L’assemblea degli antimperialisti e le loro divergenze

Uno dei momenti topici del Forum sociale europeo di Istanbul, è stata senza dubbio la «Assemblea antimperialista» svoltasi la mattina di sabato 3 luglio, nell’aula magna del Politecnico. Sala gremita, più di trecento persone. Tanto per farsi un’idea: non molte di meno di quelle che il giorno successivo, nella stessa sala, parteciperanno all’assemblea conclusiva generale dell’Esf.

Poco prima dell’inizio dei lavori alcuni compagni turchi distribuivano alle delegazioni estere un testo dal titolo «Assemblea antimperialista. Forum sociale europeo 1-4 luglio Istanbul. Dichiarazione finale». Non era altro che la mozione finale che l’assemblea stessa avrebbe dovuto approvare per poi presentarla al meeting conclusivo dell’Esf che si sarebbe svolto il giorno seguente.

Estensori della bozza i compagni turchi dell’ESP (Partito Socialista degli Oppressi), un soggetto politico nato nel gennaio scorso sulla spinta dell’illegale  (in quanto inscritto nella famigerata “black list” antiterroristica) Partito Comunista marxista Leninista di Turchia e Nord Kurdistan (MLKP). A torto questi compagni vengono definiti “maoisti”. In verità essi sono una propaggine “filo-albanese”, ovvero una delle costole della corrente internazionale Hoxahista, nata sul finire degli anni ’70 come conseguenza della frattura in seno al maoismo internazionale, causata a sua volta dalla rottura tra il Partito del Lavoro di Albania e il PC cinese. La Turchia è sotto diversi profili un paese peculiare, tra questi il fatto che nella polverizzata sinistra turco-curda la corrente filo-albanese, oramai esanime negli altri paesi, è riuscita a conservare una forza di tutto rispetto. L’ESP è stato infatti una delle colonne portanti del comitato organizzatore dell’Esf a Istanbul —la qual cosa ha suscitato non pochi rimbrotti tra le delegazioni europee di “nuova sinistra”, che hanno accusato gli emme-elle turchi di usare strumentalmente il forum sociale per farsi i fatti loro. Tra questi fatti, appunto, l’assemblea antimperialista del sabato.

Composta alla bene e meglio la presidenza, tra cui il compagno più prestigioso di tutti, il dirigente dei maoisti nepalesi Basanta, il turco Alp, esponente dell’ESP, introduce i lavori leggendo immediatamente la bozza di dichiarazione finale, invitando i convenuti e le diverse delegazioni ad esprimersi. Nella scontata kermesse oratoria si esibiranno i rappresentanti di diversi gruppi, molto eterogenei ideologicamente tra loro. Nessuno, in verità, soffermandosi sulla bozza di risoluzione finale. Sarà il rappresentante del Campo Antimperialista, con un intervento a tratti anche duro e nonostante ciò molto applaudito dai presenti, a mettere il dito sulla piaga, sottoponendo a critica alcuni passaggi considerati sbagliati della risoluzione finale, per non parlare di alcune gravi e sintomatiche omissioni.
Anzitutto lo stile della Dichiarazione, declamatorio e accademico. Al fondo il senso della Dichiarazione si condensava in una coppia di concetti:  l’antimperialismo non è tale se non è anche anticapitalista, e l’anticapitalismo non è verace se a sua volta non rivendica il socialismo. In particolare il rappresentante del Campo si è soffermato su un passaggio cruciale della Dichiarazione: «La lotta antimperialista non può essere separata dalla lotta contro il capitalismo, poiché l’imperialismo è lo stadio più alto del sistema mondiale capitalista». Dietro all’evidente schematismo dogmatico c’è in verità un’aporia: ammesso che  l’imperialismo sia lo stadio più alto, la lotta contro di esso avviene nella maggior parte dei casi in paesi molto arretrati, dove lo stesso capitalismo è rachitico e la borghesia una classe parassitaria e compradora. In questa condizioni, e lo si è visto nel ‘900, molti popoli si sollevano e intraprendono una lotta antimperialista sotto insegne nazionaliste, religiose o democratiche, non necessariamente anticapitaliste o socialiste. Questi popoli vanno sostenuti senza condizione, di qui il dissenso con il passaggio della Dichiarazione, che implicitamente afferma la tesi, notoriamente hoxahista  ma comune a molte correnti d’ultra sinistra, che il sostegno ai movimenti antimperialisti non-comunisti, può essere solo condizionato, parziale, o  negativo (ovvero li si appoggia contro il nemico ma mai facendo un fronte antimperialista con essi).

Il rappresentante del Campo ha infatti affermato che non per caso, nella bozza di Dichiarazione, mancava del tutto la parola “Resistenza”, che in nessun caso venivano citati i movimenti di Resistenza islamica come Hezbollah o Hamas, che invece sono delle punte di diamante dello schieramento antimperialista internazionale. Ma non veniva citata nemmeno la eroica Resistenza del movimento popolare adivasi indiano guidato dai maoisti. Facile indovinare perché: perché sono “troppo” maoisti, ovvero ideologicamente avversari dell’hoxahismo.

Infine il rappresentante del Campo ha notato come nella Dichiarazione mancasse ogni riferimento alla Resistenza antimperialista di nazioni come il Venezuela o l’Iran, nazioni che stanno cercando le loro strade per sganciarsi dalla tutela dell’impero e che vanno quindi difese da ogni aggressione. Anche in questo caso queste omissioni non erano causali. Gli hoxahisti non fanno mistero della loro ostilità a Chavez. Per non parlare dell’Iran di Ahmadinejad, che essi considerano un paese “fascista”, al pari del resto della Turchia di Erdogan.

