Sulla reale funzione del vendolismo
Veniamo criticati perché non crediamo al racconto che ci propina Vendola, perché, oltre a definirla una mediocre narrazione, ci chiediamo quali siano le sue vere finalità. Ci viene rimproverato di essere “complottisti”. Quando mai? Semplicemente ci atteniamo alla massima: «Non giudicare mai nessuno da ciò che dice di se stesso».
Calato il sipario sulla kermesse fondativa di Sinistra Ecologia e Libertà (Sel) vale forse la pena trarne un bilancio, per capirne la rotta e immaginarne il probabile punto d’approdo.

Questa volta non vogliamo soffermarci sull’anfitrionico personaggio Vendola, sui suoi funambolismi concettuali (vedi il breve reportage della De Paolis), né sul fatto che se egli è potuto assurgere a protagonista della scena è anche grazie al fatto che il populismo è la modalità dominante della comunicazione politica italiana (vedi l’articolo “Il populismo imperfetto”). Non c’è alcun dubbio infatti che Vendola sia diventato  – grazie alla sua equilibristica eloquenza oratoria, sempre in bilico tra l’affabulazione e la demagogia, tra l’efficacia narrativa e la retorica – un dominus nel letamaio populistico. Questo è un aspetto che spiega il suo successo.

Il secondo è di segno opposto. Consiste nel fatto che la crisi sistemica non solo sta facendo rinascere l’antagonismo sociale, sta facendo risorgere un bisogno di alternativa di società. Forse che lo spettro del comunismo aleggerà nuovamente su questa valle di lacrime? Non c’è dubbio che Vendola abbia captato questo anelito al mutamento radicale, e se ne stia servendo come carburante per dare spinta al suo motore. Il problema, appunto, è quale sia la sua reale direzione di marcia, se occorra assecondarla o non invece contrastarla. Spiegheremo perché siamo per la seconda ipotesi, senza tuttavia commettere l’errore di considerare il consenso che Vendola va ottenendo come mera spazzatura di sinistrati decotti. Il grano va separato dal loglio.
 
Beninteso, il carisma, l’eloquenza, l’affabulazione, non sono difetti, ma armi preziose, e come per ogni arma l’essenza dipende dall’uso che se ne fa. Parafrasando Lenin, un bicchiere serve per bere, ma se te lo spacco in testa l’ho trasformato in un micidiale strumento d’offesa.

La De Paolis ha suggerito di chiamare Vendola Sua Eminenza, dal momento che il suo discorso conclusivo, programmaticamente vuoto, si è risolto in un’omelia in perfetto stile ierocratico, così che il congresso è stata null’altro che una celebrazione liturgica dell’intronizzazione del capo carismatico.

La domanda, per capire cosa Sel sia (tenendo presente che Sel non è la stessa cosa del vento sociale che spinge la sua barca) è: come mai la platea è andata letteralmente in visibilio? Come mai l’esultanza da stadio, malgrado Vendola abbia deliberatamente nascosto dietro ai fuochi pirotecnici i suoi profani intendimenti politici? Nonostante sia sfuggito in maniera addirittura indisponente alle sollecitazioni venute dal dibattito? Perché un consesso di militanti almeno in teoria abituati a ragionare in maniera critica ha osannato Vendola come un vate? Come un profeta, malgrado la disarmante piccolezza della sua promessa redentiva (“rappresentare l’Italia migliore”, sic)?

La risposta è forse in un’altra, sinistra ovazione, quella  riservata dall’assise ad Achille Occhetto. Roba da psicanalisi. Dal punto di vista politico tuttavia la celebrazione di Occhetto, sfigata figura che simboleggia il più grande suicidio di massa della storia moderna italiana, è un segnale chiaro, tanto più perché salito dalla pancia stessa del congresso: siamo in presenza, a più di vent’anni dall’89, al sordido desiderio compulsivo di fare tabula rasa del proprio passato, ad un vero e proprio cupio dissolvi anche delle ultime tracce del “secolo maledetto”. Sel è questo anzitutto: senso di colpa per l’essere stati comunisti e rimozione radicale dell’idea di rivoluzione. Di qui, da questo interminabile psicodramma collettivo, occorre partire per comprendere la fede nel profeta ritrovato da parte dei militanti di Sel; malgrado egli venga dopo la debacle di Fausto Bertinotti, derubricato a un Giovanni Battista, l’annunciatore rispetto al Messia finalmente disceso.

Il successo di Vendola ricorda il miracolo di Lazzaro. Egli, dopo aver contribuito alla disfatta dell’Arcobaleno, dopo aver spaccato il Prc (da cui se ne andò vomitando contumelie sui suoi ex-compagni); dopo che la sua successiva creatura politica era naufragata miseramente col distacco di verdi e socialisti; dopo lo scandalo della sanità pugliese; dopo le proteste di quasi tutta la Puglia ambientalista per la sua politica sporca sulle rinnovabili. Ebbene: egli è risorto malgrado tutto. Ma di miracolistico, a ben vedere, c’è poco. Non sarebbe rinato senza l’oceanico vuoto lasciato da  quell’ectoplasma del Pd, e in particolare del clamoroso errore tattico di D’Alema, convinto di poter seppellire il Messia in quel di Puglia. Non sarebbe rinato, infine, se la sua avanzata non fosse stata nell’interesse dei grandi media di regime.

Chomsky scrisse che “se un albero cade nella foresta e la Tv non lo riprende, è come se l’albero non fosse caduto”. Vendola ha facile gioco a pigliarsela contro la turpitudine delle tivù berlusconizzate, ma egli sa bene che deve la sua improvvisa popolarità proprio alla luciferina potenza del  sistema televisivo. Ed egli sa anche, se non è già preda del delirio di onnipotenza, che deve stare attento, poiché chi ha le tivù  fa presto a portarti dalle stelle alle stalle.

