Atomicamente previdenti

La lobby del nucleare al passaggio dal governo di B a quello delle 3M

C’è qualcosa di vagamente surreale nelle decisioni prese dal Consiglio dei ministri venerdì scorso. Ministri che litigano su tutto, la consapevolezza di essere alla frutta ma senza che vi sia nessuno in grado di promuovere un “25 luglio”, un provvedimento contro la prostituzione proprio in pieno “caso Ruby”. A coronamento di questa situazione di sbando le cronache riportano questo commento di Tremonti: «Inutile che vi affatichiate troppo, tanto il governo dura fino a dicembre». (Repubblica online, 6 novembre)
Eppure, in quel marasma, una decisione il governo l’ha presa: quella di nominare il Consiglio direttivo della costituenda Agenzia per la sicurezza del nucleare, un organismo che dovrebbe accompagnare le prossime tappe del ritorno dell’energia atomica in Italia.

Se il governo Berlusconi ha avviato il nuovo progetto nucleare, la lobby che si appresta a specularvi sopra (Enel in primo luogo) non vuole correre il rischio che tutto vada perso con la sostituzione del Cavaliere con quello che qualcuno ha definito come il governo delle 3M (Marchionne, Montezemolo, Marcegaglia). Che tale sostituzione avvenga tramite il super-annunciato ribaltone, oppure attraverso un passaggio elettorale, è questione in questo caso secondaria. Quel che conta è l’elevata probabilità che Berlusconi debba lasciare presto Palazzo Chigi.
Ecco allora spiegata la fretta di mettere al suo posto un altro tassello della strategia nuclearista: che il governo cambi pure, ma che ciò non significhi la fine del progetto impostato da Scajola.

C’è un particolare, già annunciato in estate ma non per questo meno significativo, che mette in luce il lavorio bipartisan del partito dell’atomo: la nomina a presidente dell’Agenzia di Umberto Veronesi, che oltre ad essere un famoso oncologo è anche un senatore del PD.
Insieme a due tecnici (Maurizio Cuomo e Marco Enrico Micotti), ad un rappresentante del Ministero dell’Ambiente (Michele Corradino) ed al magistrato “antiterrorismo” Dambruoso (!), Veronesi dirigerà un’agenzia di yes man, di assoluta fede nuclearista, totalmente incapace di fronteggiare (ammesso e per niente concesso che lo si volesse fare) colossi come Enel ed Edf. Un’agenzia che servirà soprattutto nel campo della propaganda. E questa sarà la vera funzione assegnata al volto televisivamente noto di Umberto Veronesi.

Le verità sul nuovo nucleare dell’ex ministro nuclearista

Per una strana coincidenza, la nomina di Veronesi è stata preceduta (Corriere della Sera, 4 novembre) da un’interessante intervista dell’ex ministro dell’industria (governo Dini, 1995-1996) Alberto Clò. 
Clò è stato un convinto sostenitore del nucleare. Si oppose al referendum del 1987 e cercò di rilanciarlo, senza successo, da ministro. Ancora oggi si dice, in linea di principio, a favore dell’energia atomica. Tuttavia, forse anche per il suo attuale ruolo di consigliere dell’Eni, nelle risposte a Massimo Mucchetti enuncia di fatto alcune verità che mettono in luce la natura meramente speculativa del piano nucleare italiano.

Clò afferma che questo piano non è realistico, che nel mondo il nucleare tende a declinare, che i costi sono ben superiori a quelli annunciati, che l’energia è terreno fertile per gli speculatori. In particolare egli sviluppa quest’ultimo punto, con un illuminante parallelismo tra le garanzie che oggi vengono offerte alle aziende potenzialmente interessate alla costruzione degli impianti (Enel, Edf, A2A, E.on) e l’incredibile finanziamento pagato dai consumatori ai produttori (Enel in primis) con il famigerato Cip 6, che portò nelle casse di questi ultimi la bazzecola di 40 miliardi di euro.

Il piano nucleare è credibile? Ecco la risposta dell’ex ministro: «Troppe irresponsabilità, bugie, ignoranze. E siccome le prospettate 8-10 centrali costano, bene che vada, 40-50 miliardi, temo non si vada da nessuna parte». E sui costi, confermando quanto abbiamo avuto già modo di scrivere (vedi Nucleare: Tremonti raccoglie il “testimone” di Scajola?), Clò sottolinea che: «Scommettono sulle centrali Epr realizzate in Finlandia o in Francia da Areva per poi scoprire che i costi lievitano da 3 a 5-6 miliardi di euro».

