Mentre è in preparazione la Freedom Flotilla 2, è in pieno svolgimento l’azione del Convoglio Viva Palestina, di cui abbiamo già dato notizia. Su questa importantissima iniziativa, pubblichiamo di seguito due ottimi reportage (del 5 e del 7 ottobre) pervenuti dal team italiano che partecipa alla missione.

Da Lattakia a Gaza

Lattakia, 5 ottobre – Il Convoglio Viva Palestina (ben 21 i paesi rappresentati), con i suoi 43 veicoli (6 provenienti dall’Italia con 15 attivisti), è fermo dal 2 ottobre a Lattakia in Siria, in attesa di essere raggiunto dagli altri convogli provenienti da Casablanca e da Doha per poi affrontare, con un traghetto, l’ultimo tratto verso il porto egiziano di El Arish e arrivare infine a Gaza.

Lattakya, l’antica Laodicea che della colonizzazione romana contiene significative vestigia (l’arco di trionfo fatto erigere da Settimio Severo), è un porto importantissimo, lo sbocco al mare della Siria. E proprio nella zona del porto è stato sistemato il convoglio, nel campo profughi palestinese di Mukkhayyem.

Del convoglio poco o nulla riferiscono i media occidentali e italiani, anche se esso rappresenta un evento di singolare importanza per le regioni attraversate.
La Turchia ci ha riservato una accoglienza straordinaria a ogni tappa del percorso, da Istanbul a Kayseri ad Adana. Ovunque folla ad accoglierci agli arrivi. Una grande, calorosa partecipazione (con una straordinaria presenza di donne, giovani e meno giovani) che cogliamo anche lungo il percorso e nell’attraversamento delle città grandi e piccole: clacson suonati e mani alzate nel gesto V della vittoria.

Ovviamente non sono né i convogli, né le flottiglie, a fare la storia, soprattutto quando la storia è straordinariamente complessa come nel caso della Palestina. Ma i Convogli e le Flottiglie possono fungere da catalizzatori e da rivelatori di alcuni passaggi di fase. Così è nel nostro caso. E dall’osservatorio del Convoglio si possono cogliere molti fatti che sfuggono completamente ai politologi nostrani, assidui frequentatori dei salotti televisivi.
Il massacro della Mavi Marmara del 31 maggio scorso ha avuto un effetto dirompente nella comunità turca. Lo Stato di Israele non solo ha compiuto un crimine efferato, ma nel voler umiliare e colpire in modo chirurgicamente mirato la Turchia (tutte le 9 vittime sono di nazionalità turca) ha commesso un enorme errore politico e di strategia.

La Turchia ha avuto un sussulto, ha riscoperto una sua dignità, un suo orgoglio nazionale, compattandosi dietro il governo Erdogan. Tutto questo segna un mutamento decisivo nello scacchiere mediorientale. Il vuoto lasciato dalla devastazione e dalla disintegrazione dell’Irak, doveva essere riempito e lo sta riempiendo non l’Iran, ma la Turchia di Erdogan con i suoi 75 milioni di abitanti e con una situazione economico-sociale in piena espansione.
Errore fatale dunque quello di Israele, da sempre abituata a muoversi con la violenza delle armi, ed errore di analisi e di prospettiva degli Stati Uniti e dei paesi dell’Unione europea da sempre servilmente allineati sulle posizioni di Israele.

La presenza del governo turco, nei confronti del convoglio, è stata assolutamente discreta, ma le visite alle tombe dei caduti a cominciare da quella di Furkan Dongan (la più giovane delle vittime, 19 anni, con doppia nazionalità, turca e statunitense), il modo con cui i media e le televisioni non solo turche hanno seguito e commentato questi passaggi, la dice lunga su cosa sta ribollendo dal punto di vista geopolitico in questo martoriato scacchiere mediorientale.

Lasciando la Turchia con i suoi segni di prorompente modernizzazione, siamo arrivati il 2 ottobre al border della Siria dove ci attendevamo qualche difficoltà burocratica e, in ogni caso, una accoglienza molto meno marcata e calorosa.
E’ accaduto esattamente il contrario. L’accoglienza è stata ancora più calorosa e ufficiale: al border erano state montate tribune coperte, moltissime le autorità, la folla era enorme, una folla che inalberava non solo bandiere siriane e palestinesi ma i cartelli con il volto del presidente Assad. E se, dopo gli interventi ufficiali, la folla è tornata ad essere la protagonista dell’evento, a nessuno poteva sfuggire questo posizionamento del governo siriano. Effetto domino dunque, che dalla Turchia si diffonde alla Siria ridestando un panarabismo che sembrava ormai assopito.

Ci si può chiedere a questo punto come reagirà il governo egiziano, da anni fedele vassallo dello stato di Israele, e che anche nel recente passato, in occasione del Convoglio Viva Palestina 3 del gennaio 2010, ha tentato in ogni modo di contrastarne, anche con la violenza, l’ingresso a Gaza.
Potrà anche in questo caso sfidare i sentimenti filo-palestinesi della grande maggioranza delle popolazioni mediorientali e del Magreb? Riuscirà Israele a imporre all’Egitto di compiere il lavoro sporco come nel passato? È lecito dubitarne.
Ma come ha detto George Galloway l’ex parlamentare inglese promotore e leader di Viva Palestina, nel suo intervento a Istanbul, il Convoglio va in Egitto nel segno della pace e chiede, sempre in questo segno, di poter entrare nella Striscia di Gaza, per portare gli aiuti umanitari a quel milione e mezzo di palestinesi ridotti in una prigione a cielo aperto, ma sopratutto per rompere lo stato di assedio che dal 2006 sta soffocando quella striscia della Palestina, di fatto un genocidio a bassa intensità che continua giorno dopo giorno anche dopo l’operazione Piombo fuso con uno stillicidio di vittime palestinesi e con un embargo asfissiante e letale.
Questo è l’obiettivo per il quale il Convoglio si è mosso e che vuole onorare nel segno della non-violenza.

