Macelleria carceraria

Dal carcere di Spoleto

Amami quando lo merito di meno, perché sarà quando ne ho più bisogno
(Catullo)

Dall’inizio dell’anno i suicidi in carcere sono 55 … e nessuno ne parla.
Molte persone aldilà del muro di cinta si domandano perché molti detenuti si tolgano la vita.
Invece molti detenuti al di qua del muro si domandano quale motivo hanno per non  togliersi la vita.

La verità è che la morte in carcere è l’unica cosa che può portare un po’ di speranza, amore sociale e felicità,  perché quando ti togli la vita hai il vantaggio di smettere di soffrire.

Una volta il carcere era solo una discarica sociale,  ora è diventato anche un cimitero sociale.
E da un po’ di anni a queste parte la cosa più difficile in carcere non è più morire,   ma vivere.
I detenuti in carcere vengono controllati, osservati, contati, ogni momento del giorno e della notte,  eppure riescono facilmente a togliersi la vita.

Diciamo la verità: i detenuti non sono amati e non importa a nessuno se si tolgono la vita.
Ormai le persone perbene si voltano dall’altra parte,  mentre altri fanno finta di non vedere quello che vedono.
Diciamoci la verità: questo accade perché la grandissima maggioranza della popolazione detenuta è costituita da individui disperati, poveri cristi, immigrati, tossicodipendenti, disoccupati e analfabeti.
Persone di cui non importa a nessuno.
Eppure di questa “gentaglia”, di questa “spazzatura umana”  non andrebbe buttato via nulla,  perché con lo slogan “Tutti dentro” e “Certezza della pena” i partiti  più forcaioli vinceranno le prossime elezioni.

Nella stragrande maggioranza dei casi la morte in carcere è la conseguenza di un  comportamento passivo e omissivo dello Stato, che scaraventa una persona  in una cella, la chiude a chiave e se ne va. Eppure l’eutanasia in Italia è proibita. 
Lo Stato non fa nulla per evitare la morte in carcere, non per niente l’Italia è il Paese più condannato della Corte Europea dei Diritti Umani.

Carmelo Musumeci
Carcere Spoleto, ottobre 2010