Clò, nell’affermare che il nucleare non è mai stato economicamente competitivo, e che quando si è affermato ciò è sempre avvenuto grazie agli aiuti di Stato, si sofferma sulla tendenza al declino dell’atomo  come fonte primaria per la produzione di energia elettrica, un altro tema di cui ci siamo più volte occupati.
«Il nucleare tende a declinare: dal picco del 2000, quando assicurava il 16,8% della produzione elettrica mondiale (pari a circa il 6% dei consumi energetici totali – ndr), scenderà al 10% nel 2030». Questa di Clò è una previsione ancora più sfavorevole (e certamente più realistica) di quella avanzata dalla IEA, che comunque non va oltre ad una tendenza alla stagnazione dell’energia atomica. 
In questo quadro di evidente difficoltà, è abbastanza pittoresco che l’Italia ambisca ad arrivare ad un 25% di energia elettrica prodotta dalle centrali atomiche che si vorrebbero costruire.

Speculazione non mercato

Perché allora insistono su questo obiettivo? Ma perché la propaganda è assolutamente necessaria per mettere a segno l’ennesima speculazione ai danni di chi paga la bolletta.

E questa è la sostanza che emerge dalle risposte dell’ex ministro dell’industria. A Mucchetti che definisce «Il Cip 6 (1), una scandalosa regalia ai soliti noti, come dicono molti politici», Clò risponde che: «Lo dicono adesso, a babbo morto, ma nel 1995 fui costretto a inserirlo, pur mitigato, nella legge che istituiva l’Autorità per l’energia per la pressione congiunta di centro, sinistre, Lega, Forza Italia in nome di una liberalizzazione che addossò ai consumatori costi per 40 miliardi di euro col rischio che la storia si ripeta»

Dove sta questo rischio – in realtà una certezza – riguardo al nuovo piano nucleare è presto detto: «Il decreto legislativo dello scorso febbraio stabilisce la copertura assicurativa e finanziaria dello stato in caso di ritardi non imputabili all’operatore. Prima la limitava  a decisioni politiche. L’innovazione può essere molto gravosa per le finanze pubbliche ove si pensi che, nel mondo, i tempi di costruzione sono stati fin qui doppi del previsto. E’ stata inoltre garantita la priorità nel dispacciamento come per le fonti rinnovabili. Vi è poi una non esplicitata richiesta di garanzia sui prezzi di cessione dell’elettricità a livelli, temo, superiori a quelli correnti, per rendere finanziabili i progetti».
In sintesi, lo Stato pagherà nel caso di ritardi nella costruzione delle centrali, le aziende produttrici di energia nucleare avranno diritto a vendere tutto il quantitativo di energia che vorranno, alla faccia del mercato, e ciò avverrà presumibilmente a prezzi superiori a quelli correnti.

Abbiamo dunque un gigantesco caso di foraggiamento con denaro pubblico degli oligopoli del settore, al massimo 2-3 aziende, che non ancora contente di questa ruberia cercheranno anche di far lievitare i prezzi scaricandoli sui consumatori. Altro che mercato! Altro che concorrenza! Altro che liberalizzazione bersaniana!
Ed ecco spiegato il perché di tanta insistenza sull’assurdo ritorno al nucleare. Ovviamente, nella lobby non ci sono soltanto le aziende citate. C’è anche un vasto indotto, con annesso giro di tangenti che fa gola a molti.
E ancora una volta, ottenendo l’atto estremo di un governo moribondo, costoro si sono dimostrati atomicamente previdenti. Probabilmente non gli basterà a mandare in porto i propri progetti, ma, attenzione, la lobby non si arrenderà tanto facilmente.

(1) Il Cip 6 è un provvedimento, adottato dal Comitato interministeriale prezzi nel 1992, che in teoria avrebbe dovuto incentivare (con prezzi di favore) le energie rinnovabili. Invece, grazie ad un dispositivo truffaldino – incentrato sull’ambiguo concetto di “fonti assimilabili” – il Cip 6 ha finito per incentivare la produzione di energia elettrica con combustibili fossili e gli inceneritori, per l’occasione ribattezzati “termovalorizzatori”. Alle vere rinnovabili il Cip 6 ha destinato solo il 10% della montagna di denaro (40 miliardi di euro) regalati in 18 anni ai colossi dell’energia.