Note di fine agosto sulla crisi politica
Piantare un ulivo ad agosto è vivamente sconsigliato dagli esperti, ma la fantasia degli zombi che si apprestano a ripopolare le aule parlamentari non è granché. Dunque bisogna accontentarsi delle “innovazioni” bersaniane: nascerà il “Nuovo Ulivo”.
A sentire i dirigenti del Pd l’entusiasmo nel Paese è alle stelle; nei bar, nelle piazze, nelle fabbriche non si parla d’altro. Qualcuno ricorda, tra il preoccupato e il malizioso, che i governi dell’Ulivo portarono le privatizzazioni, le stangate per l’euro, il pacchetto Treu e la guerra alla Jugoslavia.
Ma quello era il “vecchio” Ulivo, ora abbiamo quello “Nuovo”, perché rivangare sempre il passato?
Dove stia il nuovo, soprattutto dove stiano i contenuti in materia economica, sociale, istituzionale, nonché in politica estera, Bersani ovviamente non ce lo dice. Saremo dunque costretti ad arrivarci da soli, ma non sarà uno sforzo insostenibile. Prima, però, è necessario uno sguardo un po’ più ampio alla situazione generale.
Il “gioco del cerino”
Agosto sta finendo, ma sbaglia chi pensa che gli scontri di questo mese rientreranno con le prime temperature autunnali. Fa un po’ ridere, in particolare, il Berlusconi che fa finta di voler archiviare il tutto, assicurando che dopo il teatrino agostano si tornerà alla sua “politica del fare”. Il Cavaliere sa bene di essere ormai a capo di un governo privo di una maggioranza parlamentare ma, a dispetto della sua stessa propaganda, deve partecipare anch’egli all’aborrito teatrino.
Il gioco ora imposto da questa commedia, incomprensibile ai più quanto scontato per chi abbia un minimo di dimestichezza con i riti della politica italiana, si chiama “gioco del cerino”. Esso consiste nel trasferire il “cerino” acceso della responsabilità delle elezioni anticipate – chissà perché considerate una specie di tragedia nazionale – nelle mani dell’avversario (spesso un ex alleato). Si susseguono così dichiarazioni di responsabilità, inviti al governo ad andare avanti, vertici che sfornano le più insulse banalità, sempre in attesa che sia l’altro a scivolare sulla classica buccia di banana. Alla fine chi si ritroverà in mano il “cerino” ormai prossimo all’esaurimento non potrà che scottarsi le dita: sarà lui il colpevole della tragedia.
Questa recita buffonesca, che in realtà non appassiona nessuno, indica quanto la casta istituzionale sia ormai distante dal popolo. A voler stare dietro a tutte le chiacchiere, alle ipotesi più strampalate – una per tutte: l’uscita di Bocchino sull’allargamento dell’attuale maggioranza – ci sarebbe da diventare pazzi. I giornalisti che si occupano di politica interna, per contratto tenuti a riempire la famosa pagina bianca ogni giorno, si vedono così costretti a smentire oggi quel che avevano ipotizzato solo ieri. Per giustificarsi di fronte ai lettori, e piuttosto che dover approfondire un po’ le questioni (a questo il contratto non li obbliga, e spesso lo vieta severamente), hanno inventato un curioso strumento: il barometro della crisi. Un giorno il barometro volge al brutto, si va verso la crisi di governo, le elezioni anticipate e, chissà, forse verso la guerra civile. Il giorno dopo come per incanto il barometro volge al bello, il governo è diventato solidissimo, prevale la “responsabilità nazionale”, tutti si occupano del Paese, l’amore vince sull’odio, il Pil tornerà a salire e la nazionale di calcio a vincere.
E’ possibile spiegare così il violentissimo scontro di potere in atto? Ovviamente no, ma l’attuale casta giornalistica non può proprio proporci nient’altro. D’altra parte, cosa attendersi da chi ritiene che oggi sia possibile fare giornalismo solo se si dispone di montagne di intercettazioni telefoniche? Lasciamogli dunque il “barometro” e tentiamo invece un’analisi razionale basata su alcuni dati fondamentali.
I fondamentali per comprendere le attuali contorsioni della politica italiana
Poniamoci dunque alcune domande di fondo. Qual è la natura dello scontro in atto? Quale la vera posta in gioco? Quali gli obiettivi dei principali attori? Qual è la relazione tra questi ultimi ed i poteri dell’economia e della finanza? Quali sono gli interessi internazionali in qualche modo connessi ai possibili sbocchi della crisi politica?
