Dopo la strage, il sequestro degli altri attivisti della Freedom Flotilla
Manifestazioni in tutto il mondo – Ottimo successo di quella di Roma (foto)
Proviamo a fare il punto della situazione a quasi 24 ore dall’inizio dell’attacco israeliano.
Innanzitutto, cosa sta succedendo agli attivisti della Flottiglia sequestrati da Israele?
Nessuno lo sa con precisione. Quel che è certo è che non è possibile parlare con loro. Cellulari e satellitari sono stati evidentemente sequestrati.
Pare che tutte le navi siano arrivate nel porto israeliano di Ashod, nel sud del paese. La notizia secondo cui si stavano dirigendo verso Haifa era evidentemente un diversivo per rendere più incerta l’effettiva destinazione.
Il porto di Ashod è stato dichiarato zona militare, e come tale interdetto alla stampa. Le forze israeliane hanno trasferito gli attivisti internazionali nella prigione di al-Khiyam. Riportiamo, da Infopal, quanto ha dichiarato Riyadh al-Ashqar, direttore dell’ufficio stampa del Comitato nazionale Supremo di sostegno ai prigionieri: «Gli occupanti hanno intenzionalmente trascinato la Flotta delle navi della libertà al porto di Ashdod, imprigionando i passeggeri di diverse nazionalità che si trovavano a bordo delle navi nella prigione n. 26, che è stata attrezzata a tale scopo due settimane fa: una grande sezione di tende preparate per sequestrare oltre 700 sostenitori». Al-Ashqar ha poi detto che le squadre dell’intelligence israeliana li stanno ora interrogando e che c’è da temere il ricorso alla tortura.
Su questo sequestro di massa in troppi tacciono, a partire dal vergognoso governo italiano, che sembra non aver niente da dire neppure sul trattamento riservato ai propri cittadini facenti parte della missione umanitaria.
I familiari di Angela Lano, direttrice di Infopal, hanno giustamente deciso di denunciare il fatto che: «la Farnesina e l’Ambasciata d’Italia in Israele non sono in possesso di informazioni al riguardo». «I cittadini italiani a bordo della Freedom Flotilla sono pertanto “spariti” a tutti gli effetti». «Israele si rifiuta inoltre di fornire la nazionalità dei sequestrati, pertanto le stesse ambasciate in Israele non possono comunicare alcuna informazione precisa al riguardo».
Israele continua dunque nella sulla linea della durezza estrema. Una conferma che quello di questa notte non è stato un “incidente”, bensì un attacco deliberato, figlio di una cultura che si pensa superiore alle altre e, soprattutto, di una precisa scelta politica: quella di gettare benzina sul fuoco dell’intera situazione mediorientale.
Oggi si sono tenute importanti manifestazioni in ogni angolo del mondo. E’ stata una prima risposta a caldo che possiamo giudicare positivamente. Il presidio che si è tenuto a Roma nel tardo pomeriggio è pienamente riuscito e, vista l’ottima partecipazione, si è trasformato in un corteo che ha raggiunto Piazza Montecitorio dove i manifestanti hanno gridato “Vergogna! Vergogna!” all’indirizzo del governo e di una classe politica largamente filo-sionista.
Domani sciopereranno gli arabi residenti nei confini israeliani del 1948. Si attende una grande partecipazione e si annuncia una giornata particolarmente calda.
Ma particolarmente importanti saranno anche due riunioni che si terranno nelle prossime ore. Quella del Consiglio di sicurezza dell’Onu che si terrà stasera, nella quale vedremo a quali artifici si vorrà ricorrere per attenuare i termini della condanna dell’azione banditesca di Israele; quella della Nato, prevista per domani e richiesta dalla Turchia quale Stato membro.
Quest’ultima riunione si presenta per alcuni aspetti ancora più interessante di quella dell’Onu. La Turchia potrebbe infatti chiedere di considerare l’azione di Israele come un attacco ad uno Stato membro. Una situazione piuttosto paradossale, che vedrebbe gli Usa costretti a difendere un alleato non appartenente alla Nato contro un componente dell’Alleanza stessa.
Un bel segnale del rimescolamento delle carte che si profila all’orizzonte. A volte la diplomazia riesce a smussare anche gli scontri più aspri, ma questa volta sarà ben difficile che possa farcela.