Hamas e la resistenza, Hamas e i cristiani, Hamas e le donne
(la prima parte di questa intervista al quotidiano Al-Sabeel è stata pubblicata il 2 ottobre)
Hamas, allineamenti ed assi
In anni recenti, lo scenario arabo ha visto il crearsi di una serie di assi e allineamenti. Hamas è stato classificato da alcuni lungo l’asse del “rifiuto”. Come vede lei il fatto che questa situazione domini la scena politica araba? In che posizione si vede lei personalmente al riguardo? E ritiene che questa situazione sia a favore degli interessi della nazione?
Risponderò a questa domanda da tre angolazioni.
Prima angolazione: esiste un genere di raggruppamento riprovevole, ed uno degno di lode. Il primo è, ad esempio, un’assemblea convocata su basi razziali o seguendo idee nazionaliste ristrette per opporsi ad altri popoli. Questo genere di schieramenti invoca fattori di categorizzazione e di allineamento interno a livello del Paese o della nazione.
Ma se le persone si riuniscono per fare del bene, per sostenere il popolo palestinese, resistere il nemico sionista, sfidare la normalizzazione, resistere ai tentativi dei nemici d’infiltrarsi all’interno della nazione, affrontare l’egemonia americana e l’occupazione dell’Iraq e dell’Afghanistan e impedire che la nazione venga derubata delle sue ricchezze, tutto questo rappresenta la base per creare un raggruppamento degno di lode, che non può essere paragonato al primo.
Per questo, quando diciamo di essere a favore della resistenza, dell’adesione ai diritti palestinesi, del diritto al ritorno, della Palestina, di Gerusalemme e dei luoghi sacri della nazione araba, e dall’altra parte di rifiutare l’occupazione sionista e i diktat del nemico, si tratta di qualcosa di cui andiamo fieri. È questo il dovere della nazione. Dio Onnipotente dice: “Aiutatevi l’uno con l’altro nella giustizia e nella misericordia, e non cooperate nel peccato e nell’aggressione”. Riunirsi per questo tipo di collaborazione è quindi desiderabile, e non dovremmo aver paura di essere accusati di appoggiare uno degli assi, se questo è richiesto dal caso.
Seconda angolazione: non riteniamo che alcuna fazione araba o palestinese venga danneggiata dal nostro impegno alla resistenza o dal nostro rifiuto a sottometterci alle condizioni del Quartetto e del nemico, o al duo Israele-Usa, con la sua visione sulle colonie e il suo abbandono dei diritti palestinesi; [riteniamo] piuttosto che sia il nemico sionista [ad esserne danneggiato]. Coloro la cui agenda s’interseca con quella del nemico, o che soccombono a lui e approvano le sue parole sotto le sue minacce, contribuendo ad assediarci o incitando ad esserci ostili, si stanno concretamente opponendo alla missione della resistenza.
Ciononostante, non antagonizziamo nessuno del nostro popolo, e infatti non abbiamo formato un asse palestinese, arabo o musulmano contro un altro asse arabo o palestinese. Cerchiamo di raggiungere tutti, desideriamo comunicare con tutti e stabilire relazioni con tutti. Se si verifica una rottura o un congelamento delle relazioni con qualcuno, è stato questo qualcuno a scegliere tale rottura, o tale congelamento, e non noi. Tutti sono consapevoli di questo, perché noi ci mettiamo in contatto con tutti gli arabi – alcuni di loro rispondono positivamente, e altri no.
Terza angolazione: se era accettabile essere in disaccordo con la nostra politica e analisi della situazione quando l’accordo era in fase di prova e la gente stava pagando dei prezzi altissimi a causa della resistenza, è ancora accettabile oggi, dopo che l’accordo si è dimostrato un fallimento per il suo orizzonte politico ostruzionista e i suoi pesantissimi costi, di gran lunga superiori a quelli della resistenza?
Noi chiediamo a tutte le forze della nazione araba di riunirsi insieme a noi, come una nazione unita; quando il popolo subisce l’occupazione, il nostro ambiente naturale e la nostra priorità dovrebbero essere la resistenza. Quando subiamo un’aggressione, è naturale unire le forze contro di essa; e quando la nazione entra in una fase d’indipendenza, allora il nostro ambiente naturale e la nostra priorità sono la ricostruzione, il progresso economico e la rinascita culturale in tutte le sue dimensioni.