Ognuna di queste domande richiederebbe una trattazione assai approfondita, ma lo scopo di questo articolo è soltanto quello di inquadrare la recente mossa di Bersani. Ci limiteremo perciò all’essenziale per cercare di comprendere i possibili sviluppi della crisi.
Il conflitto in atto è il più classico degli scontri di potere. Dietro alla contesa per il governo del Paese non ci sono tanto i partiti, con i loro blocchi elettorali, quanto i principali centri del potere economico. In palio non c’è solo Palazzo Chigi, in ballo c’è la gestione della crisi nel momento in cui si farà prevedibilmente più dura. Perché se tutti condividono l’ideologia mercatista, se destra e centrosinistra sono parimenti d’accordo nell’applicare le ricette dell’UE, se dunque la linea dell’intero arco politico istituzionale è quella di scaricare la crisi sulle classi popolari, altri interessi – interni al blocco dominante – non coincidono affatto. Ma questi ultimi non si palesano mai chiaramente, tanto meno oggi, dando luogo così ad una situazione oltremodo confusa, in cui lo scontro di interessi attraversa trasversalmente gli schieramenti e tutte le principali formazioni politiche.
Non è questa la sede per addentrarsi oltre in questo ginepraio. Lo faremo senz’altro in un prossimo articolo, per ora è essenziale comprendere che l’attuale “impazzimento” della situazione politica ha una sua profonda connessione con il posizionamento dei principali poteri economici del Paese. Poteri che, ovviamente, giocano la loro partita in maniera assolutamente trasversale. Che, come ricordò opportunamente una volta Gianni Agnelli, sono “governativi” per definizione, ma che mentre succhiano denaro e vantaggi di ogni tipo grazie all’azione del governo in carica pensano anche (spesso determinandone l’ascesa) a quello futuro.
Questo giusto per ricordare che l’attuale lotta non è cosa da Cln, come hanno improvvidamente sostenuto alcuni sinistrati in cerca di un improbabile rilancio. Perché se Berlusconi è una minaccia alla democrazia, non bisogna mai dimenticarsi chi furono i veri ispiratori (vedi referendum Segni-Occhetto) della Seconda Repubblica. Chi promosse quel passaggio ha fatto autocritica? Non ci risulta. Sta di fatto che oggi protestano contro il cosiddetto Porcellum perché vorrebbero tornare all’ancor più antidemocratico Mattarellum.
La verità è che quella forma di democrazia riconducibile alla (pur sempre inapplicata) Costituzione repubblicana è morta e sepolta già da un pezzo. Aggrapparvisi per proporre oggi un Cln con Fini non è solo indecente, è semplicemente ridicolo.
Gli obiettivi delle principali forze politiche
Il quadro è dunque quello di un micidiale scontro di potere interno al blocco dominante. E’ in questo contesto che vanno analizzati gli specifici obiettivi delle principali forze politiche. Gli attori politici (siano essi partiti, “poli”, singoli o lobby) hanno i loro referenti sociali, ancora più spesso hanno dei veri e propri committenti, ma – non dimentichiamolo – possiedono anche una loro relativa autonomia. Sono anch’essi dei poteri in gioco. Analizzarli sotto questo particolare profilo è dunque senz’altro utile.
1. In primo luogo, visto il ruolo che hanno avuto nell’apertura della crisi politica, chiediamoci qual è l’obiettivo dei finiani di Fli.
L’iniziativa portata avanti da Fini nell’ultimo anno non avrebbe alcun senso se non nella prospettiva immediata di logorare Berlusconi. L’obiettivo di medio periodo è invece quello di lavorare alla costruzione di una cosiddetta “destra europea”, di un “terzo polo” da far nascere con i vari Casini, Rutelli e Montezemolo. E’ noto come questo progetto con molti generali, tanti sergenti e poca truppa, abbia avuto una chiara benedizione confindustriale, non disgiunta da un certo sostegno “atlantico”.
2. Come ha risposto il Pdl (il che equivale a dire Berlusconi) all’iniziativa finiana? Con l’espulsione di fatto del presidente della Camera. Berlusconi sa benissimo qual è la posta in gioco ed ha accelerato i tempi non appena gli è stato possibile, cioè subito dopo l’approvazione della manovra economica.
