L’assalto al palazzo presidenziale di Bucarest e la folle manovra del governo Boc

Tra le manovre economiche adottate in Europa, quella varata dal governo romeno è stata certamente la più dura. Nel mese di maggio, per passare l’esame del FMI, il governo Boc decise il taglio dei salari dei dipendenti pubblici del 25%, quello delle pensioni del 15%, ed ancora quello degli assegni familiari e dell’indennità di maternità e puerperio sempre nella misura del 15%.
Tra queste misure draconiane, il taglio delle pensioni non ha però superato l’esame della Corte Costituzionale. Nel frattempo il paese è stato scosso da scioperi e manifestazioni, fino all’assalto al palazzo presidenziale, avvenuto venerdì scorso, 25 giugno, a margine di un corteo sindacale.

Mentre la polizia respingeva il tentativo di irruzione nella residenza di Basescu da parte di un migliaio di persone esasperate, il governo preparava la nuova mazzata: per recuperare la cifra venuta meno sul fronte previdenziale, decideva infatti un aumento dell’IVA di ben 5 punti, che dal 1° luglio passerà così dall’attuale 19 al 24%.
Per dare un’idea di quanto sia disperata oltre che antisociale una simile misura, basti pensare che nella martoriata Grecia l’aumento dell’IVA è stato di “soli” due punti, dal 19 al 21%. Ovviamente questo si ripercuoterà pesantemente sui prezzi, determinando un’inflazione aggiuntiva del 5%, che sommata a quella attuale porterà l’aumento dei prezzi attorno al 10%. E questo nel cuore della peggiore crisi economica, come ammette lo stesso governo di Bucarest, dalla seconda guerra mondiale.

All’origine di questo autentico dramma sociale c’è il diktat del Fondo Monetario Internazionale, con il quale nella primavera 2009 la Romania ha contratto un prestito di 20 miliardi di euro. Un prestito che il FMI elargisce con il contagocce in rate mensili da 900 milioni l’una, legando il pagamento delle rate future all’adozione di misure in grado di ridurre significativamente il rapporto deficit/Pil. Un rapporto che, con le misure prese, il governo vorrebbe abbassare dal 6,8% del 2010 al 4,4% nel 2011.
Il FMI, attraverso il suo capo delegazione per la Romania, ha reagito duramente alla sentenza della Corte sulle pensioni, ed il governo ha così adottato immediatamente il piano B, pronto da tempo per evitare il crollo finanziario. Anche se si vorrebbe far credere il contrario, la situazione della Romania è infatti assai critica. Solo nella giornata di venerdì scorso il leu si è svalutato dell’1,1%, la Borsa ha segnato un – 5,3% ed i differenziali sugli eurobond sono saliti di mezzo punto (fonte: Sole 24 Ore).

Ma se alla base di quello che sta accadendo c’è la crisi economica, gravissima è la responsabilità del governo di centro-destra, composto dal Partito Democratico-liberale, dall’Unione Democratica Magiari di Romania e dall’Unione Nazionale per il Progresso della Romania.
Il governo del premier Emil Boc ha infatti deciso di colpire salari, pensioni ed assistenza, per poi passare all’aumento pazzesco dell’IVA di cui abbiamo detto, pur di scaricare i costi della crisi unicamente sulle fasce popolari. E questo in un paese dove non esiste la tassazione progressiva dei redditi, che sono tutti tassati in base ad un’aliquota unica nella misura del 16%! Un sistema ultra-reaganiano che va ben oltre i più perversi sogni dei nostrani berluscones.

Siamo arrivati al punto che perfino il direttore del FMI, Strauss-Khan, ha detto alla Tv francese che il Fondo avrebbe preferito misure più accettabili con “la tassazione dei ricchi”. Per tutta risposta alcuni ministri romeni hanno etichettato queste parole come “ideologizzate”. E per respingere ogni richiesta di tassazione progressiva il ministro delle Finanze, Sebastian Vladescu, ha dichiarato che “I ricchi sono quelli che assumono rischi, che innovano e che, in fin dei conti creano la ricchezza da ridistribuire”. Guai dunque a tassare i ricchi!
Con questa premessa ideologica il governo non poteva toccare i meccanismi fiscali, a costo di rischiare una rivolta sociale di ampie dimensioni.

Due settimane fa il parlamento romeno ha respinto una mozione di sfiducia al governo Boc presentata dai socialdemocratici, con l’appoggio dei liberali. La mozione ha totalizzato 228 voti su 458 deputati presenti, ottenendo anche il sì di una decina di parlamentari della maggioranza. 
In realtà l’opposizione parlamentare, al di là dell’ostilità nei confronti del governo e del presidente Basescu, appare piuttosto debole e divisa. Sulla stessa materia fiscale, mentre i socialdemocratici vorrebbero un sistema progressivo, i liberali sono per il mantenimento dell’attuale “flat tax” al 16%.
La protesta popolare si ritrova dunque senza veri riferimenti politici, mentre la sfiducia nell’intero ceto istituzionale è generalizzata. Un fatto che se da un lato la indebolisce, dall’altro la rende meno controllabile.

Del resto la situazione in Romania è davvero drammatica. In molte aree del paese  si resiste solo grazie alle rimesse degli (soprattutto, delle) emigranti. Il potere d’acquisto è crollato e così i consumi interni. Diminuito di schianto, al di là delle ultime misure, il salario medio. La prima conseguenza è che gli emigranti che avevano intenzione di rientrare in patria rinunciano a farlo, magari per accettare condizioni di super-sfruttamento nei paesi dell’Europa occidentale, Italia in primo luogo.
Il disastro sociale di questa situazione è reso evidente da un dato: secondo uno studio dell’Unicef, nel 2008 ben 350mila bambini romeni avevano un genitore all’estero. Di questi, ben 126mila di età inferiore ai 10 anni, avevano all’estero entrambi i genitori. Questi dati sono senz’altro in via di peggioramento, mentre secondo lo stesso studio (presentato al convegno “Left Behind”, che si è tenuto a Milano il 26 maggio scorso) altri 400mila bambini si sono trovati nella condizione di “orfani bianchi” negli ultimi anni. Queste cifre, per quanto drammatiche, sono in realtà sottostimate, considerato che solo una parte degli emigranti risulta ufficialmente come tale. Naturalmente le regioni più colpite dal fenomeno migratorio sono quelle rurali, in particolar modo la Moldova romena.
Centinaia di migliaia di bambini vivono dunque in una situazione di stress e depressione. Una situazione che se incide pesantemente sul rendimento scolastico, ha portato in non pochi casi addirittura al suicidio.

Si era voluto far credere che la Romania sarebbe uscita dalle difficoltà economiche grazie all’ingresso nell’Unione Europea, avvenuto il 1° gennaio 2007. Un’illusione alimentata dal ceto dominante, ma ben poco radicata nel popolo. Oggi risulta chiaro ai romeni che il ruolo dell’UE è solo quello di controllore dei conti. E mentre il paese va a picco, mettendo in luce il futuro che attende anche diversi altri paesi dell’est, la debole speranza europeista sta ormai svanendo del tutto.
Data la devastazione politico-culturale di questi paesi non possiamo attenderci miracoli dalla semplice rabbia popolare. Essa potrebbe prendere la strada di un nuovo populismo (vedi il caso ungherese). Ma non è scontato che le cose debbano andare così. Quel che è certo è che ogni ipotesi di “stabilizzazione nella crescita”, come quella sostenuta da Boc, in questo momento appare più che un’illusione come una gigantesca menzogna.