Oggi, la nazione araba dovrebbe rispondere alle sfide attuali e porsi nel suo ambiente naturale. Noi ci auguriamo che tutti vogliano restare in quest’ambiente, soprattutto considerando che hanno tutti già tentato, fallito e scoperto che scommettere sugli americani o su altri è inutile. Gli americani sono stati messi alla prova in Palestina, in Iraq e in Afghanistan, e prima ancora in Iran al tempo dello Shah, e i risultati sono stati scoraggianti. Noi suggeriamo agli Stati arabi e islamici: “La via più breve per mantenere i vostri regimi e persino le vostre cariche è quella di schierarvi al fianco della vostra nazione e delle scelte della gente”.
Le leadership arabe ufficiali si sono concesse molti esperimenti e tentativi di negoziare e raggiungere un compromesso. Il più recente di questi è l’Iniziativa di pace araba, con cui esse hanno mandato un messaggio chiaro e generoso sulla disponibilità degli Stati arabi di accordare benefici in cambio di concessioni provenienti dall’altra parte. Otto anni sono passati da quando questa proposta venne dibattuta, senza che né il nemico sionista, né l’amministrazione Usa, né la comunità internazionale abbiano mostrato il benché minimo rispetto – solo qualche frase di complimento.
Durante i nostri incontri con molti funzionari e leader arabi, continuiamo a domandare: “Dopo quest’esperienza, e dopo aver raggiunto un punto morto, non vale la pena fermarsi e cercare opzioni alternative?” Cercavamo anche di spiegare loro che ritirarsi dall’accordo sul piano delle colonie e dall’iniziativa araba non significava dichiarare guerra a Israele, cosa che oggi peraltro è impossibile. Un’altra opzione è quella di appoggiare la resistenza, in modo che la nazione possa riunirsi attorno a una scelta realistica e concreta, che si è dimostrata duratura e in grado di ottenere dei risultati, e che è destinata a sviluppare in modo significativo il proprio peso nel conflitto arabo-israeliano, soprattutto se trova sostegno.
Se fare ufficialmente guerra al nemico oggi è impossibile per lo squilibrio di forze, allora è difficile per la nazione araba – per come stanno attualmente le cose – intraprendere un programma bellico regolare contro Israele. Quindi lasciamo che l’opzione pratica e realistica sia la resistenza, che abbiamo sperimentato, che è riuscita a scacciare gli occupanti dal sud del Libano e da Gaza e che sta avendo effetti visibili anche in Iraq e in Afghanistan.
Per questo, siamo convinti che fare appello alla nazione araba e alle sue forze perché si allineino nel loro ambiente naturale non sia una teoria astratta o emotiva, ma che anzi si basi sulla scelta concreta sperimentata con successo. La nazione è in grado di farne uso a livello sia ufficiale che popolare, soprattutto dopo il fallimento dei negoziati e alla luce del disprezzo manifestato dai leader nemici di fronte a noi e del successivo tradimento degli Usa nei confronti non solo degli arabi e dei musulmani, ma anche dei propri amici e affiliati.
Hamas e i cristiani
Qual è il punto di vista di Hamas sui cristiani e sul loro ruolo nella causa palestinese?
Islam tratta i cristiani in maniera speciale rispetto alle altre religioni, come si legge nel versetto [coranico]: “Certamente scoprirai che, fra tutte le persone, i più ostili a chi crede sono gli ebrei e coloro che sono politeisti; e certamente scoprirai che, fra tutte le persone, i più vicini a chi crede sono quelli che affermano: ‘Siamo cristiani.’” Le relazioni storiche tra cristiani e musulmani hanno avuto uno status speciale nella storia fin dalla conquista della Palestina, quando il secondo califfo, Umar Ibn al-Khattab, ricevette le chiavi della città di Gerusalemme, dopo che i cristiani ebbero insistito che gli ebrei non vivessero con loro a Gerusalemme. Da allora in avanti, tra musulmani e cristiani si formò un rapporto speciale.
Oltre a ciò, la Palestina gode di uno status d’eccezione, in quanto terra di profeti e messaggeri di Dio, luogo di nascita di Gesù (pace su di lui) e della sosta notturna di Muhammad (pace su di lui) durante il suo viaggio. La Palestina è uno degli esempi più estremi di coesistenza e tolleranza fra tutti i credi. È una tradizione ereditata dai palestinesi – siano essi musulmani o cristiani – ed è risultata nell’evoluzione dei rapporti storici che vedremo.
Nei decenni passati, fin dagli anni Trenta, quando lo scomparso Hajj Amin al-Husayni patrocinò delle conferenze cristiano-musulmane, i fedeli di entrambe le religioni hanno avuto interessi comuni, e collaborato per affrontare sfide comuni. I palestinesi – musulmani e cristiani – erano nella stessa barca quando si sono trovati faccia a faccia con l’occupazione sionista. Questo è stato dimostrato dal ruolo dei nostri fratelli cristiani nella rivolta palestinese di allora, quando tutte le fazioni si unirono come un solo popolo.