Il team di Viva Palestina-Italia, promosso da ISM-Italia, sta dando un suo significativo contributo, sia per i mezzi messi in campo e per il supporto logistico al convoglio nel suo complesso, sia per la sua capacità di analisi e di intervento politico teso a sottolineare il significato dell’evento all’interno di una strategia non-violenta volta a denunciare i crimini di Israele.
Ieri era arrivata la delegazione algerina con più di 30 veicoli, oggi la delegazione giordana, 53 veicoli appena usciti di fabbrica, un altro significativo tassello dell’operazione!
In attesa di entare a Gaza, inshallah.

ISM-Italia

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Inizia il tiro alla fune con l’Egitto

Lattakia, 7 ottobre – Il Convoglio che intanto si è arricchito di altri arrivi, in particolare quello di una forte delegazione algerina, è fermo, forzatamente fermo, a Lattakya in attesa di ripartire per El Arish.
Ieri una giornata molto importante. George Gelloway è arrivato al campo in mattinata accolto da una grande folla che ormai vede in lui non solo il leader di VivaPalestina, ma un protagonista di primo piano della lotta del popolo palestinese. Alle ore 11 si sono riuniti tutti i reduci della Mavi Marmara partecipanti al convoglio. Nel pomeriggio è previsto un meeting con le autorità locali in cui Galloway farà il punto della situazione sulla base di un incontro che si è svolto a Damasco mercoledì 6 ottobre fra una delegazione del convoglio e rappresentanti del governo egiziano per trattare sull’ingresso a Gaza.

E’ in corso una sottile e defatigante trattativa diplomatica con Egitto che, pur in una situazione di oggettivo isolamento rispetto a tutti gli Stati confinanti, non vuole cedere alla richiesta di libero transito del convoglio e quindi di rottura dello stato di assedio e che, comunque, intende porre le sue condizioni.
Da questa trattativa dipende o meno il successo dell’operazione VivaPalestina.
Galloway si dimostra un personaggio di altissima statura politica, l’unico capace di confrontarsi con i governi locali, animato da una grande idealità e passione per la causa palestinese, ma anche capace di gestire con intelligenza una situazione che deve necessariamente fare i conti con i condizionamenti dei governi locali.

Il suo intervento al meeting che si svolge alle 18 con una partecipazione grande di folla è preceduto da quelli di notabili locali e di rappresentanti delle delegazioni della carovana, in particolare di quelle arabe che si sono aggregate negli ultimi giorni.
La presenza di numerose delegazioni dei paesi arabi è un segno nuovo, un risveglio dopo anni di silenzio. E’ un indice significativo dei cambiamenti politici e geopolitici in atto in Medio Oriente.

Tutto si svolge con una certa lentezza a causa della necessità della traduzione.
L’intervento di Galloway è di straordinaria efficacia nella sua essenzialità e meriterà di essere tradotto e diffuso.
Inizia con un lungo elogio alla Siria di cui sottolinea e ricorda il comportamento eroico durante l’aggressione israeliana del 67, quella che ha comportato per la Siria la perdita delle alture del Golan ancora oggi in mano israeliana.
Ribadisce con grande forza che non ci sarà pace senza giustizia, e fino a che un solo centimetro di territorio siriano non sarà liberato.
Consapevole di parlare a un uditorio di palestinesi del campo profughi, ribadisce con forza il diritto al ritorno.
Sottolinea il carattere eccezionale del Convoy 5 Vivapalestina, che rappresenta la prima risposta alla brutale e tragica aggressione israeliana alla Mavi Marmara, ed evidenzia come questa volta esso raccoglie delegazioni di tutta l’area dal Bahrein fino alla Turchia.
Sottolinea e denuncia l’arroganza dello Stato di Israele che non ha esitato a umiliare pesantemente anche il presidente Obama, senza fare alcuna concessione alla ripresa di trattative di pace.
Sottolinea le potenzialità straordinarie dei paesi arabi che se solo volessero, se trovassero un minimo di accordo comune, con le risorse economiche di cui dispongono, potrebbero piegare la politica di occupazione e di violenza dello Stato di Israele e il sostegno dato ad essa dai governi occidentali.

Conclude il suo intervento, interrotto da ripetuti applausi, informando sobriamente sulla trattativa con il governo egiziano.
Il punto di mediazione raggiunto è proprio sulla figura di Galloway che non potrà entrare a Gaza.
Questo il prezzo da pagare. Ma Galloway non ne esce certamente sconfitto, anzi, da questo meschino accanimento la sua personalità e il suo ruolo ne esce ulteriormente esaltato.
Si chiude il meeting, la folla si disperde, le emozioni sono forti. Il lavoro da compiere è ancora molto, l’Egitto continuerà a creare intralci e a provocare ritardi, ma forse l’obiettivo di rompere l’assedio e di entrare a Gaza è ormai vicino. E come ci ha ricordato il coordinatore dell’International Campaign to Break the siege on Gaza, ora occorre soprattutto armarci di pazienza.

ISM-Italia