L’Afghanistan: la “casta” e la guerra
Avrete notato, vincendo il voltastomaco, a quali stratosferici livelli può giungere il cinismo (ci veniva da scrivere ipocrisia, ma ci pare inadeguato) della casta politica italiana. Ci riferiamo, come avrete già capito, alla messe di esternazioni venute giù a cascata dopo che quattro soldati italiani sono stati uccisi in combattimento dalla resistenza afghana. Mentre è evidente a tutti che l’Italia si trova invischiata, dopo quella contro la Jugoslavia, in una seconda guerra (che non riusciamo a chiamare altrimenti che imperialistica), Lorsignori, con una disgustosa faccia tosta, continuano a parlare di “Missione di pace”. Qui accanto segnaliamo una nota frase del nazista Goebbels, per il quale la propaganda era una forma d’arte, e non importa che questa racconti la verità. Citiamo anche il primo comandamento di Goebbels: «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità». A questo principio sembra si attengano strettamente i vertici della casta, quando, allo scopo di dare un qualche senso alla morte di quattro soldati, dicono che essi sono caduti per nobili scopi, primo tra tutti “portare la democrazia in Afghanistan”.
Ci sono tuttavia bugie le quali, più sono ripetute, meno sono credute.
Stucchevole il dibattito sorto dopo le dichiarazioni del nostro buffo Ministro della difesa, ovvero se dotare i caccia italiani di bombe ad alto potenziale per colpire i guerriglieri afghani. L’arte della propaganda… la questione di rafforzare il potenziale bellico dei soldati, ovvero la loro potenza di fuoco, è diventata, come ha detto Fassino, quella “.. di valutare il livello di sicurezza dei nostri soldati”.
Se i caccia italiani avessero potuto disporre delle bombe, si sarebbe potuto almeno sterminare i “talibani” i quali, dopo lo scoppio dello Ied che ha dilaniato il Lince, hanno fatto fuoco contro il convoglio Isaf —invece di chiedere aiuto agli americani, come in effetti è avvenuto questa come altre volte. Afferma La Russa: «Non ho sin qui voluto armare i nostri aerei di bombe perché in quel momento non era tatticamente indispensabile e nei rari casi in cui è stato necessario sono venuti gli aerei inglesi e americani a darci manforte». (LA STAMPA del 11 ottobre).
Questa nuova dotazione, cambierebbe la natura della “missione italiana”? La Russa risponde: «Io dico che non la cambia perché l’Italia ha usato le bombe sganciandole in Kosovo durante il governo D’Alema». Buffa autodifesa. Che l’Italia, oltre ad essere stata la portaerei USA contro Belgrado, abbia partecipato a numerse missioni offensive di bombardamento nel maggio 1999, non vuol dire che quella era una “missione di pace”, significa solo che anche quella era una guerra in pieno stile.
Tuttavia il nostro buffo Ministro si è spinto ancora più avanti. Nel suo temerario arrampicamento dello specchio ha affermato: «Se io lancio una bomba per difendere una colonna militare rimane una missione di pace. Non è l’arma che qualifica la missione ma il modo in cui la usi» (Ibidem).
Restiamo basiti da una simile logica. Stando alla lettera del nostro, anche nel caso si sganciasse una bomba atomica, questa non sarebbe un’azione di guerra. Ciò che conta è lo scopo, e se esso è quello di “difendere una colonna militare” mentre sta penetrando in profondità in territorio controllato dalla guerriglia, essa sarebbe dunque una “bomba di pace”. Fin dove ci si può spingere in difesa della democrazia e dei diritti umani!
In verità l’occupazione dell’Afghanistan corrisponde a ben precisi disegni strategici di controllo dell’Asia centrale da parte del blocco occidentale capeggiato dagli USA. Come sempre, poi, le forze imperiali (e imperialistiche), allo scopo di abbindolare l’opinione pubblica e portare consenso alla guerra, ne nascondono gli scopi effettivi e li camuffano con la panna montata della democrazia e dei diritti umani. Un travestimento, come mostrato dalle invettive rivolte a La Russa da parte di alcuni dei parenti delle vittime all’arrivo delle bare a Ciampino, a cui non abbocca più (quasi) nessuno.