Ma, come abbiamo già scritto (vedi L’ora degli zombi), una simile accelerazione si rivelerebbe un boomerang se non fosse seguita dallo scioglimento delle camere. L’esito della lotta, lo ricordiamo, è legato anzitutto al Fattore Tempo. Berlusconi deve accelerare i tempi, tutto il variegato blocco che gli si contrappone deve invece guadagnare tempo, sia per logorare l’avversario che per organizzarsi al proprio interno. E’ proprio alla luce di questa esigenza che esamineremo più dettagliatamente la recente iniziativa di Bersani.
Berlusconi comunque, al di là delle mosse tattiche, non ha altra carta che non siano le elezioni. Una carta non necessariamente vincente (anzi, chi scrive pensa che sarebbe probabilmente perdente), ma pur sempre l’unica.
3. Per capire il ruolo dell’Udc, o degli apisti rutelliani, non c’è molto da aggiungere a quanto scritto per i finiani. Va capito però che il disegno di costoro potrà realizzarsi solo con una nuova legge elettorale. Anche qui non è il caso di inoltrarsi nei vari possibili meccanismi elettorali, l’importante è sapere che all’ingrosso gli può andar bene sia il modello tedesco che quello francese, e perfino il Mattarellum. Un simile “Terzo Polo” non può invece nascere con la legge attuale perché, benché sostanzialmente proporzionale, prevede un premio di maggioranza senza soglia minima.
I terzopolisti, per essere veramente tali, necessitano dunque di un’apposita legge elettorale. Nel frattempo, se si andrà invece ad elezioni anticipate, essi sono invece prontissimi ad allearsi con il centrosinistra. Detto per inciso, i sondaggisti che hanno ipotizzato scenari elettorali a tre poli, o magari a quattro, farebbero bene a cambiare mestiere. Ma finché qualcuno li paga…
4. Di fronte alla precipitazione della crisi il Pd è apparso incerto e smarrito, ma sarebbe da ingenui pensare ad una vera impreparazione. Da mesi, e siamo prudenti, vanno avanti i contatti riservati con Casini e gli stessi finiani. La verità è che Bersani deve muoversi con cautela. Ha molti nemici interni – Veltroni in primo luogo -, ma soprattutto ha la necessità di non esporre i propri futuri alleati ad un impallinamento prematuro. D’altra parte il Pd doveva pur uscire da una situazione di afasia: ecco allora la lettera di Bersani al direttore di Repubblica. Una lettera scritta in un politichese quanto mai orrendo, ma frutto di un lavorio incessante. Da qui i tanti sì incassati dal privatizzatore di Piacenza. Dopo quella lettera, come per incanto, abbiamo infatti il “Nuovo Ulivo” e l'”Alleanza democratica”. Di che cosa si tratta?
Nasce un Cln a guida ulivista o si prepara un’ammucchiata indecente – a forte impronta confindustriale – all’ombra dell’ignaro albero?
Ad aprile, dopo il pubblico scontro tra Fini e Berlusconi, avevamo scritto: «Attualmente sono tutti prudenti. Il Pd sembra fingere di essere un’associazione bocciofila in tutt’altre faccende affaccendata, così pure la stampa a sostegno. Devono recitare questa parte per non scoprire subito il gioco. Ma tra breve possiamo ragionevolmente prevedere una triplice accelerazione per rendere, nei limiti del possibile, il blocco antiberlusconiano credibile e competitivo. Lo schieramento elettorale non potrà essere né di tipo prodiano (l’ammucchiata unionista) né veltroniano (l’illusione bipartitista). Sarà dunque necessaria una razionalizzazione a destra (Udc, finiani, Rutelli, Montezemolo) e una a sinistra (tutti uniti purché senza falce e martello)».
E’ antipatico dirlo, ma eravamo stati facili profeti.
La mossa di Bersani rappresenta appunto la razionalizzazione a “sinistra”: né ammucchiata unionista (per il Prc/Federazione della sinistra basta e avanza l’accordo elettorale sotto le insegne dell’Alleanza democratica), né autosufficienza veltroniana che altro non sarebbe che l’ennesimo suicidio.
