Intervista di Giulietto Chiesa alla radio iraniana

Lei in un suo ultimo articolo ha ritenuto che l’assalto al convoglio di navi pacifiste da parte d’Israele è stata una provocazione, perché e a quale scopo?

Le intenzioni d’Israele sono assolutamente chiare ed evidenti. Anche se la tattica diplomatica-politica d’Israele è stata fino ad ora abbastanza in grado di alimentare l’idea che fosse possibile un negoziato per la soluzione palestinese, in realtà questo gruppo dirigente israeliano appoggiato dalla maggioranza dell’elettorato israeliano non ha nessuna intenzione di risolvere il problema palestinese, quello della creazione di due Stati, così come continua a ripetere.

È chiaro che nello stesso tempo (il fatto che rimanga aperta la crisi palestinese che è il punto centrale della crisi mediorientale) Israele continua a ritenere di avere il diritto della solidarietà internazionale per ragioni storiche naturalmente e anche per ragioni attuali. Ora è evidente che questo gioco (dire una cosa e fare esattamente il contrario), cioè estendere gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, bloccare Gaza e strangolare sostanzialmente il popolo palestinese è insostenibile per la Comunità internazioanle ed anche l’Europa non può appoggiare alla lunga questo tipo di politica e quindi Israele si sta preparando ad uno show-down molto duro, utilizzando l’Iran come pretesto per “estorcere” nuovamente la solidarietà dell’Europa riguardo i suoi progetti. Siccome (Israele) non lo può fare direttamente, lo fa indirettamente, quindi l’obiettivo centrale è quello dell’Iran. Ora che c’entra la Turchia? La Turchia è un paese musulmano che sta riguadagnando la propria autonomia e nel corso degli ultimi anni ha ripetutamente manifestato la sua insoddisfazione, la sua critica molto dura, nei confronti dell’atteggiamento israeliano verso il popolo palestinese e per questa ragione Israele ha scelto di attaccare il convoglio (il cui personale era in gran parte turco) e dare una lezione alla Turchia. Questo è il segno, come dire, la pratica/tattica che Israele ha sempre applicato consiste in questo; se la forza non è sufficiente bisogna usare più forza. Nel caso specifico la Turchia ha ripetutamente criticato Israele e Israele colpisce la Turchia per dare un segnale internazionale: “Guardate! Chiunque si comporterà in modo tale da non darci la solidarietà totale sarà sottoposto alla nostra vendetta, alla nostra pressione”. Ed infine sono stati uccisi nove pacifisti-disarmati che erano a bordo di una delle navi della flottiglia. Io su questo non ho il minimo dubbio. Non è stato un caso, un semplice incidente. Il comando che ha attaccato la flottiglia è andato con l’ordine preciso di creare un drammatico scontro politico anche a costo di uccidere la gente quindi è chiarissimo il significato. È escluso che una cosa del genere possa accadere per caso.

Quindi chi ritiene che l’attacco del 31 maggio ha provocato gravi danni alla causa israeliana sta magari sbagliando?

È vero se si presuppone che Israele si sia sbagliato sotto un certo profilo perché sul piano strategico Israele più procede su questa linea più inevitabilmente si inimicherà la gran parte della Comunità internazionale. Quindi se la mettiamo da questo punto di vista, certo è un atto che danneggia strategicamente Israele ma se si esce dalla strategia e si guarda la tattica si capisce benissimo che questo e un atto funzionale, cioè Israele è interessato solo all’innalzamento della tensione. E solo qualche cosa di molto grave che accada ripetutamente nell’area potrà giustificare l’attacco che gli israeliani stanno già preparando nei confronti dell’Iran che a loro avviso è la vera minaccia alla esistenza dello stato d’Israele. Siccome queste cose non si possono fare a freddo perché avrebbero una ricaduta catastrofica proprio su Israele, bisogna organizzare un’atmosfera internazionale di tensione che sia la premessa del contesto nel quale l’attacco può avvenire anche perché è chiaro che Israele partirà all’attacco ma tenterà di avere immediatamente l’appoggio degli Stati Uniti. Quindi bisogna creare le condizioni perchè l’attacco israeliano sia sostenuto e appoggiato. Quello che ho descritto nel mio articolo è un’insieme di episodi, di eventi, che – a mio avviso – dimostrano o che lasciano pensare esattamente quale sia questa strategia. I dirigenti israeliani hanno ripetutamente detto che – sottolineo questo punto – attaccheranno la Repubblica islamica quando loro riterranno che l’Iran sia vicino alla creazione della bomba atomica. Quindi non c’è bisogno di avere dimostrazioni oggettive o prove, quando loro riterranno necessario. Allora significa che questo è una decisione che dipende esclusivamente dalle loro valutazioni. Il quadro mondiale è completamente estraneo a tutto ciò. Per i dirigenti israeliani non esiste un quadro mondiale. Esiste specificamente la loro propria valutazione sui rapporti di forza e sulla situazione. Quindi il mondo deve sapere, e gli israeliani fanno di tutto perché il mondo sappia che loro sono determinati a fare una certa cosa e tutti sono avvertiti. Per creare le condizioni devono esserci elementi tali che consentono questo clima di scattare. Come Lei ha fatto cenno, io ho citato nel mio articolo la notizia apparsa su L’International Herald Tribune di una delegazione israeliana che è andata in Cina e secondo l’articolista che raccontava quest’episodio lo scopo della visita era esattamente quello di dire alle autorità di Pechino che Israele si sta preparando all’attacco – e lo farà quando lo riterrà opportuno -, invitando a valutare che i rischi non ci saranno per l’economia cinese in generale, che gli interessi cinesi nell’area non saranno messi in discussione più di tanto. È stato un preavviso molto chiaro. Gli israeliani volevano avere anche il polso della reazione cinese. Credo che abbiano fatto la stessa cosa verso i russi. Sicuramente lo stanno facendo anche verso gli Stati Uniti perché – escludo anche questo – sarebbe tremendamente ingenuo pensare che tutto ciò che si sta preparando sia all’oscuro dei servizi segreti americani. Evidentemente non è così; tutti sanno tutto ciò che sta accadendo. Tacciono e fanno finta di tacere. Ma siccome io non sono tenuto a questo silenzio, invece vedo e metto insieme le cose che stanno accadendo e che purtroppo sono tutte molto serie, molto gravi, che ci indicano come minimo che se non c’è una pressione preventiva su Israele, una pressione che impedisca la realizzazione di questo piano, questo piano si realizzerà.

