Dopo aver incassato il rifiuto di quasi tutti gli stati africani, il comando degli Stati uniti per l’Africa sembrava essere destinato a rimanere a Stoccarda, in Germania. Di fatto, continua ad essere molto presente e attivo nel continente africano. AFRICOM, sotto la copertura dell’aiuto umanitario, lotta al terrorismo e mantenimento della pace, si sposta in un crescente numero di paesi dove conduce manovre militari, programmi formativi e di assistenza.

Questi movimenti vanno in parallelo alla diminuzione della presenza della Francia nella sua vecchia area d’influenza. In mancanza di una vera e propria base dove collocarsi, AFRICOM è stato ripensato come strumento che consiste in una trama di piccole installazioni intorno alla base americana di Gibuti. Dispone di una forza permanente di circa 1.800 uomini. Per le emergenze, dispone di una base navale in Kenia e altre due in Etiopia.

La rete si sta estendendo in Africa equatoriale con la presenza a Kisangani, nel cuore di Ituri, Provincia orientale, Repubblica democratica congolese (RDC). “Si tratta di formare un esercito più professionale, che rispetti l’autorità civile e garantisca la sicurezza del popolo congolese. Ciò che facciamo qui come in altri luoghi d’Africa, d’accordo con i governi sovrani, è nell’interesse dei popoli. Agli USA e alla comunità internazionale interessa che il popolo congolese viva in pace ed abbia la possibilità di un futuro migliore”, diceva il generale William Ward.

Un ritornello ben noto. Tutti sanno che l’attivismo militare nordamericano non è garanzia di sicurezza. La collaborazione fra USA ed Etiopia ha raggiunto i suoi fini militari, ma ha generato una delle peggiori crisi umanitarie in Somalia. A Ituri, vittima di un conflitto interetnico dal 1999, che ha già fatto 50.000 morti e 50.000 sfollati, l’ingerenza americana ha buone probabilità di aggravare la situazione. E’ questa la paura che sta dietro il rifiuto degli stati africani di ospitare la base di AFRICOM. Dovrebbe essere l’Unione africana ad assumersi l’impegno del mantenimento della pace e della lotta contro il terrorismo.

Ma la vera ragione della presenza di AFRICOM in Congo e in altri posti dell’Africa è il petrolio. Lo aveva già detto senza reticenze un ufficiale del generale Ward nel febbraio 2008: proteggere la libera circolazione delle risorse naturali dell’Africa verso il mercato globale è uno dei principi di fondo di AFRICOM. Il rifornimento petrolifero degli Stati uniti e il problema della crescente influenza cinese sono le sfide più importanti agli interessi statunitensi. Pur se la preoccupazione degli USA è condurre una guerra contro il terrorismo planetario, la creazione di un comando specifico per l’Africa spiega la natura dell’implicazione nordamericana nel gioco delle grandi potenze riguardo ai mercati africani. AFRICOM ha come finalità prioritaria quella di garantire il rifornimento petrolifero africano agli Stati uniti, per non dipendere troppo dal Medio Oriente.

La base di Gibuti permette il controllo della rotta marittima da cui transita un quarto della produzione mondiale petrolifera e il dominio della fascia petrolifera che attraversa l’Africa fino al Golfo di Guinea, dopo aver attraversato il Ciad e il Camerun. Un nuovo sito in Uganda fornisce agli Stati uniti la possibilità di controllare il Sud del Sudan. Le zone di Nigeria, Gabon, Guinea e RD Congo, ricche di petrolio e di gas sono nel mirino USA.

La Provincia orientale del Congo è in ebollizione, e tra le multinazionali desiderose di ottenere le concessioni per lo sfruttamento e lo stato congolese sono già nate della questioni. Sotto l’ombra di AFRICOM, gli americani sono lì per il petrolio e i minerali, vitali per l’industria elettronica e informatica. Dopo essersi accaparrati i minerali del Katanga, dove un consorzio sfrutta più della metà delle risorse minerarie, e dopo essersi assicurati il controllo di quelle del Kivu, Washington ora vuole il pezzo più grosso della torta, il petrolio di Ituri e per estensione, dei Grandi Laghi.

 
Fonte: http://www.fundacionsur.com/spip.php?article7422
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare