L’ampliamento dell’aeroporto (militare) di Pisa

Il fatto che Pisa diventerà il «punto di riferimento per tutte le forze armate» dirette in missioni internazionali «non può che essere un onore per la nostra città»: lo ha dichiarato il sindaco Marco Filippeschi (Pd), ufficializzando l’entusiastico appoggio della sua amministrazione al progetto di ampliare l’aeroporto facendone un hub in grado di movimentare fino a 30mila militari al mese, perfettamente equipaggiati (il manifesto, 4 agosto).

Il progetto, di cui Filippeschi era sicuramente informato, è stato formalizzato dallo Stato maggiore della difesa in aprile ma reso pubblico solo in agosto, senza che la cittadinanza sia stata consultata. Come spiega il generale Stefano Fort, comandante della 46a Brigata aerea, lo stato maggiore ha deciso che tutti i contingenti militari «proiettati fuori area» transitino da Pisa, perché il suo aeroporto, già base degli aerei da trasporto C-130J, è ottimamente collegato alla rete autostradale, ferroviaria e marittima. Dunque quello di Pisa diverrà il primo aeroporto militare dotato di check in e check out, movimentazione bagagli e altri servizi analoghi a quelli civili: svolgerà in campo militare funzione analoga a quella che Fiumicino svolge come hub civile.

Siamo di fronte a un nuovo tipo di militarizzazione del territorio, basato non solo sull’ampliamento delle strutture militari ma sulla loro integrazione con quelle civili. A Pisa essa si traduce in quella che il sindaco esalta come esemplare «convivenza della base militare e dello scalo civile». L’aeroporto, la cui gestione complessiva è militare, viene definito dalla Sat (Società aeroporto toscano S.p.A.) «un caso unico nel panorama degli scali italiani», perché vi si conducono attività sia militari che civili. Di conseguenza gli investimenti «civili» effettuati dalla Sat, come quello di 16 milioni di euro annunciato lo scorso giugno per la riqualifica del sistema di piste, potenziano allo stesso tempo la capacità militare dell’aeroporto.

C’è però un altro soggetto che ne trae vantaggio: la limitrofa base Usa di Camp Darby, che potrà usare ancora di più l’aeroporto di Pisa, oltre che il porto di Livorno. La capacità del hub sarà sovrabbondante rispetto alle esigenze nazionali (potrà movimentare ogni mese un numero di militari pari al triplo di quanti l’Italia ne ha dislocati all’estero): potrà quindi essere usata dalle forze armate statunitensi. Non solo: la base pisana, ha detto il generale Fort, avrà anche «compiti di stoccaggio per un tempo prolungato di materiali che dovranno essere impiegati fuori area». In altre parole, sarà una sorta di succursale di Camp Darby, che rifornisce di bombe e altri materiali le forze terrestri e aeree nell’area mediterranea, africana e mediorientale.

Anche il comando di Camp Darby, con il sostegno della Regione Toscana e delle amministrazioni di Pisa e Livorno, conduce da tempo una politica mirante a integrare la base militare nel tessuto civile del territorio, rendendosi gradita alla popolazione. Il capolavoro è stato l’accordo del giugno scorso, che permette alla squadra del Pisa di allenarsi all’interno di Camp Darby, dove dispone di due campi di calcio e altre attrezzature.

Lo stesso si sta facendo per convincere la popolazione sull’utilità del hub militare. Il sindaco parla di «interessanti ricadute occupazionali» di un progetto che prevede investimenti per 60 milioni di euro (probabilmente la punta dell’iceberg della spesa reale, cui si aggiungerà quella di gestione). Tace però sulle gravi ricadute ambientali, sociali e culturali di una struttura in grado di movimentare 30mila militari al mese in una città che non raggiunge i 90mila residenti.

Gli dà una mano l’Unità, che annuncia soddisfatta il raddoppio dello scalo militare, definendolo «cittadella dei cieli». Il Ministero della salute, intanto, premia la 46a Brigata aerea «per gli interventi in missioni umanitarie», presentandola come una sorta di Croce Rossa, e le conferisce perciò (lapsus freudiano?) la «Bandiera di guerra».

dal Manifesto del 12 agosto