Secondo Lei la Russia e la Cina hanno detto sì alla risoluzione delle nuove sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (approvata lo scorso 9 giugno) contro l’Iran sotto pressione di Israele.

Direi di sì sostanzialmente anche se non credo che né la Cina e né la Russia siano così subalterne rispetto a Israele. Sono entrambi in grado di avere una propria politica. Nell’articolo mi sono chiesto perché sia la Cina sia la Russia hanno accettato questa linea, la linea delle sanzioni, seppure con molte riserve? Non ho una risposta per questo, non credo che si tratti solo di subalternità alle pressioni israeliane. Credo che ci siano delle considerazioni strategiche generali che riguardano la crisi mondiale. Questa è la mia interpretazione poiché per ragioni diverse sia la Cina che la Russia non sono in condizione di dettare – per il momento – la loro linea al resto del mondo. Per esempio la Russia evidentemente per la sua debolezza economica, da sola non può influenzare, non ha una potenza, non ha una massa critica sufficiente per poter modificare il quadro della crisi finanziaria. La Cina ha degli strumenti ma è fortemente condizionata dal suo legame con gli Stati Uniti, un legame di “do ut des”, “dò affinché tu mi dia”. Cioè sostanzialmente la Cina tiene in piedi il debito americano e lo alimenta a sua volta, quindi tutte queste ragioni entrano in gioco. Sia la Russia che la Cina non vogliono contrapporsi in questo momento agli Stati Uniti. Dire gli Usa nella questione iraniana significa dire Israele e viceversa. Israele e Stati Uniti sono intrinsecamente strettamente alleati quindi mi verrebbe la tentazione di dire che sia la Cina che la Russia hanno deciso per il momento di lasciar fare, sapendo che chiunque s’imbarcherà in quest’avventura dovrà pagare dei prezzi strategici molto molto pesanti. Sostanzialmente rimanendo fuori, lasciando che qualche cosa accada ma mantenendo una completa autonomia e differenziazione rispetto a ciò che si decide nella capitale imperiale (Washington) o della sua succursale Tel Aviv. Questa è l’unica spiegazione che io in questo momento posso dare per quanto riguarda il comportamento cinese e russo. Non direi però che questo è un atteggiamento di completa adesione alla linea americana perché così non è. Si tratta di un’adesione molto a denti stretti, molto fredda e comunque piena di distinguo e di differenziazione.

Quale sarà il comportamento d’Israele di fronte al voto contrario della Turchia e del Brasile alle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu contro l’Iran?

