“Da lunedì sera, da quando la rivolta è scoppiata, sono finiti all’ospedale 82 agenti. Gli hanno scaricato addosso di tutto e martedì notte, per la prima volta, contro di loro hanno sparato anche sei colpi di pistola. I ragazzi feriti sono trenta. Nessuno è grave“.
Così LA STAMPA di ieri informava sulla improvvisa e inattesa rivolta dei giovani cattolici nordirlandesi, che ha suscitato scandalo tra la perbenista stampa inglese, poiché i protagonisti dei riots sarebbero stati non solo giovani ventenni, ma giovanissimi di 12/13 anni.
La scintilla, ancora una volta, è stata la marcia orangista del 12 luglio, che commemora la vittoria inglese (protestante) sull’esercito irlandese (cattolico) del 12 luglio 1690. Da allora l’Irlanda divenne una colonia e i coloni protestanti (inglesi e scozzesi) la classe dominante. Ogni 12 luglio gli orangisti celebrano questa vittoria, osando sfilare per le vie e i ghetti cattolici.
Una rivolta nazionalista? Una rivolta di classe? Una rivolta religiosa? Anzitutto una miscela dei primi due fattori. A dispetto degli “Accordi del venerdì santo” del 10 aprile 1998, sottoscritti da Sinn Fein, dai lealisti protestanti e dal governo di Londra, la comunità cattolico-irlandese continua a subire una doppia discriminazione, sociale e nazionale. La gravissima crisi economica che attanaglia il cosiddetto “Regno Unito” ha aggravato di molto la situazione, anzitutto dei giovani irlandesi, quasi tutti disoccupati.
Il primo ministro inglese è infuriato, la polizia promette vendetta. Tutti sono stati colti di sorpresa dalla “… ribellione bambina, cattiva e imprevedibile in queste dimensioni”.
L’ingiustizia è la madre di ogni ribellione. E quando i più anziani sono stanchi di combattere, quando i più sembrano assuefatti o si sono arresi, se non i loro figli, vedrete che saranno i loro nipoti a dare l’esempio, a dissotterrare la bandiera della liberazione o, se volete, l’ascia di guerra.
da http://sollevazione.blogspot.com/
16 luglio 2010