrare i guerriglieri maoisti nell’esercito, il maggio del 2009 vide una crisi che portò alle dimissioni di Prachanda come primo ministro; Ndr) costituì un punto di svolta nell’atteggiamento dell’establishment contro i maoisti. E più i maoisti continuano con la politica di minacciare la mobilitazione delle masse, più il campo non-maoista sembra rafforzarsi.
 
I maoisti hanno anche fatto troppo affidamento sugli attori internazionali non regionali (USA, UE, ONU), ma nessuno di essi poteva accettare uno sciopero paralizzante. Essi hanno anzi esercitato pressioni sui maoisti affinché annullassero la ventilata protesta. Comunque, quando i nodi della crisi nepalese vengono al pettine, questi attori internazionali si tirano indietro e l’India risulta il fattore decisivo. E Delhi aveva fatto presente chiaramente che non avrebbe permesso ai maoisti di Prachanda di vincere questo round.
 
Si aggiunga a questo le fratture interne al partito maoista, tra l’altro l’opposizione di Baburam Bhattarai verso una definitiva prova di forza. Baburam aveva condiviso la necessità di protestare, ma anche riconosciuto quella di costruire un ponte con le altre parti politiche e classi, mettendo in guardia il partito dalla polarizzazione totale.
 
Così i maoisti, riconsiderate le condizioni oggettive hanno optato per una “ritirata strategica”.
 
Prachanda era sicuro di convincere a questa “ritirata” i quadri del partito, e l’ha fatto con un discorso infuocato a Khula Manch sabato scorso. I maoisti debbono adesso cercare di trarre il massimo vantaggio da una brutta situazione, tentano di passare il cerino acceso nelle mani del governo; sperano col ritiro dello sciopero ad oltranza di guadagnare dei punti con gli interlocutori internazionali, nonché ottenere la simpatia del pubblico per essersi dimostrati “sensibili e responsabili”. Ha prevalso tra gli alti dirigenti maoisti la consapevolezza che sarebbe stato difficile portare avanti uno sciopero totale fino al 28 maggio e oltre. Adesso serve loro prendere un attimo di respiro e ri-elaborare una nuova strategia, come si usava fare durante i cessate il fuoco ai tempi della guerra. Sanno anche che sarà difficile, in un breve lasso di tempo, mobilitare le masse su una grande scala.
 
I partiti non-maoisti pensano quindi di aver ottenuto un vittoria temporanea. Ma il “campo democratico” deve decidere qual è il suo obiettivo principale. Se è solo quello di indebolire e umiliare i maoisti, allora possono stare tranquilli e aspettare che i maoisti commettano nuovi errori. La strategia degli indiani di trattare con i maoisti, è un approccio classico che essi adottano nel loro paese con i gruppi in Kashmir e del Nord-est: cooptare, dividere, indebolire gli avversari, non dare niente e poi ricominciare daccapo. NC, UML e i partiti Madhesi  (popolazioni native nepalesi residenti nella zona meridionale del paese, dello stesso gruppo etnico degli abitanti dello stato indiano del Bihar; Ndr) sono gli strumenti per l’attuazione della strategia indiana in Nepal. Questo non lascerà ai maoisti altra scelta: o cedere a tutte le richieste formulate dagli avversari o scatenare la loro potenza distruttiva (che hanno testato la scorsa settimana). Questa seconda possibilità è più elevata della prima. L’organizzazione maoista conserva una grande capacità di mobilitare le masse, come è stato dimostrato la scorsa settimana, e ciò dovrebbe far capire al “campo democratico” quanto rischioso sia il loro approccio verso i maoisti.
 
In alternativa, NC e UML possono ora avviare un processo negoziale serio e impegnativo, con la disponibilità a fare concessioni ai maoisti e convincere l’India che questo è il modo migliore per andare avanti.
 
I maoisti, da parte loro, debbono rinunciare al loro doppio gioco, concordare un diverso dispositivo per l’integrazione dell’Esercito Popolare di Liberazione nell’esercito. C’è il problema del ritorno dei beni espropriati ai loro proprietari (la questione della riforma agraria; Ndr). Secondo alcune fonti nella parte orientale  del paese quasi tutti i terreni sono stati restituiti, mentre nella regione centrale e occidentale i maoisti continuano a trattenere un sacco di beni confiscati. I problemi che devono essere affrontati a più lungo termine sono le milizie della YCL  (Gioventù comunista) e il contenzioso in materia costituzionale.
 
A loro volta, le altre parti, devono ammettere due cose: l’implementazione dell’Assemblea Costituente, che i maoisti vogliono disperatamente malgrado la retorica extraparlamentarista, e la formazione di un governo di unità nazionale.
La leadership del governo è una questione controversa, ma i leader maoisti di medio livello in privato dicono che se c’è un accordo su queste questioni, possono adottare un approccio più flessibile.

 
PRASHANT JHA, in: http://www.nepalitimes.com del 13 maggio
Traduzione a cura della Redazione