La reazione fa parte del ragionamento dell’attacco contro le navi pacifiste. È da prevedere un raffreddamento drastico delle relazioni tra la Turchia e Israele anche perché fino a ieri la Turchia era di fatto la piazza d’armi attraverso cui Israele poteva pensare ad un attacco contro l’Iran adesso non è più così. Come sappiamo la Turchia ha negato lo spazio aereo con tutta la probabilità di aerei israeliani che erano dislocati nella base Nato di Injerlik in Turchia non sono più lì, sono stati trasferiti altrove. È un segreto militare. Io non conosco questi segreti militari ma presumo che si stiano dislocando diversamente. Dove? Non lo so. Ho letto anch’io naturalmente la notizia. Non so se l’Arabia Saudita ha già concesso lo spazio aereo. Quindi tutto è pronto e – ripeto – se un attacco del genere avviene il presidente Obama non lo saprà dai giornali, lo saprà molto prima, lo saprà dai suoi servizi segreti o direttamente dalle informazioni americane. È ovvio che i rapporti con la Turchia sono sul livello di rottura e questo avrà delle influenze molto molto profonde anche sulla fisionomia della Nato perché la Turchia è un membro dell’Alleanza Atlantica e che va in una direzione del tutto diversa da quella che in questo momento è l’orientamento della Nato. Anche da qui si vede con chiarezza che Israele sta giocando una partita ad alto rischio per tutta la tenuta della cosiddetta Comunità occidentale perché il comportamento d’Israele apre un cuneo dentro il funzionamento dell’Alleanza Atlantica.

In tutto questo scenario qual è il ruolo di Barack Obama?

Molto ambiguo, sfortunatamente. Su questi terreni le promesse che aveva fatto e lasciato immaginare il presidente americano non si stanno realizzando. Nessuna delle sue promesse – si può dire -, è stata mantenuta né verso l’Afghanistan né verso l’Iraq né verso il rapporto con l’Iran. Io al momento della sua elezione dissi una cosa che ripeto ancor’oggi perché credo che sia la chiave di volta: per risolvere il problema iraniano – chiamiamolo così -, sarebbe necessario che gli Stati Uniti dichiarassero apertamente che l’opzione militare viene esclusa e che cominciassero dei negoziati nuovi ma che nello stesso tempo gli Usa che sono la massima potenza militare del mondo dichiarino apertamente che difenderanno l’Iran da qualunque attacco che venga mosso dall’esterno contro la sua pace la sua sicurezza. Questa sarebbe una dichiarazione di estrema importanza perché modificherebbe integralmente il quadro negoziale. Io non lo so quale sarebbero i risultati. È difficile dire anche perché il tema è molto complesso ma tuttavia l’opzione militare tra l’altro è illegale dal punto di vista delle regole delle Nazione Unite; perché non solo le Nazioni Unite negano il diritto alla legittimità dell’uso della forza di uno Stato contro un’altro ma negano anche la legittimità della minaccia. Bene bisognerebbe che gli Stati Uniti accettassero questi criteri delle Nazioni Unite e dicessero che non minacciano più l’Iran. Quindi non esiste l’opzione militare contro l’Iran. Non solo ma loro (gli Usa) possono anche diventare i garanti della sua proporzione. Perché dico questo? Perché c’è una ragione obiettiva che non possiamo dimenticare cioè che in tutta l’area c’è una potenza nucleare soltanto, una potenza aggressiva e molto forte e si chiama Israele. Gli altri paesi dell’area a cominciare dall’Iran non possono ignorare questo fatto. Quindi c’è uno squilibrio che è stato creato non dall’Iran ma da Israele con l’appoggio degli Stati Uniti, della Francia ecc. Questo squilibrio deve essere sanato attraverso una esplicita dichiarazione che l’Iran non sarà minacciato militarmente e che il negoziato avviene in assenza dell’opzione militare come una delle risorse possibili come continuano a ripetere Barack Obama e il suo segretario di stato, Hillary Clinton. Questa svolta è indispensabile. Quando Obama fu eletto io scrissi proprio un articolo dicendo che se ci sarà una svolta dei rapporti tra l’Iran e gli Stati Uniti sarà basata su questa dichiarazione, potrà essere basata su questa dichiarazione. Questa dichiarazione non c’è stata. Obama ha continuato su questo terreno la stessa linea di George Bush e dei presidenti precedenti. Questo purtroppo non crea una buona soluzione, un buon terreno per uno sviluppo su basi pacifiche di una crisi che è abbastanza evidente che – ripeto – ha delle radici molto complicate. Non crea uno sviluppo che comporti ovviamente un negoziato chiarificatore. Ma ciò detto non vedo dal presidente Obama una volontà o forse una possibilità di realizzare ciò che aveva forse in mente, con il suo discorso al Cairo (del 4 giugno 2009). Sembrerebbe di avere capito che ha delle idee un pò diverse ma a quanto pare intorno a lui la struttura del complesso militare industriale è talmente forte che può condizionare la decisione di chiunque. Ma ripeto la questione non è la personalità o la sincerità del presidente degli Stati Uniti, la questione è la fisionomia di questo paese in questo momento, parlo degli Stati Uniti, un paese che è in una gravissima crisi generale che non è in grado di gestire più il mondo come ha fatto nel corso degli ultimi 50 anni ma che continua – per inerzia – a pensare di poterlo fare. Questo è il dramma purtroppo degli Stati Uniti che pensano di essere ancora gli Stati Uniti degli anni ottanta. Non è più così. Non è più così sotto nessun profilo e prima gli Stati Uniti se ne renderanno conto meglio per tutti sarà.

da http://italian.irib.ir/