Il governo di Pyongyang minaccia fuoco e fiamme contro le esercitazioni congiunte che Stati Uniti e Corea del sud si apprestano a svolgere nel Mar Giallo. Si capisce come mai l’arrivo della colossale portaerei americana G. Whashington è considerata dal governo di Kim Jong-Il una autentica minaccia: 5.700 uomini di equipaggio, 85 caccia, una potenza di fuoco che potrebbe radere al suolo Pyongyang, per non parlare della sofisticata copertura logistico-satellitare di cui gode.

La Cina stessa non ha nascosto la sua irritazione. Il Ministero degli esteri cinese, per bocca del suo portavoce, ha diffuso una nota al vetriolo: «Siamo contrari a qualunque atto militare unilaterale [e le esercitazioni navali con la Washington tali sono considerate, Ndr] condotto senza il nostro consenso nella zona d’influenza economica esclusiva cinese».
La dichiarazione ufficiale di Pechino, nella sua durezza, disvela il vero nocciolo, geopolitico e strategico, del latente conflitto in atto.
Basta guardare alla carta geografica per capire che le annunciate esercitazioni si svolgeranno sotto il naso di Pechino, tra le coste della Corea del nord e le penisole cinesi di Liaodong a nord e dello Shandong a sud, le quali sembrano due braccia a protezione del Golfo di Bohai, dove si affacciano importanti porti per tutta l’economia della Cina settentrionale. Per di più Pechino dista, dalle coste solo 200 chilometri.
La cosa chiarisce dunque come mai la Cina si erga a paladino della Corea del nord e a garante della sua intangibilità. E’ notorio che in uno scenario di confronto militare Cina-USA, le battaglie decisive saranno navali, per il controllo dei mari, tra questi appunto il Mar Giallo. In questo senso la Corea del Nord sta alla Cina come quella del Sud sta agli Stati Uniti. Nello scenario suddetto le due Coree giocano un ruolo strategico centrale, potrebbero anzi essere il banco di prova dell’ipotetico scontro frontale.

Noi non sapremo mai, visto il segreto che avvolge le vicende militari, cosa abbia scatenato le durissime azioni nordcoreane degli ultimi mesi, culminate nell’affondamento, il mese di marzo scorso, della corvetta sudocoreana (46 marinai uccisi), e la settimana passata del bombardamento della base militare sudcoreana dell’isola di Yeongpyeong. La stampa occidentale, in perfetto stile complottista, si gingilla in elucubrazioni su ipotetici scontri al vertice in seno al governo di Pyongyang, legati alla successione nel surreale “socialismo” nordcoreano. In genere questa stampa spiega le cose presentando i vertici di questo paese come paranoici, o affetti dalla psicosi di accerchiamento. Psicosi? In verità è evidente il tentativo imperialistico di tenere sotto pressione la Corea del nord, di scavargli la fossa, di produrre uno sconquasso che conduca al crollo e quindi alla riunificazione delle due Coree, sotto l’egida di Seoul ovviamente. Una simile riunificazione sarebbe una vittoria colossale per gli americani e i loro alleati dell’area, anzitutto Corea del Sud e Giappone, che alacremente lavorano per far crollare il regime di Pyongyang.

E’ proprio questa prospettiva che Pechino considera sotto ogni punto di vista, inaccettabile. Che la stampa occidentale, imbeccata dal Pentagono, gridi alla scandalo per il deciso sostegno cinese alla Corea del nord, non è se non una penosa messinscena. Come dicevamo, la Cina ha bisogno di una Corea del nord alleata, quanto gli USA della sudditanza di Tokyo e Seoul.

Basta tornare indietro alla cruenta guerra di Corea (1950-53) e alle cause che spinsero la Cina di Mao a prendere parte nel conflitto, per comprendere le ragioni che spingono Pechino a difendere strenuamente Pyongyang. Può essere che alla direzione cinese il regime autocratico dei cugini nord-coreani risulti indigesto, come allora, del resto, non andava a genio ai comunisti cinesi il partito di Kim Il-Sung. Ma proprio allora Mao ebbe a dire che “Cina e Corea sono vicine come i denti alle labbra”, e sfidò gli USA malgrado questi minacciassero l’uso della bomba atomica.

Sono le linee della geopolitica e degli interessi strategici a spiegare la politica di una potenza come quella cinese, non fattori secondari come quelli psicologici o morali. Da parte sua del resto, Pyongyang, ha solo la Cina come sponsor, visto che la Russia di Putin non è neanche lontanamente quella dei tempi di Stalin.

La Cina di oggi è certo diversa da quella di Mao. Tuttavia, le linee e le necessità geopolitiche di un paese – come ebbe a dire Trotsky a proposito della Russia staliniana proprio in occasione del conflitto in Manciuria a fine anni ‘20 – restano le stesse, malgrado i cambi di regime. Ecco spiegato come mai, di recente,  il premier cinese Wen Jiabao, è andato in pellegrinaggio al Cimitero degli Eroi a sud di Pyongyang, dove venne sepolto il figlio di Mao, Anying, che morì volontario in Corea, ucciso da una bomba al napalm americana il 25 novembre del 1950. Un pellegrinaggio che sigilla il legame indissolubile tra Pechino e Pyongyang.