La globalizzazione ha trasformato l’India in una miniera d’oro per le società multinazionali. Il centinaio di corporate families che decide del destino di un miliardo di persone ha distrutto qualsiasi barriera al flusso di capitale – per amore dello sviluppo, sostengono loro.

Principalmente nell’area ricca di minerali nel Sud-Est, il governo ha dato in concessione ampie zone alle compagnie minerarie e alle industrie pesanti, con contratti da decine di miliardi di euro. Le compagnie si dedicano alla spoliazione delle ricche risorse locali, lasciando in cambio nient’altro che inquinamento e impoverimento.

Si dà il caso però che sui terreni che esse sfruttano vivano persone, prive perlopiù di titoli di proprietà: gli Adivasi (parola Hindi che indica i nativi). Sono i più poveri tra i poveri, esclusi dal sistema castale come gli intoccabili (Dalit), ma, diversamente da questi ultimi, residenti in zone precedentemente isolate, nelle giungle da cui traevano sostentamento sufficiente per vivere.

Per portare avanti i propri affari, le multinazionali non hanno quindi che una possibilità: cacciarli dalle loro terre, come in passato il capitalismo nella sua fase di accumulazione fece già con i contadini europei e con i nativi americani. Nell’ultima decina di anni, centinaia di migliaia di Adivasi sono stati cacciati via, col risultato non solo di distruggere il loro sistema di sussistenza ma anche di portare sull’orlo della scomparsa la loro antica cultura.

La resistenza tuttavia si rafforza. I megaprogetti sono in stallo poiché gli Adivasi si rifiutano di abbandonare le proprie terre e altri strati della popolazione si stanno unendo a loro per difendere le loro fonti di sostentamento contro gli appetiti predatòri delle multinazionali. Non funzionando più le fallaci promesse nello stile di quelle dei coloni bianchi in Nord America, si fa ricorso ora alla forza bruta. Di conseguenza le proteste pacifiche si trasformano in autodifesa violenta. Il movimento maoista armato si sta rapidamente diffondendo e si è affermato come guida del movimento adivasi almeno nei punti più caldi del conflitto. Il governo ha creato una milizia irregolare chiamata Salwa Judum (‘caccia purificatrice’) che, appoggiandosi agli strati privilegiati della società adivasi, ha bruciato villaggi e massacrato o costretto alla fuga la popolazione resistente. Centinaia di migliaia di Adivasi sfollati sono stati rinchiusi in campi. Infine essi sono fuggiti anche dai campi rifugiandosi nella giungla dove si sono uniti alle fila dei maoisti. Nel 2009 Salwa Judum era già praticamente fallita, e si assisté alla continuazione della guerra contro i nativi sotto forma dell’operazione Green Hunt (‘battuta di caccia’) portata avanti da diverse forze paramilitari assistite e addestrate dall’esercito indiano.

Nel frattempo il doppio impatto dell’aggressione globalista e della resistenza popolare ha trasformato irreversibilmente la società adivasi. Mentre si oppongono allo sviluppo capitalista acclamato dalle classi privilegiate e dall’élite globale, intraprendono la strada di uno sviluppo alternativo attraverso e in favore delle masse popolari stesse. Nei luoghi più remoti prendono vita progetti collettivi nell’agricoltura e nell’artigianato. I maoisti hanno introdotto l’educazione nelle lingue adivasi costringendo il governo a seguirli su questa strada. Si sperimenta un regime di potere popolare che dà alle donne la possibilità di uscire dal loro tradizionale ruolo di secondo piano.

Anche altri settori dei poveri e degli oppressi si stanno aggregando, poiché la globalizzazione capitalistica è una minaccia universale. Un esempio adatto a illustrare la situazione generale è quello della Posco, una compagnia sudcoreana-statunitense dell’industria pesante, che sta progettando il più enorme investimento singolo – dell’ordine di dieci miliardi di Euro. La Posco progetta di costruire un’acciaieria, un porto d’alto mare e una miniera d’acciaio nello stato dell’Odisha, sulla costa orientale. Il governo sostiene il progetto sostenendo che finirà per portare benessere a tutta la popolazione, mentre il movimento popolare vi si oppone strenuamente: gli Adivasi che si oppongono alla costruzione di miniere sulla propria terra, i pescatori le cui zone di pesca sarebbero distrutte dal porto, i contadini senza titoli di proprietà i cui mezzi di sostentamento verrebbero spazzati via, e la popolazione nel suo insieme che teme che le industrie prosciugherebbero le già scarse riserve d’acqua. Tutti costoro contrappongono il proprio modello popolare di sviluppo a quello portato avanti dalle grandi imprese.

Mentre la crisi economica globale intensifica lo scontro, il governo bolla di terrorismo qualsiasi opposizione, sia essa quella della minoranza musulmana presa di mira dallo sciovinismo indù sponsorizzato dallo stato, quella dei movimenti di liberazione nazionale in Kashmir e nel Nord-Est, quella degli Adivasi o dei Dalit. Seguendo il paradigma occidentale della guerra al terrorismo l’autoproclamata più grande democrazia del mondo perseguita tutti coloro che osano servirsi dei diritti democratici che gli sono formalmente garantiti. Persino la più importante scrittrice dell’India contemporanea, Arundhaty Roy, che ha reso visita alla resistenza armata adivasi per testimoniare delle loro motivazioni, è minacciata d’incarcerazione.
 
Come associazione di volontariato Sumud vogliamo sostenere concretamente e nella pratica la giusta lotta dei nativi indiani per la sopravvivenza, accogliendo la loro richiesta d’aiuto ai progetti autonomi di sviluppo popolare. Non solo perché abbiamo il dovere morale di opporci alla riedizione del genocidio coloniale commesso dalla civiltà occidentale capitalistica in ogni parte del mondo, ma anche perché in ultima istanza la globalizzazione coinvolge anche noi e dobbiamo unire le forze con la resistenza globale.

L’accesso alla zone di resistenza adivasi, grandi come interi paesi europei, è tuttavia impedito dall’esercito. Pertanto i nostri amici e partner di Adivasi Drum, un’organizzazione collettiva comunitaria che opera nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh, ci ha proposto di implementare un progetto mobile d’assistenza medica ai bordi delle aree di conflitto. Quanto ciò sarà possibile dipende anche dalla nostra capacità di lanciare una campagna politica sia in Europa sia in India.
Abbiamo in programma di inviare una piccola delegazione all’inizio del 2011, per consegnare i primi aiuti e per verificare sul campo le possibilità di un’attività congiunta con le squadre di Adivasi Drum. In futuro abbiamo intenzione di far crescere questo progetto.

Ciò di cui abbiamo bisogno:
* personale medico, compresi dottori disposti a lavorare in coordinamento con lo staff locale;
* copertura giornalistica e multimediale (video e fotografica);
* alcune migliaia di euro di donazioni per l’acquisto di forniture mediche prodotte localmente.

Chi è interessato ad aiutarci può scriverci a info@sumud.org.
Un metodo rapido per sostenere economicamente questo progetto è quello di fare una donazione dal sito di Sumud; è possibile utilizzare un Conto Paypal, una Carta di Credito (anche prepagata) od un Bonifico online.
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