Fin dalla formazione di Hamas, le relazioni con i fratelli cristiani sono state ordinarie e tranquille, e non ci sono stati problemi tra noi e loro. Questo, nonostante il fatto che alcune forze palestinesi, purtroppo, abbiano tentato di spaventare i cristiani con l’idea del nuovo Hamas, ricordando che è un movimento islamico e minacciando di promuovere il concetto di una contraddizione a loro avviso inevitabile tra il movimento e i cristiani. Simili tentativi d’intimidazione sono però falliti, e i cristiani hanno scoperto un movimento vicino a loro, che tratta ognuno con tolleranza, apertura e rispetto. Durante la seconda Intifada palestinese, il movimento ha preso in considerazione le specificità delle festività cristiane, ed ha prestato attenzione a che i giorni di sciopero non coincidessero con le ricorrenze e gli avvenimenti celebrati dai cristiani, allo stesso modo in cui ha fatto in modo di proteggere le loro proprietà. A parte questo, Hamas ha anche favorito un ruolo attivo da parte loro nella vita politica palestinese. I leader del movimento, sia in patria che fuori, hanno infatti organizzato diversi incontri con figure importanti della Palestina cristiana.
Per questi motivi, Hamas ha guadagnato un vasto sostegno tra i cristiani prima e dopo le elezioni legislative del 2006; molti di loro hanno votato per Hamas, e noi li abbiamo a nostra volta appoggiati a Gaza e in Cisgiordania. Ad esempio, Husam at-Tawil – cristiano – ha vinto [un seggio] a Gaza grazie ai voti di Hamas e dei sostenitori del movimento. Il numero di musulmani che votarono per lui era di diverse volte maggiore del numero dei voti non-musulmani – dato che il numero di cristiani nella Striscia è ridotto.
Ricordo qui, per la sua importanza simbolica, un episodio che accadde in un aeroporto. Un uomo mi si avvicinò, si presentò come palestinese, originario di Beit Jala, cristiano, e affermò di aver votato per Hamas e di non aver cambiato parere. Nessuno lo aveva obbligato a dirlo, e nessuno lo aveva spinto a fare quelle dichiarazioni; lo fece da solo, esprimendo quel che sentiva. Questo è un esempio dei buoni rapporti tra il movimento e i fratelli cristiani all’interno del nostro popolo.
Trattiamo i fratelli cristiani come una componente fondamentale del popolo e della patria, e come parte attiva nella lotta contro l’occupazione, senza considerare se abbiamo davanti un musulmano o un cristiano. Siamo insieme nello stesso paese, e ognuno ha diritti e doveri. Quando ricordiamo figure religiose che si sono distinte nella lotta del popolo di Palestina, ricordiamo, tra i musulmani, shaykh Raed Salah, shaykh Ikrima Sabri, e [tra i cristiani] il vescovo Atallah Hanna, il vescovo Capucci, e così via; siamo tutti uniti a difendere Gerusalemme e la nostra causa.
Hamas potrebbe aver sorpreso alcuni liberali e laici dell’ambiente palestinese che pensavano, o magari promuovevano anche l’idea che, in virtù della sua identità islamica, il movimento si sarebbe isolato, e che si sarebbe sviluppato un legame debole tra noi e i cristiani palestinesi. Quando le loro attese non si sono materializzate, sono rimasti stupiti: questo perché la religione non è isolamento e distacco; al contrario, la fede motiva le persone ad essere tolleranti, a rispettare gli altri e a riconoscere i loro diritti.
Hamas e le donne
I movimenti islamici sono spesso accusati di disprezzo nei confronti delle donne, e di marginalizzarne il ruolo nella vita politica e sociale. Come vede lei queste accuse alla luce della sua esperienza all’interno di Hamas?
Purtroppo, esiste un divario tra i veri concetti dell’Islam riguardanti le donne e le loro applicazioni più recenti. Si assiste a una messa in pratica e a un comportamento erronei, che risultano dall’arretratezza e non dai testi e dallo spirito della Shari’a.
Anche al giorno d’oggi, e nonostante il buon livello di progresso dei paesi arabi e islamici, ci sono ancora errori nell’applicazione [della Shari’a] che scaturiscono da molti costumi, tradizioni e concetti nutriti da certe situazioni e certi ambienti specifici, e non dai precetti dell’Islam in sé.
