Brevi riflessioni sul movimento «Alternativa»
Mi auguro che a Giulietto Chiesa non gli pigli un attacco di orticaria venendo a sapere che mi occupo per la seconda volta di lui. La prima volta che lo feci, scrivendo l’articolo «Arcana Mundi 2. O del complottismo», mi rispose al vetriolo con un pezzo dal titolo iperbolico: «Micidiale attacco a Giulietto Chiesa da parte del Campo Antimperialista». In verità non volli portare alcun “attacco micidiale”, solo spiegare il mio dissenso rispetto alla visione del mondo dei complottisti, di cui mi occupai in un altro articolo già pochi mesi prima. In tutti e due i casi ricevetti risposte rabbiose. E’ un fatto: quando ad un complottista gli metti in discussione il paradigma della Conspiracy, è come quando ad un prete gli contesti il dogma trinitario. Non è di questo che voglio parlare questa volta, ma della presunta desuetudine della dicotomia destra sinistra, che sarebbe oramai destituita d’ogni fondamento e che il movimento di Chiesa ha assunto come proprio principio cardinale.
Giulietto Chiesa annunciava la necessità di un nuovo soggetto politico nel gennaio 2010, con un Manifesto dal titolo impegnativo: «Una centuria di volontari per l’Alternativa». La proposta prese forma il 17 aprile 2010, quando si svolse a Roma la I Assemblea nazionale del nuovo movimento, denominato appunto Alternativa. Ne scrivemmo pochi giorni dopo su questo blog. Chiesa, nella sua interminabile introduzione, indicò la necessità del definitivo superamento della dicotomia destra-sinistra, che venne infatti assunto come principio costitutivo. Nella sua relazione fiume Chiesa svolse l’encomio delle tesi in merito sviluppate da Marino Badiale e Massimo Bontempelli.
Con la presenza di una cinquantina di militanti (come si evince dal Verbale della II Assemblea Nazionale), Alternativa celebra quindi a Genova, il 30 e 31 ottobre, la sua seconda Assise nazionale, la quale da una struttura al nuovo movimento e approva uno Statuto (sul quale torneremo).
Un resoconto della seconda assemblea di Alternativa, (che ha eletto Chiesa presidente e Marino Badiale segretario) ce l’ha fornito Miguel Martinez. Che fine ha fatto la tesi complottista? Non era per Chiesa un criterio non negoziabile? L’impressione è che Chiesa, l’abbia per il momento, allo scopo di aggregare quante più forze possibili, riposta nel cassetto. E’ certo sintomatico che il Martinez, presente alla riunione, nel suo resoconto, si sia sentito in dovere di precisare prudenzialmente.(1)
La relazione introduttiva di Chiesa sacramenta il sodalizio, che è di tutta evidenza la cifra di Alternativa, con Marino Badiale a Massimo Bontempelli. La relazione insiste infatti non solo sulla scomparsa delle dicotomia destra sinistra, ma sull’accoglimento della decrescita (per il vero in forma quando mai generica; di decrescita ne esistono molte varianti), assunto come secondo paradigma programmatico del nuovo soggetto politico.
Diversi compagni ci hanno chiesto un giudizio su Alternativa. Forse è presto per darne uno definitivo. Siamo in presenza di un cantiere aperto, suscettibile, in tempi tumultuosi come quelli in cui stiamo entrando, di evoluzione e di approdi imprevedibili, sia in fato di prese di posizione che di alleanze. Degno di nota che l’Assemblea di Genova abbia deciso di «presentare liste alle prossime elezioni amministrative ovunque sia possibile», una via certa, riteniamo noi, per suicidarsi prematuramente.
La natura programmatica e la sostanza, diciamo così, ideologica di Alternativa, sono ben espresse nel Titolo primo dello Statuto.
Leggiamo:
«-Paragrafo 1 dei Principi
a) Impegno collettivo per promuovere, diffondere, sostenere gli ideali della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e nella iniziativa per la difesa e la realizzazione della Giustizia come espressi nella Costituzione Italiana.
b) la difesa del diritto alla vita e alla dignità dei popoli, alla cultura e al sapere, alla lotta contro le disuguaglianze, al rispetto della storia dei singoli e delle collettività.
c) alla difesa dello Stato di Diritto come forma ottimale della convivenza civile, contro ogni forma di sopraffazione dell’uomo sull’uomo, di uno Stato su altri, contro la sopraffazione della maggioranza contro le minoranze, siano esse politiche, o etniche, o religiose, o di genere, o culturali. La solidarietà umana è principio supremo, che dovrà sostituire la concorrenza tra individui e popoli.
