Che c’entra il Nepal con l’Italia?

Breve resoconto di un viaggio

Alcuni di noi (nella foto) sono stati in Nepal, dal 16 al 23 novembre, come parte di una delegazione italiana formata da delegati del Campo Antimperialista, dell’Associazione marchigiana LUPO, di Rivoluzione Democratica e di Sumud (volontariato e Resistenza). Avremmo fatto a meno di trascorrere alcuni giorni di vacanza in quella caotica e perdutamente asiatica città che è Kathmandu, se non fosse stato che tutta la direzione del Partito Comunista Unificato del Nepal (maoista), UCPN(m), di cui eravamo ospiti, non avesse avuto ben altro oneroso impegno.

Siamo infatti giunti in Nepal mentre iniziava un Comitato Centrale allargato che decide la linea del partito in un frangente delicatissimo della vita sociale e politica nepalese (lo scontro tra i maoisti e il blocco avversario è al calor bianco). Ma siamo capitati, come si dice, a fagiolo. Si affrontano niente di meno che tre linee in seno al partito.

L’ala sinistra, capeggiata da Mohan Baidhya (alias: Kiran), maggioritaria alla base, che propone una nuova  sollevazione rivoluzionaria per una “Repubblica democratica popolare”, quella dell’ala destra, guidata da Baburam Bhattarai, che perora l’alleanza interclassista con i partiti moderati perché ogni rottura porterebbe alla catastrofe, ed infine quella del leggendario e carismatico leader Prachanda, che guida una frazione cuscinetto e che propone una “Repubblica democratica” la più avanzata possibile, ma non esclude una nuova sollevazione.

Noi ci siamo incontrati, prima con una delegazione del Comitato centrale del partito, poi con la direzione della Lega della Gioventù Comunista. I colloqui si sono concentrati anzitutto sulla storia e la situazione del Nepal, e dunque la strada che i maoisti nepalesi, forti dell’essere il primo partito del paese, propongono per strappare il Nepal, da una parte al sottosviluppo, dall’altra alla posizione di sudditanza verso l’India. Nel viaggio di ritorno abbiamo vissuto sulla nostra pelle l’arroganza indiana, e la determinazione di Nuova Delhi a punire il popolo nepalese e chiunque gli dichiari amicizia. Ma su questo avremo modo di tornare nei prossimi giorni.


Il leader Prachanda all’inaugurazione
dei lavori del Comitato centrale

L’abbattimento della monarchia nel 2006 e la creazione di un’Assemblea costituente nel 2008 (Assemblea spaccata in due e che non è ancora riuscita a licenziare la nuova Costituzione) è per la sinistra nepalese solo un primo passo verso il compimento della Rivoluzione democratica, verso una NUOVA DEMOCRAZIA, che possa fungere da apripista, si spera in un futuro non lontano, del socialismo. I nostri interlocutori hanno insistito che non può esserci in Nepal una autentica democrazia, ovvero un’effettiva sovranità popolare, senza la conquista della piena sovranità nazionale, la qual cosa  richiede la rottura delle catene che legano il Nepal al sistema imperialistico, in modo particolare all’India, che dell’imperialismo rappresenta la longa manus.

I dirigenti maoisti sono perfettamente consapevoli che non si può costruire il “socialismo in un solo paese”, che senza una rivoluzione internazionale, o almeno nel sub-continente indiano, il socialismo in Nepal è una chimera. Troppo forti i nemici esterni, troppo arretrato il paese. Ma questo non può giustificare arrendersi. Dieci anni di guerra popolare non possono essere gettati al vento. Tra un regime semi-feudale e il socialismo deve pur esserci un regime alternativo, di transizione, e questo non può certo essere un capitalismo dipendente, imperniato attorno ad una neo-borghesia. Gli inauditi sacrifici compiuti in dieci anni di guerra popolare non possono essere stati fatti per il Re di Prussia.

Alla fine i dirigenti maoisti hanno fortemente insistito sulla loro speranza che si crei nel momdo un movimento di solidarietà, antimperialista e democratico, con la loro rivoluzione incompiuta, affinché il popolo nepalese possa essere davvero sovrano. Noi non potevano che accogliere il loro appello, promettendo, nei limiti delle nostre forze, il nostro aiuto, affinché si crei un movimento ampio e inclusivo di solidarietà con la Rivoluzione democratica nepalese.


La Presidenza al Cc allargato

Ma ciò che a noi è servito da lezione è altro, e riguarda ciò che dell’esperienza maoista in Nepal può essere utile a noi, qui in Italia. La questione cruciale di fronte a cui si trovano i  maoisti è, alla fin fine, come il popolo possa salire al potere, come le redini del paese possano essere tolte ad una ristretta (castale) oligarchia. Cosa significhi sovranità popolare. Cosa debba intendersi per democrazia. Attraverso quali strumenti il popolo possa effettivamente autogovernarsi. Gli eurocentrici faranno spallucce: «figurarsi se ciò ci può essere insegnato dai nepalesi!?».

Noi non facciamo spalluccce affatto. Siamo andati in Nepal per toccare con mano l’esperienza di un popolo che attraverso i maoisti, sta certo più avanti di noi, visto che l’avanti non si misura solo sul piano economico. Noi, qui in Italia, non riusciamo neanche a difendere la Costituzione, i cittadini nepalesi, politicizzatissimi, si azzuffano sul tipo di Costituzione che debbono darsi, ovvero sul tipo di Repubblica che prenderà vita. Ve la diciamo tutta? I nepalesi stanno più avanti di noi, malgrado il loro paese sia uno dei più poveri del mondo. Stanno più avanti proprio perché discutono, ora che sono usciti da un regime monarchico e oligarchico, che tipo di nuove istituzioni debbano darsi, quali organismi di base debbano innervare la repubblica federale, quale debba essere il loro contenuto sociale.

la rivista in inglese dei maoisti nepalesi

Un’altra cosa infine ci ha colpito: la grande apertura mentale dei maoisti, che solo una cattiva propaganda descrive come dogmatici trinariciuti. Alle prese con una profonda divisione in seno alla direzione, quest’ultima non si è chiusa in una turris eburnea, ha appunto convocato un Comitato centrale allargato al quale stanno partecipando circa seimila delegati da ogni parte del paese! Altro che “stalinismo”! Tutta la base è stata chiamata a decidere, in un clima che più democratico e partecipativo non si può, quale debba essere la linea del partito. Anche da questo punto di vista noi italiani (ed europei) abbiamo molto da imparare, visto che  in Occidente i partiti di massa erano in realtà burocratici e clericali, e la base non ha mai davvero avuto voce in capitolo. Ed anche per questi sono andati in frantumi.