Si intensificano gli sforzi per evitare una seconda guerra civile al Paese dei Cedri. Ma le voci di un rinvio a giudizio di esponenti di Hezbollah per l’attentato a Rafiq Hariri e un servizio della tv canadese Cbc tengono alta la tensione.

Per i media di Beirut è «una corsa contro il tempo» quella che le parti arabe interessate stanno facendo per trovare una via d’uscita alla crisi interna libanese riesplosa dopo le indiscrezioni sulla presunta intenzione del Tribunale Speciale per il Libano (Tsl, creato dall’Onu) di rinviare a giudizio alcuni esponenti di Hezbollah per l’attentato in cui il 14 febbraio 2005 rimasero uccisi l’ex premier Rafiq Hariri (sunnita) e altre 22 persone.

Indiscrezioni che, sino ad oggi, non trovano alcuna conferma ufficiale da parte del Tsl (presieduto dal giudice italiano Antonio Cassese) ma che stanno incendiando la tormentata scena politica libanese. Hezbollah smentisce seccamente un suo coinvolgimento e ha già messo in chiaro che non resterà a guardare senza reagire di fronte a quello che descrive come un «complotto israelo-americano» volto a metterlo nell’angolo e a disarmare la resistenza libanese.

Domenica il principe saudita Abdel Aziz bin Abdullah, è andato a Damasco per una serie di consultazioni sulla situazione in Libano, in anticipo sul viaggio ufficiale che sabato prossimo il premier libanese Saad Hariri (figlio di Rafiq Hariri) effettuerà in Iran. A Beirut è giunto oggi il primo ministro del Qatar Sheikh Hamad bin Jassem bin Jabr al-Thani e nella capitale libanese tra un paio di giorni dovrebbe arrivare anche il capo di governo turco Recep Tayyib Erdogan. L’obiettivo di tutti questi movimenti diplomatici è quello di raggiungere un compromesso tra Hariri (sostenuto da Ryadh e Washington) e Hezbollah (appoggiato da Tehran e Damasco) che eviti al Libano un nuovo periodo di caos politico se non addirittura una seconda guerra civile. Si parla di un nuovo «accordo di Doha», ossia di un’intesa simile a quella che nel 2008 riuscì a ridurre le frizioni tra le Forze del 14 Marzo (filo-occidentali) e quelle dell’8 Marzo (guidate da Hezbollah). Al momento non c’è alcuna bozza scritta di un possibile compromesso tra le parti ma il quotidiano al Akhbar ha scritto che Hariri sarebbe pronto a respingere le incriminazioni del Tsl, se queste dovessero essere rivolte contro membri di Hezbollah poiché è consapevole della necessità di scongiurare una nuova escalation di violenze nel paese.

Ad aggravare la tensione è giunta una inchiesta svolta dalla Canadian Broadcasting Corp  (Cbc) che conferma le accuse ad Hezbollah, mentre la britannica Bbc ha deciso di rinviare la sua trasmissione sullo stesso argomento. La Cbc riferisce del lavoro svolto dalla Commissione d’inchiesta Onu per fare luce sull’attentato, dal quale emergerebbe che un alto ufficiale dell’intelligence libanese, il colonnello Wissam al-Hassan,  viene considerato come un potenziale sospetto per l’omicidio Hariri.  Hassan era responsabile della sicurezza di Hariri ma proprio il giorno dell’attacco non era al lavoro (per un esame all’università) e il suo alibi sarebbe «debole e inconsistente». La Cbc accusa inoltre le Nazioni Unite di non essere riuscite a garantire la sicurezza del colonnello Wissam Eid, capitano del Dipartimento dei servizi d’informazione ucciso nel gennaio 2008. Eid aveva condotto uno studio delle registrazioni telefoniche dei cellulari usati nella zona dell’attacco all’ex premier che riconduceva, in ultima analisi, a Hezbollah. Da parte sua il movimento sciita smentisce in modo categorico un suo coinvolgimento, come organizzazione politica e militare, nell’assassinio di Hariri. Il leader Hassan Nasrallah nei mesi scorsi ha presentato in diretta televisiva una ampia documentazione per dimostrare come anche Israele seguiva cinque anni fa i movimenti del premier ucciso. La sua tesi è che esiste un complotto internazionale che nel 2005 ha eliminato Hariri allo scopo di mettere sotto accusa le forze non schierate con l’Occidente e nemiche di Israele.

Gli sviluppi del caso Hariri hanno riacutizzato la frattura che da lungo tempo avvelena i rapporti tra i musulmani libanesi, sunniti e sciiti, e da più parti si prevedono violenze e scontri diffusi nel paese, peggiori di quelle del maggio 2008. Ad alimentare le speranze di una «intesa salva Libano» sono le indiscrezioni su un possibile incontro tra Saad Hariri e  Nasrallah, una volta che il premier sarà rientrato da Teheran. Ma il tempo corre e il giornale «Sharq» ieri ha riferito che il Tsl potrebbe presentare già il prossimo 10 dicembre le sue richieste di rinvio a giudizio che rischiano di gettare nel caos il Libano.

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