– Paragrafo 2 dei Principi
b) La consapevolezza che l’umanità si trova di fronte a una svolta epocale, determinata dall’impossibilità di proseguire uno sviluppo distruttore delle risorse del pianeta, quale è stato quello degli ultimi tre secoli. Ciò che si annuncia è la fine della società umana come la conosciamo e l’avvio di una transizione verso una società radicalmente diversa, dove tutte le relazioni sociali saranno dettate dalla limitatezza delle risorse disponibili e dalla necessità di un loro uso in termini di sostenibilità, di solidarietà e di reale democrazia.
Alternativa si pone il compito di diffondere questi concetti, di contribuire a organizzare un movimento consapevole di comunità e popoli, capace di affrontare, senza guerre, le difficili tappe di questa transizione inevitabile. Per garantire una tale transizione pacifica sarà necessario costruire una nuova architettura delle istituzioni internazionali. Per questo il carattere internazionale di Alternativa si pone come indispensabile».
Ogni persona dotata di un minimo di coscienza politica, sarà in grado di tirare, da queste asserzioni programmatiche, quale sia la natura del movimento di Chiesa.
In barba alla presunzione di stare oltre la destra e oltre la sinistra, abbiamo qui un distillato chimico di sinistrismo post-moderno.
A parte l’analisi catastrofistica (come mai nello Statuto ci si guarda bene dal segnalare la decrescita come sola alternativa?), siamo in presenza di quel sinistrismo moderato e anti-marxista diventato pressoché egemone a sinistra dopo il 1989. Un sinistrismo liberal-democratico, assiologicamente bobbiano (neokantiano se volete). Un sinistrismo che respinge la metastasi conclamata del Partito Democratico, ma ne accetta sostanzialmente i postulati concettuali originari, ai tempi del PDS occhettiano, tra cui la più radicale rimozione del principio della lotta di classe. Non più il manifesto del Partito Comunista di Marx, ma “gli ideali della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite“. Non più l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma quella della “sopraffazione” del forte sul debole. Non più l’eguaglianza sociale ma la giustizia. Non più il socialismo ma la solidarietà. Non più la rivoluzione sociale bensì una “transizione pacifica“… ad una “nuova architettura delle istituzioni internazionali“. Non Gramsci insomma, e nemmeno Gobetti, ma Rosselli e Giustizia e Libertà (per la verità nemmeno questi).
E’ quest’operazione legittima? Certo che lo è, ma allora che si dicano onestamente le cose come stanno, invece di spacciare per nuovo ciò che nuovo non è affatto. Non è la sinistra in quanto tale che Alternativa si lascia alle spalle dunque, ma il marxismo, ovvero la sinistra che è stata egemone nell’arco di un secolo e mezzo.
Qualcuno potrebbe obiettare che Chiesa e Badiale respingono recisamente l’idea di progresso, e siccome quest’idea era costitutiva della sinistra, in questo senso compiono una rottura radicale con la sinistra medesima. Obiezione giusta fino ad un certo punto. Vero è che il marxismo fece sua l’idea di progresso, con tanto di mito dello sviluppo delle forze produttive e della missione “rivoluzionaria” della borghesia. Occorre liberarsi di questo mito? Certo che sì. Ma da qui a gettare alle ortiche il marxismo in quanto tale ce ne corre! La teoria marxista, con tutte le sue discrepanze e ambivalenze, non può essere ridotta a fianco sinistro del “progressismo”. E’ proprio questa riduzione, essenzialmente, a giustificare il cosiddetto superamento della dicotomia destra sinistra, dove per sinistra si intendono i seguaci del progresso ininterrotto e del mito della modernità, con tutto il suo ciarpame tecnologico, mentre per destra, dai romantici in poi, si intendono i passatisti, i conservatori, i nostalgici spiritualisti delle comunità precapitalistiche.
Di qui l’idea che se uno prende da destra, dai tradizionalisti alla De Maistre, l’attacco alla modernità e al progresso, e da sinistra le idee di solidarietà e giustizia, avremmo superato la dicotomia. Invece è solo compiuta un’ibridazione, un impossibile salto all’indietro pre-giacobino.
