La porta stretta

Obama e la guerra perduta

Quando Barack Obama è diventato presidente c’erano in Afghanistan 33mila soldati americani (il numero dei mercenari privati e degli ausiliari arruolati come personale Ngo è imprecisato, ma si tratta di decine di migliaia), adesso siamo praticamente a quota 94mila. Obama ha praticamente triplicato le sue truppe d’occupazione, alle quali vanno aggiunte quelle NATO-ISAF.
Tutti i più autorevoli quotidiani americani parlano all’unisono della guerra che non si può vincere o, senza giri di parole, della guerra già persa.

 

La tensione è particolarmente acuta negli ambienti del Partito Democratico, dove sono sempre più numerosi coloro che chiedono un ritiro unilaterale e di lasciare l’Afghanistan al suo destino. Per essere più precisi coloro che chiedono di venir via propongono di spazzar via l’Afghanistan come entità geopolitica e di mettere al suo posto due stati, uno Pashtun e uno tagiko-uzbeko al nord-ovest. Comunque vada a finire l’illusione jeffersoniana di esportare la “democrazia” a Kabul (o, per essere più precisi, il missionarismo internazionalistico-wilsoniano tanto caro a Bush J.) è finito già a carte quarantotto.

Nancy Pelosi, Presidente della Camera, ha già annunciato di aspettarsi che il disimpegno finale inizi nel luglio 2011. Segnale indiscutibile che la Casa Bianca, preso atto che non può vincere la sua campagna d’Afghanistan (che pare proprio somigliare a quella spagnola di Napoleone) deve davvero approntare una strategia per il ritiro, senza nemmeno poter cantare vittoria. Segnale, infine, che la mossa di spaccare la Resistenza Pashtun, dividendo quelli buoni dai Taliban cattivi (annunciata oramai da più di un anno) è stata sepolta dalla guerra medesima, che proprio a luglio ha conosciuto il numero più alto di caduti americani. In questo quadro degno di nota è quanto sostenuto dal vicepresidente Joe Biden, secondo cui bisognerebbe limitare le operazioni militari alle attività “antiterrorismo”, senza preoccuparsi di sconfiggere i Taliban. Gli ha fatto eco, sul Wall Street Journal, Jack Devine, ex capo delle operazioni CIA, il quale ha invitato la Casa Bianca ad affidare le operazioni ai servizi segreti e dunque a ritirare subito le truppe.
Ma al luglio 2011 manca ancora un anno, e tutto potrebbe accadere. Obama proclama ancora di sperare che il fido Petraeus riesca nei prossimi mesi a tirar fuori qualche ragno dal buco, cioè prima delle elezioni di Medio termine. Cosa intenda non l’ha forse chiaro nemmeno lui. Dopo le “clamorose” recenti conferme di Wikileaks sui metodi para-nazisti con cui gli americani combattono in Afghanistan e Pakistan, è probabile che Petraeus, prima delle elezioni di Medio termine, voglia offrire il destro a Obama, per ostentare una qualche vittoria sul campo, e ognuno può immaginare quale sarebbe il costo per il disgraziato popolo afghano. Cosa può infatti significare, in bocca ai criminali di guerra statunitensi “revisione strategica”?

I più autorevoli analisti pakistani hanno liquidato come “follia” l’idea di dividere l’Afghanistan in due. Non solo il Pakistan si opporrebbe, perché privato di quella che considera la propria “profondità strategica” in caso di conflitto decisivo con l’India, si opporrebbe poiché una simile decisione, oltre a terremotare la geopolitica in Asia centrale, invece di pacificare il paese, lo getterebbe in un devastante conflitto tra etnie. Pashtun, Azarà, Tagiki e Uzbeki non risiedono infatti in aree etnicamente omogenee, quanto piuttosto in zone ad alta intercompenetrazione. Scavare dei fossati geopolitici e frontalieri, dicono ad Islamabad, causerebbe un disastro non meno terrificante di quello che si ebbe a fine anni ‘40 del secolo scorso all’atto di fondazione di India e Pakistan.

Che il rischio che la guerra d’occupazione possa sfociare in una guerra di tutti contro tutti, non dipende tuttavia soltanto dall’eventualità sciagurata della divisione del paese. Questo rischio è il principale pericolo secondo la sinistra rivoluzionaria afghana, la quale partecipa alla Resistenza ed è l’asse portante della prossima conferenza internazionale (http://www.peaceforafghanistan.net/) che si svolgerà in Italia nel prossimo inverno, e che vedrà delegazioni antimperialiste non solo dall’Asia centrale ma dai diversi continenti.