In Nepal raggiunto in extremis un accordo tra i maoisti e gli altri partiti
Abbiamo informato per tempo i nostri lettori sui recenti sviluppi della gravissima crisi nepalese. Dopo la sospensione dello sciopero generale ad oltranza da parte dei maoisti, avvenuta il 7 maggio scorso, avevamo sottolineato come la data spartiacque sarebbe stata quella del 28 maggio, data entro la quale, in base agli accordi di pace del novembre 2006, l’Assemblea Costituente avrebbe dovuto terminare i suoi lavori, sfornando quindi la nuova Costituzione. Grazie alla spallata dello sciopero generale dei primi giorni di maggio i due principali partiti di governo sono stati costretti a siglare un accordo con l’UCPN (m), il Partito Comunista del Nepal Unificato (maoista), il partito guidato da Pushpa Kamal Dahal (Prachanda). Quali sono i termini dell’accordo? E quanto esso è solido?
Venerdi 28 maggio, all’ultimo momento, i due principali partiti filo-indiani al governo (il Nepali Congress e il Communist Party of Nepal-UML) hanno siglato un accordo di compromesso con i maoisti, evitando così per un pelo che il conflitto precipitasse nuovamente in una seconda guerra civile. L’accordo è stato siglato poche ore prima che l’Assemblea Costituente si sciogliesse, senza aver prodotto nemmeno l’ombra della nuova Costituzione.
L’accordo, o “patto” come viene chiamato a Katmandu, consiste in tre punti.
Anzitutto viene esteso di un anno il mandato dell’Assemblea, allo scopo di darle un tempo supplementare per finalmente partorire l’agognata Costituzione. In secondo luogo si insiste sull’applicazione, quanto mai controversa, del “Comprehensive Peace Agreement” siglato nel novembre 2006. In terzo luogo le dimissioni del primo ministro, Madhav Kumar Nepal (appartenente all’altro partito comunista, il CPN – UML), nella prospettiva di costituire un governo di unità nazionale.
Passavano poche ore e il “patto” dimostrava le sue crepe.
Mercoledi 2 giugno la delegazione parlamentare dei maoisti (la più numerosa) abbandonava i lavori mentre la Camera doveva approvare quella che noi chiameremmo la “Finanziaria”. I maoisti hanno motivato questo boicottaggio con il mancato rispetto di quella che ritengono la clausola principale del “patto” del 28 maggio: le dimissioni del primo ministro.
Gli avversari hanno gridato a loro volta alla scandalo, accusando i maoisti di star loro violando gli Accordi. Quali le accuse in particolare rivolte dai partiti di governo all’UCPN(m)? Essi sostengono che le dimissioni del Primo ministro sono subordinate alla formazione del nuovo governo di unità nazionale e che quest’ultimo potrà essere costituito solo a patto che i maoisti accettino di diventare un “partito civile e democratico”, in particolare che essi rendano noti i componenti delle loro forze guerrigliere, che sciolgano le loro milizie armate, in particolare la YCL (Lega della Gioventù Comunista), che essi considerano una “banda armata eversiva”.
Richieste ovviamente inaccettabili per i maoisti, per i quali le dimissioni di Madhav Kumar Nepal sono invece la pre-condizione per applicare l’Accordo in tre punti e procedere verso la formazione di un governo di coalizione transitorio, ovvero destinato a durare per un anno, fino alla promulgazione della nuova Costituzione.
Mentre scriviamo a Katmandu la polemica politica è al calor bianco. I maosti e gli avversari si rinfacciano la violazione degli accordi e disquisiscono sulla loro correta interpretazione. Non si tratta, a noi pare, di buona o cattiva interpretazione, ma della difficoltà forse insuperabile a mettere d’accordo il diavolo con l’acqua santa.
Il conflitto nepalese è lungi dall’avere trovato la sua conclusione.