Per queste ragioni il rappresentante del Campo ha concluso che senza  queste doverose correzioni egli non avrebbe potuto approvare la Dichiarazione. Il rappresentante turco interveniva subito dopo per rispondere, cercando di dare una botta al cerchio e una alla botte: difendendo la sostanza della Dichiarazione tra i mugugni di molti dei presenti (l’antimperialismo non può che essere anticapitalista, nessun appoggio alle resistenze islamiche, condanna dell’Iran e anzi appoggio al movimento di protesta anti-Ahmadinejad guidato da Moussavì) ma promettendo alcuni cambiamenti. In effetti, a parte la comparsa del sostantivo “Resistenza”, un’aggiunta verrà fatta, la seguente: «I popoli che lottano contro l’imperialismo, debbono lottare insieme. Chiamiamo tutti i progressisti, i democratici, i movimenti patriottici e religiosi che lottano contro l’imperialismo a formare un vasto fronte anti-imperialista». Ma inscritta in un contesto programmatico che oltreché schematico e trionfalistico, restava sostanzialmente inalterato.
Le divergenze tra il Campo e parte degli organizzatori dell’Assemblea (non dissimili nella sostanza da quelle che ci dividono dalla gran parte dei protagonisti del Social forum europeo) non hanno minimamente pregiudicato il clima fraterno che ha caratterizzato le relazioni reciproche.

Qui sotto il testo definitivo della Dichiarazione:

Assemblea Antimperialista
FORUM SOCIALE EUROPEO, 1-4 LUGLIO, ISTANBUL
DICHIARAZIONE FINALE

L’Assemblea Antimperialista riunita in occasione del Forum Sociale Europeo, con 300 partecipanti provenienti da Nepal, Grecia, Turchia, Kurdistan, Palestina, Germania, Italia, Paesi Baschi, Bretagna, Croazia, Austria, Spagna, Svezia, Messico, Danimarca, Cipro, Svizzera, Catalogna, Portogallo, Norvegia e Belgio dichiara i seguenti punti:

-Che senza lotta contro il capitalismo, una lotta coerente contro l’imperialismo non è possibile, dato che l’imperialismo è lo stadio più elevato del sistema capitalistico mondiale. Chiamiamo tutte le forze anti-imperialiste ad aumentare gli sforzi per rovesciare l’ordine capitalistico che si trova in una crisi profonda e storica. Il socialismo è l’unica alternativa al sistema capitalista, e la rivoluzione è il solo modo per trasformare questo sistema. “Un altro mondo” è solo il socialismo.

-Che le lotte sociali e lotte di liberazione nazionale delle nazioni oppresse sono parti dello stesso fronte contro l’imperialismo. Il nazionalismo sciovinista non è anti-imperialista, al contrario, divide i popoli e provoca scontri che servono solo  all’imperialismo. L’imperialismo non può difendere una nazione oppressa, ciò che esso persegue è solo di essere il nuovo dominatore di quelle nazioni oppresse. La lotta antimperialista deve essere condotta con una prospettiva internazionalista per unire i popoli e le nazioni oppresse del mondo e delle regioni.

-Noi dichiariamo il nostro sostegno alle lotte di liberazione nazionale e alle  resistenze in corso nei Paesi Baschi, Kurdistan, Palestina, Iraq, Afghanistan e tutti gli altri popoli oppressi, e le rivolte sociali, i processi rivoluzionari, gli scioperi dei lavoratori, le resistenze popolari, movimenti giovanili e mobilitazioni di massa in atto in Grecia, Nepal, India, Turchia, Italia, Croazia, America Latina e in altri paesi. Condanniamo fermamente tutti gli attacchi contro questi movimenti e ogni ingerenza esterna negli affari interni dei singoli paesi. Noi condanniamo il blocco di Gaza da parte del sionismo israeliano e chiamiamo al boicottaggio totale dello stato razzista israeliano. Sottolineiamo l’importanza fondamentale della solidarietà.

-Che l’imperialismo significa la povertà, la violenza e la guerra alle donne. La lotta di liberazione della donna è una parte della lotta anti-imperialista, e senza la partecipazione attiva delle masse femminili il fronte anti-imperialista sarà debole. Il sistema patriarcale si sta basando sulla disuguaglianza di genere e una nuova società senza sfruttamento è possibile solo con la piena parità tra i sessi.

-L ‘unità anti-imperialista può essere realizzata solo su una base pratica politica. I popoli che lottano contro l’imperialismo, debbono lottare insieme. Chiamiamo tutti i progressisti, i democratici, i movimenti patriottici e religiosi che lottano contro l’imperialismo a formare un vasto fronte anti-imperialista. In un momento cruciale della crisi del sistema imperialista-capitalista, chiamiamo tutte le forze anti-imperialiste ad aumentare i loro sforzi per sviluppare l’unità rivoluzionaria internazionalista per la lotta contro l’imperialismo internazionale.

-Proponiamo all’assemblea finale del FSE;
-di decidere una giornata comune di azione del FSE per unire le masse lavoratrici d’Europa in un momento così profondo di crisi, a respingere di pagare il conto della crisi capitalista.
-di praticare la solidarietà internazionale contro la politica di guerra del governo turco, la manipolazione della questione curda, con misure militari, invece di discuterne con i rappresentanti popolari, e la solidarietà con i politici e gli attivisti curdi in lotta per la libertà, che sono stati imprigionati in base alla cosiddetta “Legge anti-terrrorista” e che saranno portati in tribunale il 18 novembre a Diyarbakir.

2010/07/03 – Istanbul