Non vogliamo dire che Vendola è stato inventato dai media, questo no. Ma che una volta scoperto l’hanno lanciato sul mercato con dosi massicce di spot, su questo non ci può essere dubbio.

Perché questa sponsorizzazione da parte dei media dominanti, non solo di quelli berlusconiani? E perché l’hanno voluto lanciare soprattutto dopo la vicenda di Pomigliano e le “allarmanti” contestazioni a Bonanni?

La ragione di fondo è che tutti e due i blocchi sistemici si sono resi conto che avere cacciato dal Palazzo la “sinistra radicale” (la crisi economica non era ancora sopraggiunta), si è rivelato un boomerang. Se privi l’antagonismo sociale di una rappresentanza istituzionale non elimini l’antagonismo, lo fai scivolare su posizioni ancor più radicali. Ecco quindi il dietrofront, e Vendola, almeno per adesso, si è rivelato la carta giusta, un mezzo per ingabbiare l’antagonismo latente, la camicia di forza con cui domare preventivamente le spinte sociali eversive.

L’esodo di popolo, anzitutto di quello di sinistra, dalle urne (quello che noi abbiamo definito salutare “Aventino popolare”), è stato il primo campanello d’allarme per il regime bipolare. Davanti all’incapacità del Pd di porre rimedio allo smottamento generale, a Vendola è stato dato mandato di recuperare l‘astensionismo di massa, di riportare milioni di cittadini al voto, ridando un minimo di credibilità e legittimità alle istituzioni, senza le quali la casta sa di essere fottuta.

L’appalto a Vendola di questa funzione di ammansitore, e a Sel di camera di compensazione e sfiatatoio dell’antagonismo sociale, non gli è stata data per caso. Gli è stata assegnata dopo preciso rito di iniziazione e dimostrazione di totale affidabilità politica. La totale affidabilità il nostro l’ha dimostrata e la dimostra come governatore di Puglia, nella maniera “impeccabile” con cui ha svolto e svolge la sua funzione istituzionale. Per quanto attiene al rito di iniziazione, esso consiste in un plurimo giuramento solenne: «Giuro sulla morte del comunismo, giuro sulla difesa della democrazia, giuro sull’osservanza della non violenza, giuro sulla mia fede in Santa Madre Chiesa; giuro sulla sacralità della vita umana; giuro sull’inviolabilità dello Stato d’Israele». Occhetto nemmeno era giunto a cospargersi fino a tal punto il capo di merda.

L’appalto a Vendola è stato poi concesso ad una precisa condizione: che egli avrebbe dovuto seppellire per sempre la falce e il martello, per essere precisi, avrebbe dovuto portare sino alle estreme conseguenze il suicidio arcobalenico, impedendo a chiunque di resuscitare un partito comunista. Di Lazzaro ce n’è uno soltanto.

L’ultima ragione che ha spinto grandi forze sistemiche e soffiare forte sulle vele del vendolismo ubbidisce ad un disegno politico più sottile ma complementare: quello di ripulire il Pd da tutto il sinistrume interno che ancora recalcitra alla definitiva trasformazione di questo partito nel principale referente politico della grande borghesia. Le contorsioni del Pd rispetto alla manifestazione Fiom sono state indicative. A maggior ragione a causa del tramonto del berlusconismo la borghesia necessità di un referente politico forte. In attesa che Casini o Fini ottengano la forza necessaria, al grande capitalismo è indispensabile un Pd come bastione politico sistemico. Questo lo vogliono ottenere prima possibile, non in un lontano domani (“quando saremo tutti morti”). Per cui, che il catalizzatore Vendola si porti pure via l’ala sinistra del Pd: è il repulisti che il capitale richiede. Tanto Vendola, così essi ragionano, più del 7-8 % non prenderà. Non quindi un Vendola a cui è concesso scalare con un’opa il Pd: egli deve accontentarsi di essere la quinta ruota del carro di un governo saldamente capitalista.

Si capisce dunque che il vento in poppa Vendola non l’avrà per molto tempo ancora. Egli punta tutto sulle elezioni anticipate, che renderebbero inevitabili le primarie di coalizione, e al massimo accetta di appoggiare un “governo di scopo”, eufemismo per dire ribaltone tattico per cambiare la legge elettorale.

Nel caso invece che la P1, ovvero il potere reale che sta nascosto dietro a quello virtuale, riesca a defenestrare Berlusconi e contestualmente a formare un nuovo governo che non sia solo tecnico ma che adotti una terapia d’urto anti-crisi (leggi anti-popolare), le azioni di Vendola calerebbero a picco. Si dovrebbe così “accontentare” di dare rifugio agli ultimi transfughi della diaspora piddina, cioè di un “partitino” solo un po’ più grande.

La partita è iniziata, con Vendola che pare convinto di potercela fare. Ai suoi sodali immaginiamo dirà: «Comunque vada a finire cadremo in piedi. Se non ci danno le primarie ci prenderemo un pezzo del Pd». Per questo, deludendo i più partitisti tra i suoi, nelle sue conclusioni, ha riconfermato quanto detto nel discorso di apertura, che Sel è un momento di passaggio, che «lo scopo è costruire la sinistra del XXI secolo, siamo un seme che deve far nascere un germoglio. Ma poi il seme muore e diventa altro, non restiamo attaccati al partito come se fosse un feticcio». Sel: il primo congresso o l’ultimo?

da Rivoluzione Democratica