Distrutto il campo di Gdeim Izik, morti e feriti a Al Aaiun

Sono entrati alle prime luci dell’alba con le armi spianate, muniti di lacrimogeni e in tenuta anti-sommossa. Hanno dato fuoco ad alcune tende ed esortato con i megafoni le persone all’interno a uscire dal campo. Poi si è scatenato l’inferno: negli scontri che sono seguiti tra gli occupanti sahrawi e l’esercito marocchino, ci sarebbe un numero imprecisato di vittime. Secondo il Fronte Polisario i morti sarebbero tredici, mentre altre fonti dal campo parlano di quattro persone uccise. Rabat conferma la morte di tre suoi soldati e nega che ci siano stati morti nello sgombero della tendopoli. I feriti sarebbero innumerevoli. Le informazioni e le smentite si susseguono senza sosta, senza riuscire a stabilire un bilancio definitivo.

Così è finita nel sangue l’esperienza della tendopoli di Gdeim Izik, dove dal dieci ottobre scorso erano riuniti ventimila sahrawi per protestare contro la mancanza di diritti cui sono sottoposti ad opera dello stato marocchino nella parte occupata del Sahara occidentale. Un campo di ottomila tende che aveva rappresentato una protesta unica nel suo genere negli ultimi trentacinque anni, da quando cioè Rabat ha preso possesso dell’ex colonia spagnola.

Dopo aver circondato il campo ed eretto un muro tutto intorno, ieri i marocchini hanno lanciato l’intervento finale, per porre fine a questa manifestazione che stava avendo troppa eco sulla stampa internazionale e che stava mettendo in imbarazzo anche la monarchia.

Già domenica molti segnali facevano capire che il peggio si stava per consumare: l’esercito di Rabat aveva chiuso l’unico varco d’accesso e bloccato l’ingresso per diverse ore a tutti i sahrawi che volevano recarsi al campo. Ha impedito l’arrivo ad Al Aaiun, capitale amministrativa del Sahara occidentale, a diversi giornalisti e simpatizzanti stranieri. Ha perfino rimandato in Spagna, senza permettergli di uscire dall’aereo proveniente da Gran Canaria, l’euro-deputato di Izquierda unida (Iu) Willy Meyer. Tre giornalisti delle Canarie che viaggivano sullo stesso volo sono stati malmenati a bordo da gendarmi marocchini, prima che il comandante costringesse questi ultimi a scendere dall’aereo.

Lo smantellamento di Gdeim Izik arriva ad appena due giorni dal discorso pronunciato sabato del re Mohammed VI in occasione del trentacinquesimo anniversario della «marcia verde», ossia dell’invasione da parte dei coloni marocchini del territorio del Sahara Occidentale. «Non tollereremo provocazioni», ha asserito il re, facendo chiaro riferimento alla tendopoli di Gdeim Izik e mostrando poi la disponibilità a venire incontro alle richieste socio-economiche degli organizzatori di questa tendopoli, che per il momento si sono limitati a chiedere il diritto allo studio, al lavoro, all’alloggio, senza pronunciare esplicitamente la parola «auto-determinazione».

Nel suo discorso, il re ha agitato il bastone e la carota, anche se per il momento ha utilizzato solo il primo. Mohammed VI ha poi accusato l’Algeria, il nemico di sempre, di essere l’organizzatore occulto di questa protesta dei sahrawi.

Subito dopo lo sgombero di ieri mattina, la battaglia si è spostata ad Al Aaiun. Qui migliaia di sahrawi hanno bruciato copertoni ed eretto barricate in tutta la città. Come risposta, l’esercito marocchino ha scatenato una repressione feroce: ha cominciato a cercare i militanti sahrawi casa per casa, buttando giù le porte e arrestando centinaia di persone. L’attivista Enaama Asfari, intervistato da questo giornale la settimana scorsa nel campo di Gdeim Izik, è stato arrestato, torturato brutalmente fino a fargli perdere i sensi ed è al momento piantonato all’ospedale. Le notizie che arrivano sono frammentarie. Le comunicazioni con la città di Al Aaiun sono interrotte. I telefoni risultavano per tutto il pomeriggio di ieri spenti o non raggiungibili.

Tutto ciò accade mentre a Manhasset, vicino a New Yrok, dovrebbero ripartire i colloqui diretti tra Marocco e Fronte Polisario per una soluzione del conflitto nel Sahara Occidentale. Colloqui che partono sotto i peggiori auspici.

dal manifesto del 09/11/2010