Alle donne, nei testi del Corano e negli hadith (i detti del profeta), vengono assegnati dei doveri, esattamente come agli uomini, e quando il Corano parla della Shari’a e delle sue disposizioni fa cenno a uomini e donne allo stesso modo, poiché ognuno ha le proprie responsabilità. Questo è evidente nelle parole di Dio Onnipotente: “I Credenti, uomini e donne, sono protettori gli uni delle altre e viceversa: essi impongono ciò che è giusto, e proibiscono ciò che è malvagio”, e “Giammai sopporterò di perdere l’opera di alcuno di voi, che sia maschio o femmina. Voi siete membri, gli uni delle altre e viceversa”. E, nelle parole del Profeta: “Le donne sono le metà gemelle degli uomini”. Esistono ancora altri versi coranici e hadith simili a questi.
La donna, nei concetti islamici di pensiero, giurisprudenza, mandato e ruolo, rappresenta proprio una metà della società, e le vengono accordati prestigio e rispetto nei suoi confronti. Esiste però un’enorme differenza tra il rispetto e l’apprezzamento per la donna e il suo giusto ruolo da una parte, e abusarne e presentarla come un bene a buon mercato come avviene nella civiltà occidentale dall’altra. Esiste una certa differenza tra il conservare la castità e la modestia della donna, salvaguardando i suoi diritti e al tempo stesso assegnandole un ruolo adeguato, e trattarla come un oggetto di piacere. Simili regolamentazioni etiche non sono solo islamiche; sono innate e umane.
Noi del movimento di Hamas, per quanto riguarda le donne, siamo per l’invocazione dei concetti islamici e della loro applicazione fedele, senza che li alterino anni di arretratezza o il peso di norme e tradizioni sociali prodotte dall’ambiente specifico e non dal testo religioso, soprattutto dal momento che l’ambiente palestinese non è un ambiente chiuso, ma storicamente civilizzato, e caratterizzato dalla pluralità e dall’apertura a tutte le religioni, le civiltà e le culture.
Secondo questa concezione pura e di ritorno alle origini, e per proseguire l’esperienza e la tradizione palestinesi, Hamas ha assegnato alla donna un ruolo particolare nelle proprie attività. Questo è venuto alla luce durante l’Intifada, nel corso della resistenza e in tutte le forme di lotta, e non si trattava solo del ruolo di madre, moglie e sorella dei militanti, ma anche di un ruolo di primo piano, nel portare avanti operazioni di guerriglia e di martirio, a sostegno dei fratelli e dei martiri, e nel fornire assistenza logistica. Vi sono anche sorelle che hanno accompagnato i combattenti in macchina fino al sito delle operazioni, come accadde in occasione dell’operazione Sbarro e di altre. Nelle carceri sioniste sono rinchiuse decine di sorelle che patiscono le sofferenze della prigione e pagano il prezzo del jihad combattuto fianco a fianco con i loro fratelli.
Il ruolo delle donne è significativo sia in Palestina che all’interno del movimento, sul lavoro come nel jihad e nella lotta, nel campo della beneficenza come nell’educazione, oppure nel lavoro politico e sindacale. La donna palestinese è istruita e colta, e la sua attività nelle scuole e nelle università non è inferiore a quella di un uomo.
In accordo con i nostri termini di riferimento islamici, l’identità culturale araba e lo specifico ambiente palestinese, le donne di Hamas occupano una posizione avanzata. Nell’azione politica, e prima che venisse creato il Consiglio legislativo, le donne svolgevano attività significative nel movimento studentesco palestinese e in vari sindacati; e quando Hamas partecipò alle elezioni legislative, le donne godevano di una forte presenza e occupavano una grande porzione delle nostre liste, così come nel governo formato da Hamas.
È vero che alcuni movimenti e gruppi islamici vengono criticati perché trascurano il ruolo delle donne, però siamo anche a conoscenza, dall’altro lato, di casi di depravazione e di comportamenti che infrangono le prescrizioni morali presso alcune forze e partiti laici. Hamas vuole sviluppare una visione moderata, che assegni alla donna il suo ruolo autentico, senza dissociarsi dai principi, i valori e l’etica dell’Islam, e allo stesso tempo liberandola dall’isolamento, dalla reclusione e dall’emarginazione. Sono convinto che abbiamo avuto successo in questo, grazie a Dio. Le donne rivestono anche un ruolo importante al livello organizzativo di Hamas, che cerca di sviluppare al meglio il loro ruolo e la loro partecipazione all’interno della struttura del movimento.
Fine seconda parte
La terza ed ultima parte verrà pubblicata nei prossimi giorni
da Memo (Middle East Monitor)