Ma la cosa più importante è che il “Nuovo Ulivo” altro non è che l’altra faccia della riorganizzazione sul versante destro. La reazione più interessante, e non casualmente più fulminea, alla mossa del segretario del Pd è infatti venuta da Casini. Citiamo da un’intervista a la Repubblica del 27 agosto: «Il nostro compito è un altro, parallelo a quello di Bersani», più precisamente: «è una buona cosa che il Pd si assuma la responsabilità di organizzare quel campo e noi, in parallelo, di riorganizzare il centro moderato e riformista». Per una volta il genero di Caltagirone ha parlato chiaro. Ed ha aggiunto anche la logica conclusione del ragionamento: «In condizioni di normalità politica la mia collocazione in Europa sarebbe alternativa a quella del Pd. Ma, appunto, in una situazione di normalità politica, sia italiana che internazionale, che adesso non c’è». Più esplicito di così…
Qualche ritardatario continua a pensare che i finiani non potrebbero essere della partita. A nostro modesto parere l’ipotesi di un loro autoisolamento è invece da scartarsi, per diversi motivi. In primo luogo una simile scelta finirebbe per favorire proprio l’odiato Berlusconi; in secondo luogo segnerebbe una frattura con Udc e similari, frenando nei fatti le future prospettive unitarie; in terzo luogo andare da soli vorrebbe dire rischiare la presenza parlamentare, essendo il 4% un obiettivo assai irrealistico. Qualcuno potrebbe pensare che un simile salto del fosso sarebbe troppo pesante per Fini. Certo, in termini di consenso vi sarebbero indubbi problemi, ma anch’egli come Casini potrà sempre invocare lo “stato d’emergenza”. Infine, proviamo ad immaginarci quali saranno i temi di una eventuale campagna elettorale. Si parlerà della crisi economica, delle questioni sociali? Ma no!, si parlerà ancora una volta di Berlusconi. Ed in una simile campagna personalizzata, chi più degli ex potrà parlar male del partner/padrone da cui ci si è appena separati?
Fantapolitica? Vedremo, i finiani non sembrano brillare per coraggio, ma non si vede quale altra strada possano percorrere. Quel che è certo è che l’Alleanza democratica di Bersani le porte gliele ha aperte, eccome. «Finiani compresi?», è stato chiesto a Bersani. E lui: «E’ un patto aperto a tutti quelli che…».
E se poi il candidato premier fosse proprio Casini? Come potrebbero i finiani dire di no?
Una conferma di tutto ciò ci viene proprio da quello che dovrebbe essere il versante opposto della costituenda Union Sacrée: quello della Federazione della sinistra. Vediamo allora quel che ha dichiarato Paolo Ferrero al Manifesto del 29 agosto. In primo luogo il segretario del Prc, che era stato tra i primi a rispondere in modo entusiastico alla proposta di Bersani, ha voluto ricordare la presenza dei monarchici nel Cln. In secondo luogo, rispondendo ad una domanda su quale sarebbe il candidato premier favorito, ha risposto: «Chiunque. Tranne Fini». Questa apparente chiusura è in realtà una clamorosa apertura, perché se si esclude l’improponibile (e da nessuno proposto) ruolo di candidato premier, vuol dire che Fini è però considerato un partner possibile dell’Alleanza democratica.
Chi vivrà vedrà, ma il delfino di Almirante, l’uomo per il quale Mussolini era stato il miglior statista del ventesimo secolo, è ormai ben più che sdoganato. Funambolismi di un ceto politico alla disperazione, od anche miracoli della kippà indossata al momento giusto? Probabilmente un mix delle due cose. Sta di fatto che al “politicamente corretto” di sinistra, tipico dei bertinottiani alla Ferrero, l’adesione ad un’ideologia razzista del presente come il sionismo pare migliore della nostalgia per un’ideologia razzista del passato. Anzi, e questo dovrebbero proprio spiegarcelo, sembra quasi che la prima sia in grado di cancellare le ombre della seconda.
Più che sul contenuto della sua lettera, ci siamo soffermati sulle reazioni suscitate dalla proposta di Bersani. Ciò non è un caso, dato che il succo di quella lettera sta proprio nelle fulminee risposte che ha suscitato. Sì dalla Federazione della sinistra e dai Verdi, sì anche se meno entusiastico dall’Idv, sì dall’Udc. Un sì piuttosto forte anche dall’interno del più balcanizzato dei partiti, il suo Pd.