Per quanti sforzi si facciano non si può più cancellare la storia universale moderna, né si può rimuovere l’impronta che su di essa ha lasciato il marxismo (tanto indigesta ai più, compresi i seguaci del superamento della dicotomia). Cosa, in buona sostanza, ci ha lasciato in eredità questa storia? Qual’è questa traccia indelebile? Che le società sono divise in classi fondamentali, che queste classi sono in una lotta incessante, che ci sono gli oppressi e gli oppressori, gli sfruttati e gli sfruttatori. Per quanti sforzi abbia fatto il pensiero post-moderno, quello che pretendeva che la lotta emancipatrice degli oppressi fosse solo una “grande narrazione” morta, resta indelebile nel senso comune, pur nascosta nei suoi recessi, la consapevolezza che sinistra è stare dalla parte degli oppressi, con la lotta emancipatrice di questi ultimi. E lo stesso senso comune popolare, spesso ben più solido di tante fumisterie filosofiche, intende per destra chiunque si schieri dalla parte avversa, da quella delle classi dominanti.
Che l’Occidente degli ultimi decenni abbia conosciuto un sodalizio tra le classi (sulle cui cause qui sorvoliamo), che il proletariato abbia deposto le armi e sia stato ridotto in poltiglia sociale, questo è vero; e ciò spiega, sia il cupio dissolvi di tanti intellettuali ex-marxisti frustrati e disillusi, sia la tesi del superamento della dicotomia.
Lasciate che questa crisi storico-sistemica del capitalismo faccia il suo corso. Lasciate che la classe dominante si riprenda tutto quanto aveva dovuto concedere. Lasciate che il capitale si spogli della sua maschera e si manifesti in tutta la sua mostruosa potenza reazionaria. Poi vedremo se la lotta di classe è finita, e vedremo di conseguenza, ovvero in base a questa lotta furibonda, chi starà a destra e chi a sinistra.
Avemmo modo di dire queste cose ad un compagno, Costanzo Preve, che per primo, nel momento in cui infuriava contro di noi e contro di lui la campagna di fango “rossobrunista”, e con ben più solidi argomenti, teorizzò il superamento della dicotomia. Preve sosteneva già un decennio fa, che con il 1989 si poneva fine per sempre al ciclo storico iniziato con la grande Rivoluzione francese, e che quindi le categorie storico-politiche di destra e sinistra fossero ormai defunte. Di recente Preve è tornato, con la solita arguzia, su questa diatriba, in particolare in polemica con Losurdo (discussione sulla dicotomia destra-sinistra). Non ci convinse allora, continua a non convincerci oggi.
Non nei prossimi secoli, ma nei prossimi anni, vedremo chi aveva avuto e chi ha ragione. Vedremo se esiste una terza via, né di destra né di sinistra, oppure se la sola alternativa alla catastrofe che il capitale prepara prenderà forma come socialismo. Poiché questo infine volevamo dire, che il discrimine che il periodo in cui entriamo riforgerà nel fuoco del conflitto sarà tra rivoluzione socialista o barbarie capitalista. Tutti i tentativi di scappare da questa “dicotomia” saranno vani e, quel che è peggio, deleteri.
Note
(1) «Quello dell’11 settembre è un tema curioso, che suscita passioni tremende. Non parlo di quelle legittime riguardanti i morti nella strage, bensì il groviglio di dubbi riguardanti ciò che è successo. Anche accennare al tema porta sempre con sé una valanga di commenti: da una parte, persone che ti chiedono, “ma allora come mi spieghi il fatto che al quindicesimo piano della seconda torre quel giorno la quarta porta a sinistra fosse chiusa a chiave?” e dall’altra, sghignazzanti cinici che confondono questo tipo di domande con cose come i rettiliani di David Icke. Riassumo quindi la mia posizione personale (sapendo di scatenare così la rissa che vorrei evitare): non so perché quella porta era chiusa a chiave e non voglio dedicare il resto della mia vita a scoprirlo; non confondo chi pone domande sull’11 settembre con chi crede ai rettiliani. Ritengo lecito mettere in dubbio la versione ufficiale. Però non voglio entrare nel dibattito tecnico-tecnologico che sembra occupare il 90% della discussione sull’11 settembre. Perché sono laureato in lingue orientali e non in ingegneria. Penso che, quando può impunemente manipolare i media, un gruppo di potere non correrebbe tutti i rischi che richiederebbe l’organizzazione di un autoattentato di quella portata; e mi sembra difficile che la stessa cricca, se non è riuscita a mettere una sola “arma di distruzione di massa” nel remoto Iraq, militarmente occupato, abbia potuto preparare un autoattentato al centro di New York. Mi posso sbagliare, ovviamente, ma ho il sospetto che le contraddizioni che compaiono nella versione ufficiale siano dovute soprattutto alle dimensioni di ciò che è successo: basta pensare alla fretta, alle incomprensioni, ai ricordi falsati e confusi, alle infinite piccole magagne che la gente ha da nascondere».