Lo schema a cerchi concentrici è dunque pronto. Al centro sta il Pd, partito maggiore anche se non per questo necessariamente deputato ad esprimere il candidato premier. Attorno a questo nucleo c’è il primo anello: il “Nuovo Ulivo” (a proposito, ci sbagliavamo a parlare di zombi?). Ne faranno parte Idv e Verdi, ma sicuramente anche (attualmente sanno solo pronunciare la parola “primarie”) i vendoliani di Sel. L’anello più esterno, quello più decisivo, si chiamerà invece Alleanza democratica o qualcosa del genere. In esso confluiranno sulla sinistra i sinistrofederati e sulla destra il trio Casini, Rutelli, Montezemolo, con annessi i finiani. Casini – ecco il lavoro parallelo – vorrebbe presentarsi all’appuntamento con il nuovo “Partito della nazione”. Farà in tempo? Forse no, ma non per questo lo schema potrà mutare.
Il testo bersaniano non dice nulla sui contenuti, tanto per lui parla la solerte ed instancabile azione di privatizzatore di tutto il privatizzabile portata avanti nel governo D’Alema (1998 – 2000).
Alcune cose vanno però rilevate. Bersani evoca una legislatura costituente. Non entriamo qui nel merito di questa “costituente”, ma è assai evidente che governare una legislatura significherebbe affrontare questioni economiche e sociali di enorme rilevanza, specie in una situazione come quella attuale. Cosa si dice su tutto ciò? Niente, tanto parlano i vari Ichino, Fassino, Chiamparino: tutti uniti nella lotta insieme al “compagno” Marchionne.
Ma qual è poi l’idea di fondo per l’uscita dal berlusconismo? Ovviamente tutto è incentrato, ancora una volta, sulla legge elettorale, vera fissazione da ormai un ventennio per tutti gli ex-Pcisti. Una nuova legge elettorale per ottenere che cosa? Ecco la risposta di Bersani: per andare «verso una repubblica in cui alternanza e bipolarismo assumano la forma di una vera fisiologia democratica».
Come in un film dell’orrore, in cui il medico scambia l’agente patogeno per la cura, il medico piacentino Bersani vuole continuare ad inoculare nella società italiana proprio quei virus che hanno prodotto la malattia del berlusconismo. “Questo è peggio di un crimine, è un errore”, direbbe qualcuno. Ma per il Pd – non possiamo addossare tutte le colpe solo ad un segretario, per giunta così modesto – quell’errore non è davvero importante. Il problema per costoro non è il berlusconismo, ma solo la persona fisica Silvio Berlusconi. Continua in questo modo la farsa italiana che da 16 anni ruota tutta intorno al Paperone di Arcore, trasformando così la politica in una sorta di telenovela senza fine. Ora la fine si sta comunque avvicinando, ma non per questo si annuncia un futuro radioso.
L’ennesimo imbroglio
Il desiderio di cacciare una buona volta e per sempre Silvio Berlusconi è pienamente condivisibile. Che questo sia il sentimento di buona parte del popolo italiano è assolutamente certo. Per fortuna è così. Ma questo significa che ci si debba consegnare ad uno schieramento oligarchico, a trazione confindustriale ed a combustibile atlantico?
Qualcuno pensa che non sia questa la prospettiva delineata dai cerchi concentrici dell’accoppiata Bersani-Casini? Il problema dell’Union Sacrée in via di costituzione non è tanto che si tratti di un’ammucchiata – il che è fin troppo evidente – quanto il fatto che questa ammucchiata sia lo strumento di un’ulteriore stretta autoritaria. C’è l’autoritarismo che passa attraverso forme cesariste di gestione del potere, ma c’è anche un autoritarismo non meno efficace che nasce dalla chiusura di ogni spazio di dissenso grazie al consociativismo. Questa seconda forma, che richiede normalmente la formazione di “governi d’emergenza”, è sicuramente quella più idonea per gestire la crisi, contenere il conflitto ed assicurare il dominio delle oligarchie finanziarie. E’ una forma che prevede la piena integrazione delle organizzazioni sindacali e dell’opposizione parlamentare, nonché la sterilizzazione del dibattito politico sotto la cappa dei dogmi sistemici del “politically correct”. Se essa si affermerà non avremo più i deliranti proclami del ducetto brianzolo, ma al loro posto avremo gli editti sistemici redatti da Bankitalia o, che è lo stesso, dalla Bce.
A questo servirà l’ammucchiata nell’uliveto, a spingere il cosiddetto “popolo di sinistra” a consegnarsi ancora una volta mani e piedi ai banchieri ed ai tecnocrati europei. Funzionerà questo ennesimo imbroglio? Probabilmente sì, ma meno, molto meno di quanto qualcuno si attende. Meno, molto meno di quanto ha funzionato in passato. Il tempo, di solito, non passa invano…